E già, come diceva una canzone dei Queen di qualche anno fa, un altro muore (morde la polvere letteralmente): Agfa, un grande colosso dell'industria fotografia tradizionale, ci lascia!
La notizia circolava già in rete qualche mese fa ma adesso è ufficale anche il sito ne da notizia: Agfa.
Riporto anche l'editoriale di Fotografia reflex di dicembre 2005 che parla del problema, per chi avesse voglia di leggerlo:
"Tra le note della sinfonia scozzese o quelle dell'italiana e le meraviglie della chimica, Paul Mendelssohn-Bartholdy aveva preferito queste ultime. Insomma, non aveva seguito le orme di suo padre Felix, il compositore, né era stato attratto dall'attività bancaria della famiglia. Aveva 26 anni nel 1867 quando, nel sobborgo berlinese di Rummelsburger See insieme a Carl Alexander von Martius di tre anni più vecchio e chimico anche lui, fondò una piccola azienda per produrre anilina, la sostanza alla base dei coloranti. Sei anni più tardi, l'attività fu iscritta come Aktien-Gesellschaft für Anilin-Fabrikation, Agfa, marchio che venne registrato nel 1897 al quale si aggiunse il famoso rombo solo nel 1924.
Esattamente 132 anni dopo, al 31 di questo mese, l'AgfaPhoto, ultima espressione fotografica dell'azienda originale cesserà di esistere.
Nel corso dei decenni molte industrie fotografiche sono sparite: fallite, incorporate o dedicatesi ad altre attività. Certo è che la fine dell'Agfa è la più devastante. Non solo perché è stata un punto di riferimento qualitativo d'eccellenza (ricerca, prodotti, innovazione), ma perché la sua scomparsa segna definitivamente quella linea di confine violenta e profonda tra ciò che fu la fotografia e ciò che sarà.
L'industria chimica è quella che ha creato e sostenuto un settore industriale e commerciale che ha permesso, dai trisnonni in poi, di poter fissare momenti della nostra vita privata o spalancare gli occhi sui fatti del mondo di cui non abbiamo potuto essere testimoni. Forse per molti non è ben chiaro, ma è stata la chimica a permettere alle altre imprese, da Zeiss e Leitz a Canon, Nikon e compagni, di poter prosperare. Oggi, la chimica fotografica pare aver ceduto il passo all'elettronica in una transizione complessa, difficile e tutt'ora da compiere e quindi foriera di chissà quali altre sorprese.
Comunque sia, ad Agfa occorre dare l'onore delle armi per ciò che ha rappresentato e per la lotta furibonda che da almeno vent'anni ha combattuto per restare viva. L'ultimo atto della sua storia ha visto la costituzione della AgfaPhoto, nata dalla dismissione del settore imaging da parte della holding belga Agfa Gevaert poco più di un anno fa. Perché il progetto (sogno) si sia infranto non è del tutto chiaro, tanto che non è escluso che nei prossimi mesi potrebbero essere i tribunali a cercare di scoprirlo. Intanto, la realtà è che 1800 persone hanno perso il lavoro in Germania e altrettante lo hanno perso tra filiali e società collegate, e non tutti troveranno una sistemazione.
Salvarla era forse impossibile o forse non lo è stato nelle condizioni attuali. Resta il fatto che il gruppo Agfa Gevaert che per anni ha perso milioni di marchi con il settore foto, ha fatto di tutto per sbarazzarsene per potersi concentrare nei più ricchi settori del medicale e delle arti grafiche.
Caduta ogni possibilità di acquisto dell'azienda come questa rivista ha ben chiarito nello scorso numero, l'amministratore del tribunale Andreas Ringstmeier ha iniziato a vendere le diverse attività ad operatori che, comunque, non potranno usare lo storico marchio; ma non sarà facile. Per ora, la fabbrica di chimici di Vaihingen e il servizio di assistenza e ricambi dei minilab Agfa sono stati acquistati dalla A&O di Potsdam. La svizzera Imaging Solutions, gruppo PhotoMe e nata sulle ceneri della Gretag, ha invece rilevato per 6 milioni di sterline la divisione attrezzature di laboratorio di Monaco. Altre trattative sarebbero in corso con Fuji per i minilab, ma (ad oggi) non ce ne sono per i grandi impianti di stesa di Leverkusen.
Agfa produceva lastre e pellicole a Wolfen, impianto all'avanguardia nel 1903 che, dopo la guerra, passò alla DDR con il marchio Orwo. A Leverkusen, produceva carta fotografica la Bayer, con la quale Agfa si fuse nel 1921. Nel 1964, la seconda fusione: quella con la belga Gevaert fondata settant'anni prima dal fotografo Lievin Gevaert a Mortsel, oggi sede della holding Agfa Gevaert.
Il curriculum di Agfa è così ricco di importanti tappe e traguardi che non è possibile riassumere. Basti ricordare il lancio del rivelatore Rodinal nel 1891 e la prima pellicola negativa a colori del 1936 in contemporanea con il Kodachrome di Kodak. E che nel 1959 lanciò la prima fotocamera ad esposizione automatica, la Optima.
Nella ricerca fu la prima a lavorare sulla diffusione dei sali d'argento con Edith Weyde (André Rott lo fece alla Gevaert). Il loro lavoro fu interrotto dalla guerra, ma portò poi alla realizzazione dei sistemi Copyrapid e Gevacopy per lo sviluppo istantaneo delle immagini e la copiatura di documenti. Alle loro ricerche attinse Edwin Land per il sistema a sviluppo immediato Polaroid."
Che dire infine se non che peccato!
Personalmente spero solo che gli altri due colossi, Fuji e Kodak, seppur anche loro orientati verso il mercato digitale, tengano in vita per molto tempo ancora gli impianti di produzione di pellicola!
In attesa di vostre confortanti (spero) riflessioni, vi saluto.
Fabrizio
La notizia circolava già in rete qualche mese fa ma adesso è ufficale anche il sito ne da notizia: Agfa.
Riporto anche l'editoriale di Fotografia reflex di dicembre 2005 che parla del problema, per chi avesse voglia di leggerlo:
"Tra le note della sinfonia scozzese o quelle dell'italiana e le meraviglie della chimica, Paul Mendelssohn-Bartholdy aveva preferito queste ultime. Insomma, non aveva seguito le orme di suo padre Felix, il compositore, né era stato attratto dall'attività bancaria della famiglia. Aveva 26 anni nel 1867 quando, nel sobborgo berlinese di Rummelsburger See insieme a Carl Alexander von Martius di tre anni più vecchio e chimico anche lui, fondò una piccola azienda per produrre anilina, la sostanza alla base dei coloranti. Sei anni più tardi, l'attività fu iscritta come Aktien-Gesellschaft für Anilin-Fabrikation, Agfa, marchio che venne registrato nel 1897 al quale si aggiunse il famoso rombo solo nel 1924.
Esattamente 132 anni dopo, al 31 di questo mese, l'AgfaPhoto, ultima espressione fotografica dell'azienda originale cesserà di esistere.
Nel corso dei decenni molte industrie fotografiche sono sparite: fallite, incorporate o dedicatesi ad altre attività. Certo è che la fine dell'Agfa è la più devastante. Non solo perché è stata un punto di riferimento qualitativo d'eccellenza (ricerca, prodotti, innovazione), ma perché la sua scomparsa segna definitivamente quella linea di confine violenta e profonda tra ciò che fu la fotografia e ciò che sarà.
L'industria chimica è quella che ha creato e sostenuto un settore industriale e commerciale che ha permesso, dai trisnonni in poi, di poter fissare momenti della nostra vita privata o spalancare gli occhi sui fatti del mondo di cui non abbiamo potuto essere testimoni. Forse per molti non è ben chiaro, ma è stata la chimica a permettere alle altre imprese, da Zeiss e Leitz a Canon, Nikon e compagni, di poter prosperare. Oggi, la chimica fotografica pare aver ceduto il passo all'elettronica in una transizione complessa, difficile e tutt'ora da compiere e quindi foriera di chissà quali altre sorprese.
Comunque sia, ad Agfa occorre dare l'onore delle armi per ciò che ha rappresentato e per la lotta furibonda che da almeno vent'anni ha combattuto per restare viva. L'ultimo atto della sua storia ha visto la costituzione della AgfaPhoto, nata dalla dismissione del settore imaging da parte della holding belga Agfa Gevaert poco più di un anno fa. Perché il progetto (sogno) si sia infranto non è del tutto chiaro, tanto che non è escluso che nei prossimi mesi potrebbero essere i tribunali a cercare di scoprirlo. Intanto, la realtà è che 1800 persone hanno perso il lavoro in Germania e altrettante lo hanno perso tra filiali e società collegate, e non tutti troveranno una sistemazione.
Salvarla era forse impossibile o forse non lo è stato nelle condizioni attuali. Resta il fatto che il gruppo Agfa Gevaert che per anni ha perso milioni di marchi con il settore foto, ha fatto di tutto per sbarazzarsene per potersi concentrare nei più ricchi settori del medicale e delle arti grafiche.
Caduta ogni possibilità di acquisto dell'azienda come questa rivista ha ben chiarito nello scorso numero, l'amministratore del tribunale Andreas Ringstmeier ha iniziato a vendere le diverse attività ad operatori che, comunque, non potranno usare lo storico marchio; ma non sarà facile. Per ora, la fabbrica di chimici di Vaihingen e il servizio di assistenza e ricambi dei minilab Agfa sono stati acquistati dalla A&O di Potsdam. La svizzera Imaging Solutions, gruppo PhotoMe e nata sulle ceneri della Gretag, ha invece rilevato per 6 milioni di sterline la divisione attrezzature di laboratorio di Monaco. Altre trattative sarebbero in corso con Fuji per i minilab, ma (ad oggi) non ce ne sono per i grandi impianti di stesa di Leverkusen.
Agfa produceva lastre e pellicole a Wolfen, impianto all'avanguardia nel 1903 che, dopo la guerra, passò alla DDR con il marchio Orwo. A Leverkusen, produceva carta fotografica la Bayer, con la quale Agfa si fuse nel 1921. Nel 1964, la seconda fusione: quella con la belga Gevaert fondata settant'anni prima dal fotografo Lievin Gevaert a Mortsel, oggi sede della holding Agfa Gevaert.
Il curriculum di Agfa è così ricco di importanti tappe e traguardi che non è possibile riassumere. Basti ricordare il lancio del rivelatore Rodinal nel 1891 e la prima pellicola negativa a colori del 1936 in contemporanea con il Kodachrome di Kodak. E che nel 1959 lanciò la prima fotocamera ad esposizione automatica, la Optima.
Nella ricerca fu la prima a lavorare sulla diffusione dei sali d'argento con Edith Weyde (André Rott lo fece alla Gevaert). Il loro lavoro fu interrotto dalla guerra, ma portò poi alla realizzazione dei sistemi Copyrapid e Gevacopy per lo sviluppo istantaneo delle immagini e la copiatura di documenti. Alle loro ricerche attinse Edwin Land per il sistema a sviluppo immediato Polaroid."
Che dire infine se non che peccato!
Personalmente spero solo che gli altri due colossi, Fuji e Kodak, seppur anche loro orientati verso il mercato digitale, tengano in vita per molto tempo ancora gli impianti di produzione di pellicola!
In attesa di vostre confortanti (spero) riflessioni, vi saluto.
Fabrizio