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Edonismo Fotografico
fotografo e soggetto/oggetto ripreso
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marcofranceschini
Messaggio: #1
"...colui o ciò che fotografiamo è il bersaglio, il referente, sorta di piccolo simulacro, di eidòlon emesso dall'oggetto, che io chiamerei lo Spectrum della fotografia, dato che attraverso la sua radice mantiene un rapporto con lo "spettacolo" aggiungendovi quella cosa vagamente spaventosa che c'è in ogni fotografia: il ritorno del morto.
...La Foto-ritratto è un campo chiuso di forze. Quattro immaginari vi si incontrano, vi si affrontano, vi si deformano. Davanti all'obiettivo, io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, che vorrei si creda che io sia, quello che il fotografo crede che io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte.
...In fondo, ciò che io ravviso nella foto che mi viene fatta (l'"intenzione" con la quale la guardo), è la Morte: la Morte è l'eidos di quella Foto."

tratto da La camera chiara
di Roland Barthes

il nostro fine ultimo è il piacere assoluto nel fotografare, ma così facendo spingiamo il soggetto ritratto a vivere una sorta di micro-esperienza della morte, durante lo scatto questo non è più nè soggetto, nè oggetto...ma Spectrum.

Un saluto

(MMFR)...Marco







stincodimaiale
Messaggio: #2
che speculazione mentale!!! ohmy.gif
Non l'avevo mai vista sotto questo aspetto il ritratto fotografico...
A parte quando viene ogni tanto qualche vecchiarella di 93 anni a fare la fototessera dicendomi che spera di venire ancora bene nella prossima tra 5 anni... blink.gif
malina
Messaggio: #3
...e questa è la ragione per cui mi piace fotografare, ma non essere fotografata.
toad
Messaggio: #4
Non ho letto quel libro. Potrebbe essere una buona occasione per farlo.

QUOTE(mmfr @ Apr 16 2007, 07:43 PM) *

...La Foto-ritratto è un campo chiuso di forze. Quattro immaginari vi si incontrano, vi si affrontano, vi si deformano. Davanti all'obiettivo, io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, che vorrei si creda che io sia, quello che il fotografo crede che io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte.


Mi pare che il concetto sia un po’ limitativo e, soprattutto che, così come estrapolato, non sia riferibile solo alla fotografia. Cosa cambierebbe nella definizione degli immaginari nel caso di un ritratto dipinto? Nulla, credo.

QUOTE(mmfr @ Apr 16 2007, 07:43 PM) *

...In fondo, ciò che io ravviso nella foto che mi viene fatta (l'"intenzione" con la quale la guardo), è la Morte: la Morte è l'eidos di quella Foto."


Mah… forse non c’entra, ma mi viene in mente la differenza di accezione in un altro genere fotografico e pittorico: natura morta in italiano e still-life in inglese. Morta per alcuni e ancora viva per altri. Perché l'eidos di un ritratto dovrebbe essere proprio la Morte e non, invece, la Vita? Nel senso che l’immagine di quel momento si protrae nel tempo e, paradossalmente, il soggetto continua a vivere nell’immaginario di chi osserva. In questo caso la definizione di spettro come fantasma, cioè colui che appare, assumerebbe un’altra valenza.
marcofranceschini
Messaggio: #5
QUOTE(toad @ Apr 16 2007, 11:05 PM) *

Perché l'eidos di un ritratto dovrebbe essere proprio la Morte e non, invece, la Vita? Nel senso che l’immagine di quel momento si protrae nel tempo e, paradossalmente, il soggetto continua a vivere nell’immaginario di chi osserva. In questo caso la definizione di spettro come fantasma, cioè colui che appare, assumerebbe un’altra valenza.

Indubbiamente lo sforzo immane del fotografo è sempre quello provare a rendere vivo e di " far sì che la fotografia non sia la Morte"...ma il punto di vista del soggetto/oggetto fotografato, della vittima passiva non è sicuramente lo stesso...anzi, questo non può che subire il processo di trasformazione da soggetto a oggetto...

Marco


Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #6
Come "quasi" tutti i semiologi di scuola generativa, Barthes tende troppo spesso alla tragicità.
Difficile e arduo l'abbinamento tra concetto di morte e la fotografia, specie per il quadrato semantico che descrive, con ben quattro forze e intenti differenti in campo.

Direi piuttosto, che il risultato sarà legato all' interazione tra i quattro intenti.
Se la foto sarà lo scaturire della visione che ho di me e quella che il fotografo avrà di me, allora sarà una "conferma".
Se le visioni differiscono, sarà ovviamente una rinuncia di uno dei due attori sulla scena.
Se le visini conciliano, ma nell'immaginario, allora si che ci sarà la morte del soggetto, ma anche la rinascita di una nuova visione di esso, completamente fantastica.

Di sicuro c'è una cosa, che i semiologi si tiravano pippe mentali a non finire! biggrin.gif
toad
Messaggio: #7
QUOTE(mmfr @ Apr 16 2007, 11:37 PM) *

Indubbiamente lo sforzo immane del fotografo è sempre quello provare a rendere vivo e di " far sì che la fotografia non sia la Morte"...ma il punto di vista del soggetto/oggetto fotografato, della vittima passiva non è sicuramente lo stesso...anzi, questo non può che subire il processo di trasformazione da soggetto a oggetto...


Insomma, il soggetto diventerebbe una sorta di vittima sacrificale che si immola davanti all’obiettivo. Per cui, se è il soggetto stesso che ha chiesto di essere ritratto, dovremmo scorgere una buona dose di masochismo e senso di autodistruzione, almeno inconscio.
E, quindi, chi non ama essere fotografato, nel suo intimo si sente come i seguaci di alcune religioni per i quali essere fotografati equivale a farsi rubare l’anima, quindi morire interiormente.
E se, invece, provassimo a vedere la cosa in modo più solare? Un sano edonismo narcisistico, una voglia di mettersi in gioco (sempre più rara al giorno d’oggi).
Alessandro Casalini
Messaggio: #8
Mah, scusate ma da buon "sempliciotto" non ce la vedo proprio... la fotografia ha lo scopo di fissare quell'attimo che non si ripeterà più, di rendere indelebile uno stato quotidiano, un gesto, un avvenimento e, allo stesso modo, l'immagine di una persona ritratta.
Ne carpisce la luce riflessa, non ruba l'anima ma semmai ne coglie le sfumature, il calore, la passione e le vibrazioni.

Per questo secondo me la fotografia non è esperienza di morte ma, al contrario, è immortalità, vita eterna, gioia.

Ciao, Alessandro.
malina
Messaggio: #9
QUOTE(toad @ Apr 17 2007, 10:35 AM) *

Insomma, il soggetto diventerebbe una sorta di vittima sacrificale che si immola davanti all’obiettivo. Per cui, se è il soggetto stesso che ha chiesto di essere ritratto, dovremmo scorgere una buona dose di masochismo e senso di autodistruzione, almeno inconscio.
E, quindi, chi non ama essere fotografato, nel suo intimo si sente come i seguaci di alcune religioni per i quali essere fotografati equivale a farsi rubare l’anima, quindi morire interiormente.
E se, invece, provassimo a vedere la cosa in modo più solare? Un sano edonismo narcisistico, una voglia di mettersi in gioco (sempre più rara al giorno d’oggi).


QUOTE(alebao @ Apr 17 2007, 11:21 AM) *

Mah, scusate ma da buon "sempliciotto" non ce la vedo proprio... la fotografia ha lo scopo di fissare quell'attimo che non si ripeterà più, di rendere indelebile uno stato quotidiano, un gesto, un avvenimento e, allo stesso modo, l'immagine di una persona ritratta.
Ne carpisce la luce riflessa, non ruba l'anima ma semmai ne coglie le sfumature, il calore, la passione e le vibrazioni.

Per questo secondo me la fotografia non è esperienza di morte ma, al contrario, è immortalità, vita eterna, gioia.

Ciao, Alessandro.


Premesso che Barthes non mi piace (per le pippe mentali eccessive di cui ai precedenti post), premesso che quel certo pessimismo che fa tanto figo, snob ed intellettuale mi dà sui nervi come poche altre cose (detto da una che ha passato qualche annetto in una facoltà di filosofia insieme a enculeurs de mouches professionisti, altrimenti elegantemente definibili sodomisateurs insectueux), io la morte, nei ritratti, ce la vedo: la vedo in un ridurre a due dimensioni e all'immobilità il mio corpo e/o quello altrui, fissarlo come una farfalla con lo spillone. Il cinema non mi fa lo stesso effetto per via del movimento, dello scorrere del tempo. La pittura non mi fa lo stesso effetto per ragioni che, dato quello che ho scritto, penso siano intuibili.
Non mi piace che l'immagine fotografica possa sopravvivermi. Non mi piace l'idea dell'eternità. Non mi piace dare ragione a Barthes che nemmeno mi recensisce i post...
Occhei, scusate lo sfogo unsure.gif
margior
Messaggio: #10
QUOTE(matteoganora @ Apr 17 2007, 10:08 AM) *

Di sicuro c'è una cosa, che i semiologi si tiravano pippe mentali a non finire!


huh.gif Non credo che siano estinti...quindi si tireranno ancora le pippe come tutti, ognuno nel proprio...orticello! tongue.gif


QUOTE(malina @ Apr 17 2007, 09:26 PM) *

...enculeurs de mouches professionisti...


Ma che vi hanno fatto questi "amanti della sofia"?!? huh.gif Non uccidono nessuno...
malina
Messaggio: #11
QUOTE(malina @ Apr 17 2007, 09:26 PM) *

...(detto da una che ha passato qualche annetto in una facoltà di filosofia insieme a enculeurs de mouches professionisti, altrimenti elegantemente definibili sodomisateurs insectueux)
QUOTE(margior @ Apr 17 2007, 11:16 PM) *

Ma che vi hanno fatto questi "amanti della sofia"?!? huh.gif Non uccidono nessuno...

Mah, per citare uno a caso, "non farei mai parte di un club che mi ammettesse fra i propri soci", o giù di lì wink.gif
Sull'inoffensività dei travet della sofia ho comunque seri dubbi tongue.gif

[ops... sono al self-quoting... meglio che me ne vada a nanna, và]

Messaggio modificato da malina il Apr 17 2007, 10:48 PM
enrico
Messaggio: #12
Grazie Malina per la segnalazione.
Ho appena acquistato il libro e me lo vado a leggere subito.
La fotografia può essere vista in tanti modi, che rispecchiano forse più la personalità di chi la osserva che la sua essenza. Morte a causa della fissità di ciò che vi è rappresentato? Del congelamento di un istante in cui il soggetto non è più quello che era prima dello scatto e non è nemmeno quello che sarà dopo? Forse.
Ma la fotografia è anche un tentativo di superare la morte. A volte, fotografando, si cerca di rendere immortale un istante, un evento, per poterlo rivivere. E' anche per questo che ad ogni evento importante della vita: battesimo, matrimonio, laurea, ma anche compleanni ed eventi meno "ufficiali", ma ritenuti ugualmente importanti, non possono mancare le fotografie ed i fotografi.
Ieri stavo osservando una foto di Eugene Atget che ritraeva una strada di Parigi. C'erano due signori fermi che guardavano verso il fotografo. L'immagine risale alla fine del 1800. Osservando quei signori, ho pensato che ora sono un mucchio d'ossa chissà dove. Nessuno avrebbe mai più pensato a loro se quella fotografia non li avesse fatti rivivere, almeno ieri sotto i miei occhi. Mi è sembrato come se fossi salito in una macchina del tempo e stessi sbirciando con Atget ed attraverso il suo obiettivo in quell'istante di tempo e di spazio. E mi son chiesto cosa avranno fatto dopo lo scatto, quando Atget ha richiuso il cavalletto per spostarsi altrove. Dove si saranno diretti, cosa si saranno detto. Come avranno finito la loro giornata. Chi c'era a casa ad aspettarli.
Ricordo di aver letto un libro moltissimi anni fa in cui si descriveva lo sparire di un uomo man mano che tutti i documenti che lo riguardavano venivano consumati e distrutti dal tempo, fino a quando la scomparsa dell'ultima carta ne distrugge anche il ricordo. In quel momento quel tizio è morto veramente.
Ma che discorsi tristi! A me la foto piace perchè mi dà gioia e mi aiuta a vedere ed a capire il mondo nel quale son venuto a trovarmi.
Basta così,
me ne vado a leggere "La camera chiara".
Un saluto
Enrico
margior
Messaggio: #13
QUOTE(malina @ Apr 17 2007, 11:47 PM) *

Sull'inoffensività dei travet della sofia ho comunque seri dubbi...


Anche dei non travet, nel senso che uno come Althusser che un travet non era, un bel mattino ha strangolato la moglie che dormiva accanto a lui, in un appartamento all'interno dell'Università...dal sonno alla...(ritornando in topic)

...morte.

Tutti gli aspetti emersi negli interventi appartengono alla fotografia, quindi si può dire che esista questo slittamento. Si può dire che nel rapporto con la temporalità la fotografia può essere insieme ricordo, rimemorazione, ri-vivere, quindi inserita in un flusso di coscienza, in moto...; ma può essere anche cristallizzazione, fissità, sospensione, un rimando ad un hic et nunc irrimediabilmente passato e unico.

Trovo che un'analisi attenta del rapporto della fotografia con la temporalità, ma anche con la spazialità...dischiuda inevitabilmente riflessioni di grande interesse, piuttosto che necessariamente pippe mentali. tongue.gif
PAS
Messaggio: #14
Premetto che non ho mai amato Barthes (forse nemmeno tollerato).

Ma la vera grande pippa mentale è associare la fotografia alla morte (my opinion of course).
Significa negarne l’essenza, lo scopo, la genesi.

La morte è la fuga dei ricordi.
Rammento un brano di Filippo Martinez da “Altrove è l’unico posto possibile”.
Più o meno questo
smile.gif

Messaggio modificato da PAS il Apr 19 2007, 10:45 AM
davidebaroni
Messaggio: #15
QUOTE("malina")
Mah, per citare uno a caso, "non farei mai parte di un club che mi ammettesse fra i propri soci", o giù di lì

Beh, chiamare "filosofo" (o amante della sofia... wink.gif ) l'autore di questa frase mi pare un filino azzardato, visto che si tratta di... Groucho Marx!!! biggrin.gif
Comunque, ammetto che a questo punto della discussione mi viene più in mente un altro, di cui non ricordo il nome, che diceva che "Ogni tanto, è bene fare una pausa nella nostra ricerca della felicità ed essere semplicemente felici". wink.gif

Parafrasandolo, mi chiedo se, ogni tanto, non sia il caso di fare una pausa nella nostra ricerca del significato della Fotografia e, semplicemente, fotografare... laugh.gif
marcofranceschini
Messaggio: #16
QUOTE(twinsouls @ Apr 19 2007, 12:51 PM) *

Parafrasandolo, mi chiedo se, ogni tanto, non sia il caso di fare una pausa nella nostra ricerca del significato della Fotografia e, semplicemente, fotografare... laugh.gif

Ciao Davide

in realtà credo che tutte le riflessioni nate in questo 3D possano derivare da una pausa nel fotografare, da dedicare anche alla ricerca del significato della Fotografia.
Non ritengo inutile parlare di questo, come non ritengo inutile parlare di sensori, ottiche e post-produzione.

Non mi piace vedere relativizzata e considerata "pippa mentale" una qualsiasi riflessione che riguardi il significato della Fotografia.

Credo che in assoluto sia importante tanto sapere perchè utilizzare un'ottica o un tempo di otturazione o un modello di macchina fotografica piuttosto che un altro, quanto sapere "il perchè" si scatta una fotografia, ma soprattutto credo sia importante sapere cosa pensano e come vivono l'esperienza del nostro atto fotografico, tanto lo "Spectrum della fotografia quanto lo "Spectator" .

(MMFR)...Marco

malina
Messaggio: #17
QUOTE(twinsouls @ Apr 19 2007, 12:51 PM) *

Beh, chiamare "filosofo" (o amante della sofia... wink.gif ) l'autore di questa frase mi pare un filino azzardato, visto che si tratta di... Groucho Marx!!! biggrin.gif
Comunque, ammetto che a questo punto della discussione mi viene più in mente un altro, di cui non ricordo il nome, che diceva che "Ogni tanto, è bene fare una pausa nella nostra ricerca della felicità ed essere semplicemente felici". wink.gif

Parafrasandolo, mi chiedo se, ogni tanto, non sia il caso di fare una pausa nella nostra ricerca del significato della Fotografia e, semplicemente, fotografare... laugh.gif

Per citare uno a caso, non per citarNe uno a caso!
Poi, Groucho o Karl, che differenza fa? ;P

R. Barthes lo digerisco a malapena e credo non abbia mai fatto una foto in vita sua, nemmeno con una protopolaroid: mi dà l'impressione di uno che quella pausa manco sappia cosa sia...

Peraltro non ci vedo niente di terribilmente mentalonanistico nel dire che i ritratti mi danno sensazioni mortifere, proprio perchè si tratta -per me che la provo- di una sensazione; ma forse morte è solo una parola tabu in questa nostra era di giovinezza come valore assoluto (forse perchè l'Italia è un triste paese sempre più popolato da vecchi?).
davidebaroni
Messaggio: #18
QUOTE("mmfr")
Credo che in assoluto sia importante tanto sapere perchè utilizzare un'ottica o un tempo di otturazione o un modello di macchina fotografica piuttosto che un altro, quanto sapere "il perchè" si scatta una fotografia, ma soprattutto credo sia importante sapere cosa pensano e come vivono l'esperienza del nostro atto fotografico, tanto lo "Spectrum della fotografia quanto lo "Spectator" .

E proprio qui sta il punto... Cosa significa per te (o per chiunque altro che non sia Barthes wink.gif ) la fotografia non te lo può dire Barthes. TU sei l'UNICO che sa cosa significhi per te, come chiunque altro è l'unico a sapere cosa significhi per lui. Quello che IMHO è una pippa mentale è cercare un significato univoco, universale... Quello che fanno, appunto, Barthes e millanta altri. smile.gif

QUOTE("malina")
Peraltro non ci vedo niente di terribilmente mentalonanistico nel dire che i ritratti mi danno sensazioni mortifere, proprio perchè si tratta -per me che la provo- di una sensazione; ma forse morte è solo una parola tabu in questa nostra era di giovinezza come valore assoluto (forse perchè l'Italia è un triste paese sempre più popolato da vecchi?).

E su questo sono d'accordo: dire che "ti danno" sensazioni mortifere può essere condivisibile o meno, ma ha il grandissimo pregio di esprimere una sensazione TUA, personale, senza volerla affibbiare a tutti gli altri. smile.gif
Sul fatto che morte sia (o stia diventando) una parola (o un concetto) tabù, trovo che "culturalmente" sia vero, ma non certo per me. Se a te i ritratti danno questa sensazione, nema problema. Magari, ecco, per capire meglio, potrei chiederti "cosa, specificamente, ti dà l'idea della riduzione a due dimensioni e fissità e in che modo questa si collega alla morte?", oppure cosa significa per te che l'immagine fotografica ti sopravviva...

...Ma non lo farò. rolleyes.gif

Ciao,
Davide

Messaggio modificato da twinsouls il Apr 19 2007, 09:39 PM
_Nico_
Messaggio: #19
Ho riletto questo libro proprio giorni fa. L'avevo letto molti anni fa, e non m'aveva convinto quello che Barthes chiama il "punctum". Ma prima di parlarne eventualmente in seguito, forse è bene spezzare una lancia in favore di Barthes e del suo libro.

Non amo la semiotica. Mi sono laureato in una facoltà in cui questa disciplina impazza, perché v'insegnano Eco e i suoi allievi. Ho anche dovuto affrontare l'esame di semiologia dell'arte. Ma Roland Barthes è diverso, e soprattutto la Camera chiara non vuole essere un'analisi semiotica della fotografia, e non ha alcuna pretesa di spiegare ad alcuno cosa sia la fotografia.

Roland Barthes, molto semplicemente, comincia a interrogarsi su cosa sia per lui la fotografia dopo la morte della madre, e immediatamente dichiara che non ha pretesa di classificare e generalizzare: «decisi perciò di assumere come punto di partenza della mia ricerca solo poche foto: quelle che ero sicuro esistessero per me». (il corsivo è di Barthes). Non solo, ma dichiara che il suo assunto è tutt'altro che scientifico, e anzi è agli antipodi: «avrei tentato di formulare, a partire da alcuni umori personali, la caratteristica fondamentale, l'universale senza il quale la Fotografia non esisterebbe» (il neretto, invece, è mio).

Il rapporto tra la fotografia e la morte resta in effetti ambivalente, nel testo di Barthes. Da un lato non mi convince del tutto. Dall'altro so che ha ragione quando annota la concomitanza tra la fortuna della fotografia e la "crisi della morte" nella società occidentale. La questione è complessa ma comunque oggi, per la nostra società, la morte non è parte integrante della vita, non ne è il compimento, ma è un accidente.

Il punto forse più chiaro, al proposito, è questo, nel testo di Barthes: «le società del passato facevano in modo che il ricordo, sostituto della vita, fosse eterno e che almeno la cosa che esprimeva la Morte fosse essa stessa immortale: era il Monumento. Ma facendo della Fotografia il testimone principale e come naturale di "ciò che è stato", la società ha rinunciato al Monumento».

A parte questo aspetto, il libro regala riflessioni preziose sulla fotografia e il nostro rapporto con le sue immagini. Barthes non ne voleva certo fare un caposaldo per la spiegazione urbi et orbi della foto. Voleva solo capire cosa lo affascinava di questo mezzo di comunicazione, da spettatore. Credo che anche per chi usa la foto come strumento per fissare l'istante le riflessioni di Barthes possano essere interessanti. La farina è la foto, le riflessioni di Barthes possono essere il lievito che aiuta a dare senso nel fotografare.
Gennaro Ciavarella
Messaggio: #20
anche io non lo amo ma mi ritrovo in toto con le riflessioni di Nico

certe riflessioni mi hanno ricordato l'incipit di Tristi Tropici di Levi Strauss e come lui racconta l'abbandono dei suoi studi precedenti per approdare all'antropologia
ConteMaxS
Messaggio: #21
Ma.....Barthes non è il portiere della Nazionale di calcio Francese?
Ah, no...quello è Barthez, scusate.
Vabbuò, comunque, alla fine è la stessa cosa.
malina
Messaggio: #22
QUOTE(ConteMaxS @ May 4 2007, 10:04 PM) *

Ma.....Barthes non è il portiere della Nazionale di calcio Francese?
Ah, no...quello è Barthez, scusate.
Vabbuò, comunque, alla fine è la stessa cosa.

Beh, d'altrone Levi-Strauss è quello dei jeans!
PAS
Messaggio: #23
QUOTE(ConteMaxS @ May 4 2007, 10:04 PM) *

Ma.....Barthes non è il portiere della Nazionale di calcio Francese?
Ah, no...quello è Barthez, scusate.
Vabbuò, comunque, alla fine è la stessa cosa.


biggrin.gif
Bentornato Conte
ci manchi!
 
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