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Seguendo Le Orme Dei Pionieri Della Fotografia::
Un primo calotipoa
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enrico
Messaggio: #451
Cari amici,
vi chiedo scusa se vi ho fatto attendere. Ma, come dice il proverbio: "L'uomo propone e Dio dispone".
Sono dovuto andare a Chieti più volte e domani dovrò tornarci. In più, ho avuto problemi col computer che solo ora si è sbloccato.
Ho sensibilizzato una delle 5 lastre all'albumina che, appena immersa nella soluzione di nitrato d'argento (che tengo al buio), ha mostrato la caratteristica reazione di precipitazione che la rende lattescente. L' ho esposta in giardino, riprendendo le sedie appoggiate al tavolino.
Quando si inizia con qualcosa di nuovo - nel mio caso l'aggiunta di bromuro di potassio - ci si trova di fronte a molte incognite. Primo problema: l'esposizione. Mi sono regolato andando a rivedere le mie precedenti prove all'albumina ed ho deciso di tenere scoperto l'obiettivo per 5 minuti sotto la luce di un cielo parzialmente velato. Il soggetto è di un bianco puro. L'incognita nel mio caso è sull'influenza del bromuro. Certo, quello dell'esposizione deve essere stato un problema per i primi fotografi che dovevano, proprio come ho fatto io, regolarsi ad occhio ed in base all'esperienza: prove ed errori. Ho un antico testo in francese sul problema dell'esposizione fotografica che devo leggere.
Immersa la lastra nel rivelatore a base di acido gallico, ho atteso diversi minuti nella speranza che comparisse qualcosa, ma niente. Ho ipotizzato che lo sviluppo si fosse esaurito e, per averne conferma, ho acceso la luce bianca. Infatti, la lastra è rimasta qual era. Ho notato solo una debole traccia di immagine, appena visibile. Anche il fissaggio non è stato capace di rendere limpida la lastra.
Ho gettato tutto ripromettendomi di preparare dei bagni freschi e di ripetere la prova.
Intanto, visto che ho parlato di luce di sicurezza e della lampada frontale di cui faccio uso, vi mostro alcune "lanterne" che si usavano nel passato, a candela, a petrolio, a gas ed elettriche. Utilizzavano un vetro color rubino.
Che strano, le luci di sicurezza si chiamavano "lanterne", proprio come i prismi di tela bianco-arancio che usiamo per marcare i punti di controllo nelle gare di orienteering... e la mia lampada frontale che uso per l'orienteering notturno, assume entrambe le vesti hmmm.gif
A presto
Enrico


Immagine Allegata
Mr Blonde
Messaggio: #452
salve a tutti... bazzico nel forum da un po' di tempo restando sempre in silenzio... questa sera mi sono imbattuto in questo thread e non sono riuscito a resistere... devo complimentarmi con il signor enrico per i suoi lavori... sono giovane, ho appena finito una scuola superiore di fotografia e manterrò la fotografia probabilmente come passione.... resta il fatto che ammiro il lavoro presentato in queste pagine e mi ha dato l'ispirazione per, un giorno, cimentarmi in queste pratiche manuali, che riportano la fotografia ad un gesto artigianale e maggiormente artistico... ho notato che enrico anticipava le foto dicendo che per alcuni potevano sembrare schifezze... nient'affatto, meritano rispetto.... anche di più di una bella foto elaborata in post produzione.... beh...mi sto dilungando...ancora complimenti...saluti stefano
enrico
Messaggio: #453
Ciao Stefano e grazie per le tue espressioni.

Ho preparato sviluppo e fissaggio freschi in attesa di esporre la seconda lastra. Per oggi però non se ne parla, visto che questa mattina il cielo è coperto e la luce è poca. Il pomeriggio poi sarò fuori.
Approfitto però per parlare di un altro evento importante della storia della fotografia: la fotografia aerea. Su questa ho fatto nel 1984 qualche esperienza che è in sintonia con questa discussione.
Uno dei pionieri è stato Nadar che ha fotografato Parigi da un pallone aerostatico. L'immagine che segue riprende Nadar dentro una navicella, ma molto probabilmente si tratta di una foto in studio:

IPB Immagine

Questo è invece un collage di foto aeree di Parigi. Nadar usava il collodio e quindi doveva preparare le lastre ed esporle nell'angusto spazio della navicella:

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

Io mi sono servito di una mongolfiera di carta velina del volume di circa 4 metri cubi. La foto che segue è la mia prima foto aerea, in pratica il tetto di una casa di fronte alla scuola elementare di Borgo Ottomila nel Fucino. L'ho fatta appendendo all'aerostato (in volo vincolato) una camera oscura autocostruita di cartone, con l'obiettivo formato da una sola lente (si nota la forte aberrazione alla periferia dell'immagine). Anche l'otturatore me lo costruii. Si trattava in pratica di un otturatore "a ghigliottina" costituito da una striscia di cartone provvista di un foro che scorreva, grazie ad un elastico, all'interno di altre due striscie munite anch'esse di un foro. Lo scatto avveniva grazie alla combustione di un filo di fermo da parte di una miccia fatta con una treccia di fili di cotone imbevuti di una soluzione di nitrato di potassio. La miccia mi dava il tempo di portare la mongolfiera in quota. La foto è stata presa ad una decina di metri dal suolo:

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

E questa è una mia mongolfiera. Non ricordo se è la stessa che ha scattato la foto. La sto preparando per un lancio "non fotografico". Avevo molti anni di meno e molti capelli di più biggrin.gif :

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

Nella scatoletta inserivo una pellicola piana di formato 6,5 x 9 cm. Ricordo che la sviluppavo in piena luce con uno stratagemma (avevo la tank per il 35 mm soltanto): utilizzavo le buste di plastica nera che avvolgevano i fogli di carta fotografica, buste che erano assolutamente impermeabili ai liquidi ed alla luce. Inserivo al buio il negativo e poi chiudevo la busta a due livelli con una coppia di stecche, unite da un elastico su di un lato e fermate sull'altro da una molletta da bucato. Fissavo una coppia di stecche sulla busta in basso, poco sopra il negativo. Versavo nella parte superiore le soluzioni e chiudevo la sommità della busta con una seconda coppia di stecche. A quel punto potevo allentare la morsa della coppia più in basso così che la soluzione potesse raggiungere il negativo. Procedevo all'inverso per vuotare la busta.
La foto in basso è stata fatta da una quarantina di metri di quota, con una seconda scatola alla quale avevo fissato l'obiettivo di una macchina a soffietto. Si tratta sempre di Borgo Ottomila. E' leggermente mossa:

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

La foto che segue, è stata fatta a Celano.
Quei puntini verso il centro della foto siamo io e i bambini della scuola. Si notano, fuori fuoco. i tre fili della briglia a cui era attaccato il cavo di vincolo dell'aerostato.
Ho anche una ripresa cinematografica grazie ad una piccola cinepresa prestatami da un incosciente amico, ma è troppo pesante per poterla allegare. A chi interessa, posso inviarla in privato, se la sua casella di posta è sufficientemente capiente.

IPB Immagine

A presto
Enrico

Mr Blonde
Messaggio: #454
veramente interessante... resto scioccato dal tuo modo di procedere, così rudimentale ma altamente preciso... ancora complimenti!!!!
enrico
Messaggio: #455
Cari amici,
mi piacerebbe riempire questa discussione con continui "eureka!" per voi e per me, ma non è così semplice. Oggi ho ripetuto l'esposizione: 10 minuti in pieno sole. Ho utilizzato lo sviluppo fresco. Appena estratta dallo chassis, sulla lastra compariva qualcosa in corrispondenza delle alte luci del soggetto, per effetto dell'annerimento diretto, tanto che ho temuto di aver esagerato con l'esposizione. Immersa in acido gallico, dove è rimasta per una mezz'ora, non ha mostrato nessun annerimento ulteriore. L'albumina invece, si è parzialmente solubilizzata, rendendo torbida la soluzione (che ho poi gettato). Forse non l'ho scaldata a sufficienza sulla fiamma del gas come ho fatto l'altra volta? Eppure, su un "Trattato di chimica fotografica" di fine 800 che ho, si dice che la coagulazione dell'albumina, al fine di renderla insolubile in acqua, può essere fatta col calore, ma che lo stesso risultato si ottiene con l'immersione nella soluzione di nitrato d'argento: passaggio obbligato per la sensibilizzazione della lastra e che, ovviamente, ho fatto. Ma il vero problema è la mancanza di sensibilità dell'emulsione. Effetto del bromuro di sodio?
Come dovrò procedere? Ripreparo della nuova albumina utilizzando una minore quantità di bromuro?
Credo che dovrò farlo.
Intanto potrei provare in parallelo il bromuro d'argento da solo, sensibilizzando della carta.
La strada è ancora lunga. Ci siete tutti in carrozza, o qualcuno è già sceso? unsure.gif
Un saluto
Enrico
enrico
Messaggio: #456
Cari amici,
credo di aver risolto il mistero della scarsa sensibilità. Sono andato a rivedermi la procedura che ho usato per le mie prime lastre all'albumina (ho un raccoglitore dove conservo copia delle mie immagini, assieme a tutti i dati ad esse relative). Avevo messo allora nelle due chiara d'uovo, 22 gocce di una soluzione satura di ioduro di potassio: molto meno di questa seconda volta.
Già Talbot aveva notato che un eccesso di sale rispetto al nitrato d'argento, riduce fortemente la sensibilità. Infatti, prima di utilizzare l'iposolfito suggeritogli da Herschel, utilizzava come fissatore una soluzione concentrata di sale da cucina.
Pulirò le due lastre utilizzate fin'ora e le altre tre, per ricavarne i vetri, e ripeterò il tutto, questa volta con una fondata speranza di successo.
A dire il vero, quando l'albumina stesa sulla lastra si è rappresa seccandosi, ha assunto un aspetto finemente grinzoso. Ricordavo che l'altra volta una struttura simile l'avevo notata solo dopo l'esposizione al calore, ma non ne sono sicuro. Ora mi viene il dubbio che sia dipesa invece dalla concentrazione troppo alta di sale.
In un testo di chimica fotografica del 1864 che ho iniziato a leggere, si parla di 4 grammi di ioduro di potassio in dieci chiare d'uova.
Mi atterrò alla mia precedente esperienza che ha dato esiti positivi. Potrebbero andar bene 20 o 18 gocce di una soluzione satura di ioduro di potassio, 4 o 3 gocce di bromuro ed una di cloruro.
A presto
Enrico
enrico
Messaggio: #457
Da tutto questo armeggiare e dalle letture relative ai pionieri (Ando Gilardi li chiama "protofotografi"), mi sono reso pienamente conto che i fotografi dell'ottocento erano dei veri artigiani, cioè avevano acquisito delle conoscenze ed una manualità incredibili, grazie all'esperienza. Ed allora conoscenze approfondite e manualità erano indispensabili per far fotografie, tanto che per essere fotografi non bastava solo essere benestanti. Oggi l'industria ci ha reso tutto più facile e per fotografare non occorre più essere dei bravi artigiani. Basta inquadrare e premere il bottone (voi premete il bottone e noi facciamo il resto diceva Eastman). Ma forse abbiamo perso qualcosa. Sempre Gilardi afferma che oggi "non si fa una fotografia, ma la si prende".
Non condivido che in parte questa analisi, indubbiamente acuta. Un conto è fare una foto, un altro è fare una foto valida da un punto di vista espressivo. Ma questo è un discorso che ci porterebbe lontano.
Anche una analisi dei termini "artista" ed "artigiano" ci porterebbe lontani e starebbe meglio nella categoria "Temi" di questo forum.
A me piace rivalutare l'artigiano, come piace rivalutare la foto come documento, vista troppo spesso e superficialmente come "inferiore" alla foto cosiddetta "artistica". Ma forse sto andando OT.
Un saluto
Enrico
enrico
Messaggio: #458
Cari amici,
di nuovo posso esclamare: "Eureka!". Anche se per i calotipi non ho più problemi ed il successo era quasi scontato.
Infatti ho esposto un calotipo, ma sensibilizzato per la prima volta col bromuro d'argento.
La scena era in pieno sole (le solite sedie appoggiate al tavolino che ho cercato di riprendere con le lastre all'albumina) ed ho esposto per un minuto. Alla luce di sicurezza, la sagoma delle sedie era già ben delineata per annerimento diretto. In acido gallico, l'immagine si è sviluppata in un paio di minuti.
Avrei potuto esporre quindi molto meno: 30 o 20 secondi sarebbero stati sufficienti o forse meno ancora. Il bromuro d'argento è il più sensibile degli alogenuri.
Il solito difetto/pregio dei calotipi è nella visibilità della grana della carta. Non mi resta a questo punto che riprovare con l'albumina e mettere a raffronto la qualità delle due immagini, certamente molto più chiare e nitide sul supporto di vetro.
A presto
Enrico

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

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fabriziobargellini
Messaggio: #459
QUOTE(enrico @ Jan 30 2007, 01:54 AM) *
Cari amici,
la parte ottica non mi crea problemi. Devo lavorare sulla parte chimica. La procedura è quella di bagnare la carta con una soluzione di sale da cucina (cloruro di sodio). Una volta asciutta, passo col pennello una soluzione di nitrato d'argento. Ciò crea dei fini precipitati di cloruro d'argento insolubile fra le fibre della carta (e nitrato di sodio solubile).
Mi propongo alcuni obiettivi:
a - produrre una distribuzione del cloruro d'argento il più uniforme possibile perché non si formino chiazze di diversa densità e macchie.
Mediante delle prove, vedrò se è meglio immergere totalmente la carta nella soluzione di cloruro di sodio (come ho fatto fin'ora) o passare anche questa col pennello (usando naturalmente un pennello diverso per ogni soluzione).
b - Vedere quali sono le concentrazioni più adatte e in che rapporto debbono stare. Talbot scoprì che la carta diventava più sensibile se si utilizzava una soluzione debole di sale da cucina ed una forte di nitrato d'argento. Si tratta di indicazioni qualitative (debole quanto? forte quanto?) da stabilire quantitativamente mediante delle prove. Se la concentrazione del sale da cucina invece prevale, la carta perde sensibilità; Talbot infatti usava agli inizi come stabilizzatore (non si può parlare di fissaggio perchè così non si eliminava il cloruro non colpito dalla luce), una soluzione forte di sale da cucina dopo l'esposizione.
In queste prove, ripeto i suoi primi procedimenti: praticamente sto usando una carta ad "annerimento diretto". Fu Talbot infatti a scoprire in seguito l'immagine latente ed a svilupparla con l'acido gallico. Non so se tale acido si trovi ancora oggi. Allora si estraeva dalle galle e dalla pianta di sommacco. Ho chiesto ad un amico farmacista di vedere se si trova.
Pare che Talbot abbia saputo delle proprietà dell'acido gallico da una comunicazione di un certo reverendo Reade la cui storia è gustosa. Reade stava ripetendo gli esperimenti di Wedgwood col nitrato d'argento per i quali questi utilizzava il cuoio perchè risultava più sensibile della carta. Così Reade utilizzò un paio di guanti di capretto che la moglie gentilmente gli diede. Ma alla seconda richiesta la signora giustamente si rifiutò. Pensando che la maggior sensibilità della pelle rispetto alla carta dipendesse dalle sostanze usate per la concia, pensò bene di "conciare" la carta. Allora per la concia si usava l'acido gallico...
Vedrò anche se, asportando mediante lavaggio il nitrato di sodio solubile, aumenta la sensibilità.
In effetti il primo (e molto prima di Talbot) a fissare l'immagine di una camera oscura, fu Niepce che però abbandonò l'impresa, sia perchè non riuscì a renderla stabile, sia perchè i toni risultavano invertiti e si dedicò a trovare una sostanza che alla luce non annerisse ma imbianchisse.
Più avanti, ho pensato di preparare della carta all'albumina.
Sono convinto che un conto è studiare la storia della fotografia, un conto è riviverla. Le emozioni che ciò mi procura, valgono bene tutta la fatica ed il tempo che ciò richiede.
Per evitare che la carta raggrinzi, ho preparato un supporto di compensato sul quale stenderla.

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

Appena ho tempo, faccio un'altra prova di esposizione.
Un saluto
Enrico


Ciao enrico, ho letto in un sosrso i tuoi esperimenti e mi hai riportato agli anni 60 quando iniziai a fotografare che su una rivista non fotografica, fai da te, allora di riviste c'era solo Progresso Fotografico e Phopular Photography, trovai come costruirsi un ingranditore utilizzando una fotocamera a soffietto, presto fatto con il bricolage mi feci l'ingranditore, avevo un amico falegname e non mi fu difficile, il passo successivo, avendo vinto ad una mostra fotografica un obiettivo (Eidon 205) offerto dalla Ferrania costruii ancora l'ingranditore, allora scoprii anche la possibilita di sensibilizzare la carta ecc. poi con il tempo e l'evoluzione il mio proseguire ha seguito l'evoluzione tecnica fino ad arrivare oggi al digitale. Be devo farti i miei complimenti hai fatto un bellissimo oggetto e quello che apprendo e che tu fai i corsi di foto.
Ancora piu i miei complimenti, ora non mi interesso piu di fotoclub ecc se non praticandone guasi come esterno, ma in passato se vai agli annuari troverai il mio nome come presidente fondatore di fotoclub (2) e Sergio Magni, con Gorgerino, Conti, Tani ecc sono venuti alle serate dei corsi fotografici dove hanno trovato anche 50 partecipanti. Tempi passati.
Ma tu ora hai risvegliato in me una parte di interesse sul passato.
Pertanto oltre farti i miei complimenti, ti seguiro passo passo e magari cercando il tuo dotto aiuto.
Ti saluto cordialmente
Buon lavoro, e buon divertimento.
Fabriziob
enrico
Messaggio: #460
Ciao Fabrizio e grazie,
il tuo nume non mi è nuovo, probabilmente ho visto delle tue foto in qualche annuario FIAF.
Mi parli di ingranditore autocostruito e mi hai riportato alla mente il mio primo ingranditore, che ho ancora e che mi costruì mio padre. Un ingranditore "a siluro", con una galleria prismatica di specchi, una lampada su di una parabola che altro non era se non un faro di automobile, un vetro smerigliato dall'altra. E per obiettivo, la macchina a soffietto di mio padre che faceva in quell'occasione il lavoro "al contrario".
Sono felice che ci sia anche tu in questo viaggio nel tempo.
Con simpatia
Enrico
enrico
Messaggio: #461
Per avere dei punti di riferimento, ho raccolto i dati delle mie prove, di quelle che mi hanno dato buoni risultati. Ve li riporto:

Concentrazione delle soluzioni:

carta salata: soluzione passata a pennello di sale (cloruro, ioduro o bromuro) a concentrazione 0,5 molare

albumina: 22 gocce di una soluzione satura di ioduro di potassio in due chiare d’uova.

Sviluppo all’acido gallico: soluzione satura di acido gallico diluita 1 + 4 (1 a 5) con acido acetico e qualche goccia di nitrato d’argento.

soluzione di nitrato d’argento: 12 grammi di nitrato d’argento in 120 ml di acqua distillata


Valori medi di esposizione in pieno sole:

eliografia (gomma arabica con bicromato di potassio): 8 ore

carta al cloruro d’argento ad annerimento diretto: 2 ore

carta allo ioduro d’argento sviluppata in acido gallico: 1 minuto

lastra di vetro albuminata, allo ioduro d’argento: 5 minuti

carta al bromuro d’argento sviluppata in acido gallico: 30 secondi

A presto
Enrico
enrico
Messaggio: #462
Cari amici,
ho appena preparato della nuova albumina: due tuorli, 15 gocce di soluzione satura di ioduro di potassio, 3 di bromuro di potassio, 2 gocce di soluzione di cloruro di sodio 0,5 M. Per seguire la procedura di Gustave Le Gray che raccomanda di sbattere i bianchi con una forchetta di legno, ho ripreso lo sbattitore che avevo costruito in compensato e questa volta, anziché nell'avvitatore, l'ho inserito in qualcosa di più potente biggrin.gif ...

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

Adesso l'emulsione è a riposare. Domani preparo delle nuove lastre.
Enrico
enrico
Messaggio: #463
Per tenervi aggiornati:
ho steso l'emulsione sulle 5 lastre e su di un foglio di carta per acquerelli.
Questa volta ho controllato l'orizzontalità delle lastre una per una (e non quella del solo foglio di compensato sul quale le ho adagiate, come ho fatto la volta scorsa), mediante una piccola livella a bolla disposta di volta in volta in due direzioni ortogonali sull'estremità libera del vetro. L'uniformità dello spessore ora dovrebbe essere perfetta.
ENrico
Anteprima(e) allegate
Immagine Allegata

 
danighost
Nikonista
Messaggio: #464
Le sedie le vedo piuttosto nitide per essere su carta.

Però che frullatore. biggrin.gif

Ti auguro buona luce con la nuova soluzione all'albumina, che sia la volta buona?
Se anche non fosse, non credo sia un dramma, piuttosto che le formule che segui vadano bene, mi chiedo se allora non venivano scritte correttamente per evitare di essere copiati.

Ultima domanda, come facevi a far scattare le foto? Del primo aerostato (si scrive cosi?), lo hai scritto, mentre per gli altri?
enrico
Messaggio: #465
QUOTE(danighost @ Aug 29 2007, 07:03 PM) *
Ultima domanda, come facevi a far scattare le foto? Del primo aerostato (si scrive cosi?), lo hai scritto, mentre per gli altri?


Sempre con una miccia di cotone imbevuta di nitrato di potassio. L'obiettivo che usavo è questo:

IPB Immagine

Vedi quelle due levette che sporgono sulla sinistra? Una serve per caricare la molla, l'altra aziona lo scatto dell'otturatore. Fissavo a questa levetta, aiutato dal foro centrale che si vede, un elastico teso da una parte ed un filo di cotone che ne assorbiva la tensione dall'altra. Elastico e filo erano fissati dal capo opposto ad una struttura leggera in filo di ferro zincato. Al filo era fissata una estremità della miccia (che correva all'interno di una spirale fatta col fil di ferro). A qualche centimetro, posizionavo un secondo filo che reggeva un disco di cartone rivestito con alluminio da cucina (per aumentarne la visibilità).
Questo disco mi avvisava cadendo, quando l'otturatore era prossimo allo scatto. A quel punto, bloccavo il cavo di vincolo e facevo terminare la salita della mongolfiera, che aveva il tempo di stabilizzarsi ed evitavo così le oscillazioni che mi avrebbero procurato una immagine mossa.
Quando il fuoco arrivava al filo e lo bruciava, l'elastico non più bloccato faceva scattare l'otturatore.
Ciao
Enrico
danighost
Nikonista
Messaggio: #466
grazie.gif ingegnoso ohmy.gif guru.gif
enrico
Messaggio: #467
Cari amici,
vi relaziono sull'attività di oggi. Ormai questo forum è diventato un po' il mio "giornale di bordo" sul quale posso tornare a rivedere le procedure che ho utilizzato. Descrivo tutto nei dettagli anche perché potrei essere utile, chissà, a qualcuno che volesse ripetere le mie esperienze.
Gustave Le Gray dice di esporre le lastre all'albumina, una volta secche, all'azione del calore di un fuoco ad una distanza dove la temperatura sia di 70° - 90°.
Ho acceso il fornello piccolo del gas, quello del caffè dry.gif e ho posto sulla fiamma un termometro da laboratorio, avvicinandolo fino a che non ha segnato 80° (a circa 30 cm). A quella distanza ho posto una lastra alla volta per uno-due minuti. Ora sono pronte per la sensibilizzazione e l'esposizione.
Intanto, pensando alla gelatina, prossima tappa, e speranzoso di aumentare la sensibilità delle mie emulsioni, ho iniziato a progettare un otturatore a ghigliottina da adattare alla mia "camera obscura". A tal proposito, sto leggendo: "La photographie instantanée", un trattato del 1888 che parla, fra l'altro, degli otturatori. A pag. 26 descrive un metodo per determinare la velocità di un otturatore a ghigliottina (stavo per dire che di ghigliottine i francesi se ne intendono, ma mi sono ricordato che il volume è una traduzione in francese di un testo di J. M. Eder di Vienna, per cui ho pensato di risparmiarvi la battuta rolleyes.gif ), che non posso fare a meno di riportarvi, pensando ai sistemi elettronici moderni:

"... Un aide, placé dans une chambre obscure, tient en main, le bras tendu, un fil de magnésium incandescent, auquel il imprime un mouvement de rotation de façon à faire une évolution entière par seconde. L'opérateur compte ègalement les secondes, et dès qu'il juge le mouvement uniforme et normal, il fait fonctionner l'obturateur. Au développement de la glace sensible, on obtiendra un segment de cercle absolument net et visible. On prend alors le diamètre du cercle décrit et on le rapporte sur le papier. On y trace le segment photographié et on cherche à l'aide d'un rapporteur gradué quelle fraction du cercle entier ce segment représente....
La précision de cette méthode est largement suffisante dans les cas ordinaires
"

In sintesi, l'autore dice di far mettere in rotazione, a braccio teso, da un assistente, un filo di magnesio acceso. L'assistente deve ruotare il braccio compiendo un giro completo nello spazio di un secondo. (Il filo di magnesio brucia lentamente con una fiamma vivissima. Quella della combustione del filo di magnesio, è una esperienza che faccio a scuola con i ragazzi quando parlo delle ossidazioni e delle reazioni esotermiche). E non poteva scegliere altra sorgente l'autore del libro, in considerazione della scarsa sensibilità del materiale sensibile del tempo che pure, in situazioni di luce intensa, permetteva di fare delle istantanee ( i tempi andavano da 1/10 ad 1/100 di secondo).
Sviluppato il negativo, con un goniometro si vedeva che frazione della circonferenza era impressa sulla lastra. Tale frazione coincideva con il tempo di posa espresso in frazioni di secondo.
Gli otturatori a ghigliottina erano a caduta e, per aumentarne la velocità, vi veniva applicato un elastico.

A bientot
ENrico
enrico
Messaggio: #468
Cari amici,
ho esposto la prima lastra all'albumina. Cinque minuti al sole. Sotto l'azione dell'acido gallico, con una certa emozione ho visto delinearsi nitidi e decisi i contorni delle sedie:

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

Sono soddisfatto per l'esito positivo della prova, ma non completamente visto che c'è più dettaglio nella prova su carta, mentre dovrebbe essere il contrario. Disturba poi la forte reticolatura dello strato di albumina. Questa reticolatura era presente anche nelle mie precedenti prove all'albumina (nelle quali però il dettaglio era superiore di molto). In questo caso lo potrei attribuire al fatto che, fra lo sviluppo ed il fissaggio, ho immerso la lastra in un secchio che, inavvertitamente, avevo riempito con acqua calda. C'è ancora da lavorare per migliorare i risultati ma, sia pure lentamente, stiamo procedendo sulla via giusta.

Alla prossima esposizione.
ENrico
enrico
Messaggio: #469
Sono stato ad osservare le lastre non ancora sensibilizzate e una struttura reticolare c'è, causata dall'esposizione al calore per far coagulare l'albumina. Cercherò di limitarla quanto più possibile, evitando di usare il fonh per asciugarle. Vedremo.
Espongo le mie lastre in condizioni di pieno sole e di elevato contrasto della scena e rinunzio in situazioni di cielo fortemente velato o coperto. Ciò deriva dal fatto di non poter determinare con precisione l'esposizione che dipende non solo dalla luce esterna, ma anche dal materiale sensibile.
Le considerazioni sono queste:

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

Data la limitata latitudine di posa dei miei materiali sensibili, un ampio contrasto della scena fotografata, mi permette di ottenere delle immagini decenti, anche con errori di esposizione consistenti (In alto nello schema).
In caso di debole contrasto invece, basta poco per trovarsi dei negativi del tutto sovraesposti o insufficientemente impressionati e quindi con nessuna immagine.
L'industria produce materiali con caratteristiche standard e costanti, cosa piuttosto difficile da ottenere con procedimenti artigianali.
La difficoltà dei primi fotografi ad ottenere delle esposizioni corrette, è dimostrata dall'uso che si faceva un tempo dei bagni di rinforzo e di riduzione: chi si ricorda del riduttore di Farmer?
A presto
Enrico
enrico
Messaggio: #470
Cari amici: EUREKA!
ho bandito l'uso del phon con l'albumina, uso che invece non mi ha dato problemi con la carta.
Ieri sera ho sensibilizzato una lastra e l'ho posta ad asciugare al buio per tutta la notte. Questa mattina l'ho esposta, inquadrando lo stesso soggetto, proprio per poter meglio valutare le differenze. Alle nove il sole ancora non inondava il giardino e quindi ho esposto all'ombra. Basandomi sulla volta precedente che avevo esposto per 5 minuti al sole, ho valutato "a naso" che fosse necessario aumentare di due stop. Ho così tolto il tappo all'obiettivo e l'ho rimesso dopo 20 minuti. Lo sviluppo è proceduto in maniera lenta e regolare. Non ho cronometrato il tempo, ma ho estratto la lastra per porla nel fissaggio dopo una ventina di minuti. Lo sviluppo all'acido gallico è infatti uno "sviluppo fisico" dove è l'argento presente in soluzione che determina la crescita dei cristalli che hanno ricevuto luce. Con lo sviluppo chimico, l'immagine si sviluppa invece completamente in uno o due minuti. Ma all'epoca nella quale mi trovo, l'idrochinone non è stato ancora inventato laugh.gif
Il contrasto della scena più contenuto ed il tempo di posa azzeccato, mi hanno dato un ottimo negativo, nitido e con una ricca gamma tonale.
Ora è ad asciugare nel mio "essiccatoio" in compensato.
Questa sera ve lo mostro.
Buona domenica
Enrico
enrico
Messaggio: #471
La lastra è asciutta e posso mostrarvi il risultato:

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

Un simile dettaglio non è realizzabile con un calotipo.

Questa mattina ho anche costruito un "gocciolatoio" per lastre, ispirandomi al modello presente in un testo francese del 1800:

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

La struttura è parte in legno e parte in metallo. Io l'ho realizzato tutto in compensato, per una capienza di 5 lastre:

IPB Immagine

Alla prossima lastra
Enrico
Riccardo S.
Messaggio: #472
Ciao Enrico,

complimenti per i risultati che stai ottenendo anche con questo metodo, la retinatura è decisamente inferiore e i dettagli sono belli nitidi.

Ma con l'albumina è possibile ottenere una lastra con assenza completa di retinatura? Aumentare lo spessore del composto aiuterebbe o creerebbe problemi?

Continuo a segurti.

Riccardo
enrico
Messaggio: #473
QUOTE(Riccardo S. @ Sep 3 2007, 05:27 PM) *
Ma con l'albumina è possibile ottenere una lastra con assenza completa di retinatura? Aumentare lo spessore del composto aiuterebbe o creerebbe problemi?


Ciao Riccardo,
non credo che sia possibile. Gustave Le Gray parla di esporre al calore la lastra fino ad ottenere una "screpolatura", che assicura l'avvenuta insolubilizzazione dell'albumina. Solo che questa screpolatura è presente anche prima dell'esposizione al calore. Osserva questa immagine:

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è un ingrandimento spinto di una lastra albuminata e non esposta al calore. Si vede bene come l'albumina, seccandosi, si frammenti in tanti pezzi dai bordi rettilinei Evidentemente si ritira e la contrazione della pellicola proteica ne causa questa caratteristica frammentazione.

Osserva quest'altra immagine:

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e di una lastra (a minore ingrandimento) esposta al calore. Non cambia molto. Si notano alcuni frammenti opachi: sono frammenti distaccatisi dalla superficie del vetro. Considera che, prima di spandervi l'albumina, ho pulito per bene il vetro e l'ho sgrassato con dell'alcool etilico.
Le Gray dice di preferire del vetro smerigliato, che consente una migliore aderenza dello strato di albumina. Mi son fatto tagliare una decina di lastre smerigliate (quanto guadagnano questi vetrai... devi vedere che prezzi). Ne ho preparata una che ti mostro:

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La reticolatura c'è sempre, ma mi sembra molto fina e regolare e priva di frammenti in via di distacco.
Per quanto riguarda la tua domanda circa l'effetto dello spessore dell'emulsione, credo non risolva nulla l'aumentarlo (oltretutto si verserebbe fuori dal vetro essendo molto fluida). Guarda quest'altra immagine:

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si tratta di una lastra "sbagliata", perché lo strato non è di uguale spessore, ma non sempre gli errori sono negativi. In questo caso rispondono alla tua domanda: dove lo strato è più sottile (sulla parte destra), la reticolatura è più contenuta, pur essendoci sempre. E soprattutto non ci sono frammenti parzialmente distaccati (quelli opachi) ben visibili e numerosi sulla parte di sinistra più spessa.

Osserva ora quest'ultima immagine:

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questo è un foglio di cartoncino per acquerelli che ho trattato con la stessa albumina delle lastre. Qui non c'è traccia di microlesioni, probabilmente grazie alla adesione assicurata dalla struttura fibrosa della carta.
D'altra parte, mentre le lastre all'albumina ebbero vita brevissima, subito soppiantate dal collodio, le carte albuminate sopravvissero per lunghissimo tempo e davano dei risultati pregevoli.

A presto
Enrico
enrico
Messaggio: #474
Ieri sera ho sensibilizzato due lastre. Questa mattina il cielo era coperto da una coltre di nubi. Poiché, una volta sensibilizzate, le lastre non si conservano per molto, le ho esposte ugualmente.
La prima per 20 minuti dalla terrazza del piano notte. E' puntata sul muretto e sul melo che ho ripreso tante volte, a cominciare dalla prima prova, fino alle eliografie. Si distinguono molto bene i palazzi sullo sfondo, sui quali quasi non si nota la reticolatura:

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Poi ho esposto la lastra smerigliata, riprendendo da distanza ravvicinata un vaso con dei peperoncini rossi (quello avevo a portata di mano smile.gif ). Ho lasciato che la luce agisse per 30 minuti, anche in considerazione dell'allungamento che mi è occorso per la messa a fuoco:

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A presto
Enrico
enrico
Messaggio: #475
Alla cortese attenzione dei gestori del forum:

da un paio di giorni, quando accedo a questa discussione, mi compare un messaggio di errore. Il più delle volte a questo segue: "Impossibile visualizzare la pagina" e mi si chiude la finestra. Non so se succede anche agli altri visitatori.
Immagino dipenda dalla mancanza di una parentesi in qualcuno degli ultimi link a qualche immagine.
Chiedo cortesemente di porvi rimedio e cancellare questo messaggio.
Grazie.
Enrico
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