Ciao a tutti,
ho fatto una serie di scatti con diaframmi piuttosto aperti, perché cercavo una profondità di campo (pdc) corta, ma mi sono accorto che la foto aveva sempre meno profondità di campo di ciò che vedevo nel mirino.
La cosa non mi convince e temo sia una mia impressione, per cui vi chiedo di aiutarmi a capire.
Da quel che ne so, qualsiasi sia la lente Nikon con contatti CPU innestata, a qualsiasi focale si stia inquadrando la fotocamera usa tiene il diaframma dell'ottica aperto al massimo possibile, chiudendo il diaframma all'apertura impostata solo allo scatto.
Con un ottica a focale fissa il diaframma dovrebbe essere sempre TA (nel mio caso f/1.8) e per previsualizzare a mirino la pdc si usa il relativo tasto di anteprima della profondità di campo.
Per completezza, con un ottica zoom a diaframma variabile con la lunghezza focale, l'ottica chiuderà il diaframma al crescere della focale ma sempre lasciandolo alla massima luminosità possibile consentita dalla specifica focale selezionata.
Ora se tutto questo è vero, come è possibile che ciò che vedo nel mirino ha una profondità di campo maggiore che quella realmente fotografata?
Di questa cosa mi ero un po' accorto fotografando col 28-105 in modalità macro (RR 1:2) quelle volte in cui cercavo dei background sfuocati o una pdc particolarmente corta sul soggetto, per poi accorgermi spesso che avevo "tirato troppo corta" la pdc, e che se avessi chiuso ancora un po' magari avrei avuto uno scatto migliore anziché rifarlo.
C'è una spiegazione semmai a questa cosa? Avrebbe a che vederci che l'immagine del mirino cmq è focalizzata mediante un piccolo sistema di lenti a bordo della fotocamera, che fra le altre cose realizzano sempre un rimpicciolimento dell'immagine inquadrata (magnification <1)?
Grazie, Seb
ho fatto una serie di scatti con diaframmi piuttosto aperti, perché cercavo una profondità di campo (pdc) corta, ma mi sono accorto che la foto aveva sempre meno profondità di campo di ciò che vedevo nel mirino.
La cosa non mi convince e temo sia una mia impressione, per cui vi chiedo di aiutarmi a capire.
Da quel che ne so, qualsiasi sia la lente Nikon con contatti CPU innestata, a qualsiasi focale si stia inquadrando la fotocamera usa tiene il diaframma dell'ottica aperto al massimo possibile, chiudendo il diaframma all'apertura impostata solo allo scatto.
Con un ottica a focale fissa il diaframma dovrebbe essere sempre TA (nel mio caso f/1.8) e per previsualizzare a mirino la pdc si usa il relativo tasto di anteprima della profondità di campo.
Per completezza, con un ottica zoom a diaframma variabile con la lunghezza focale, l'ottica chiuderà il diaframma al crescere della focale ma sempre lasciandolo alla massima luminosità possibile consentita dalla specifica focale selezionata.
Ora se tutto questo è vero, come è possibile che ciò che vedo nel mirino ha una profondità di campo maggiore che quella realmente fotografata?
Di questa cosa mi ero un po' accorto fotografando col 28-105 in modalità macro (RR 1:2) quelle volte in cui cercavo dei background sfuocati o una pdc particolarmente corta sul soggetto, per poi accorgermi spesso che avevo "tirato troppo corta" la pdc, e che se avessi chiuso ancora un po' magari avrei avuto uno scatto migliore anziché rifarlo.
C'è una spiegazione semmai a questa cosa? Avrebbe a che vederci che l'immagine del mirino cmq è focalizzata mediante un piccolo sistema di lenti a bordo della fotocamera, che fra le altre cose realizzano sempre un rimpicciolimento dell'immagine inquadrata (magnification <1)?
Grazie, Seb