Vajont
10 09 2013
Scegliendo di venire in questo posto, credevo già di sapere cosa mi aspettava. Salendo la ripida strada che conduce alla diga, la si scopre improvvisamente dopo una curva, imponente, profonda, incuneata in un canyon strettissimo. Poi oltrepassata una galleria ci si ritrova alla quota di sommità. Subito una chiesetta commemorativa dalla forma incurvata, tesa, in cemento. Il tempo di sistemare l\'auto in un parcheggio ed alzando lo sguardo contro luce, ancora prima di cogliere il paesaggio tutto intorno, si scorge, a monte della diga una strana collina, coperta da un fitto bosco; sopra di essa due declivi completamente privi di vegetazione. La testa comincia ragionare e prima ancora di comprendere che è possibile fare una visita guidata all\'interno della diga, vengo attirato da una lunga fila di bandierine colorate, messe una dietro l\'altra per circa un centinaio di metri. Mi avvicino e leggo scritto su ognuna di esse il nome di un bambino che quella notte del 9 Ottobre 1963 chiuse gli occhi per sempre. Avrei potuto finire la mia visita qui, perché questa è l\'immagine che mi porto dentro.