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Il Lato Oscuro Della Fotografia
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apeiron
Nikonista
Messaggio: #1
Provo a riflettere sul perché i grandi riconoscimenti fotografici (World Press Photo, Pulitzer...)premino quasi sempre il dolore, l'angoscia, il grido d'aiuto...
Mi domando se davvero gli eventi più significativi sono ogni volta i drammi umani, le guerre, le catastrofi... O se anche un semplice gesto, un sorriso, una nascita..., potrebbero trovare posto.
Una grande fotografia, ha detto qualcuno, "è portatrice di un senso che va al di là dell'immagine". E di nuovo mi chiedo: è necessario entrare nel dolore per scoprire quel senso?
Provo però a guardare meglio dentro me stesso.
Devo ammettere che una fotografia che mostra il dolore, l'angoscia, ha qualcosa che mi attrae infinitamente di più. Rimane nella mia memoria più a lungo, alcune volte forse per sempre.
Solo la fotografia ha questo potere. Questo è il suo lato oscuro, il suo segreto.

John Berger scrive: "Credo sia (...) evidente quali sono le contraddizioni della fotografia di guerra. In genere si suppone che il suo scopo sia quello di suscitare un sentimento di preoccupazione. Gli esempi più estremi - come nel lavoro di McCullin - ci mostrano momenti di angoscia per costringerci a provare il massimo della preoccupazione. Tali momenti, che siano o no fotografati, sono separati da qualsiasi altro momento. Esistono in sé. Ma il lettore che è rimasto impressionato dalla fotografia, può essere portato a percepire questo distacco come un'espressione della propria inadeguatezza morale. Quando questo avviene perfino la sensazione di shock è annullata ed è possibile che sia la sua inadeguatezza morale a scioccarlo quanto i crimini commessi in guerra. I casi sono due: o si libera di questa sensazione di inadeguatezza (...), oppure pensa di dover fare una specie di penitenza, il cui esempio più tipico è di inviare un contributo all'UNICEF..."
Cosa ne pensate? hmmm.gif
Apeiron
_Nico_
Messaggio: #2
Credo fosse Eschilo a scrivere nel suo Prometeo : "essendo unica la legge: conoscenza attraverso dolore". Nietzsche chiosava, qualche annetto dopo smile.gif: "il dolore si pone sempre il problema della causa, mentre il piacere tende ad arrestarsi a se stesso e a non guardarsi indietro" (Gaia scienza, I, 13).
Forse, alla fine, vincono le foto che pongono interrogativi, piuttosto che quelle che si propongono come esercizi consolatori...
_Led_
Messaggio: #3
QUOTE(_Nico_ @ Apr 19 2006, 11:51 PM)
Credo fosse Eschilo a scrivere nel suo Prometeo : "essendo unica la legge: conoscenza attraverso dolore".
*



E'una grande verità peraltro riproposta in altri termini anche nella Genesi (la mela frutto della conoscenza).

Ma ritengo sia una pia illusione credere di "conoscere" vivendo il dolore solo attraverso l'immagine di esso.

Può essere questo il motivo del successo della "fotografia del dolore": dare la "comoda" illusione della conoscenza del dolore senza averlo vissuto effettivamente?
_Nico_
Messaggio: #4
QUOTE(Led566 @ Apr 20 2006, 03:15 PM)
Può essere questo il motivo del successo della "fotografia del dolore": dare la "comoda" illusione della conoscenza del dolore senza averlo vissuto effettivamente?

Concorderei completamente con te... smile.gif
M'è venuto in mente Blumenberg, uno studioso di metafore che ha scritto Naufragio con spettatore, partendo da Lucrezio. Blumenberg racconta di questa metafora di Lucrezio, in cui uno spettatore vede un naufragio dalla costa, e ha un duplice sentimento: d'angoscia per chi naufraga, e di sollievo per se stesso al sicuro. La metafora ha viaggiato nel corso dei secoli, ma credo che la fotografia del dolore, come l'hai giustamente chiamata, sia un ulteriore caso di naufragio con spettatore... rolleyes.gif
umancini
Messaggio: #5
Io non credo che la bellezza di una fotografia sia semplicemente legata al dolore, ma è legata a cio che comunica.
Innanzitutto i concorsi che hai citato hanno sempre al loro interno sezioni dedicate alla foto sportiva, naturale... per cui ci sono altre foto che magari vediamo meno ma comunque belle e di valore che vengono riconosciute come meritevoli di segnalazione.

Il problema è che i media ci fanno vedere sempre alcune immagini omettendo di segnalarne delle altre.

La foto che ha vinto il WPP di quest'anno racconta il dolore, cosi come quelle che hanno vinto le edizioni degli anni precedenti, perchè è quella la notizia, ed è quello che si deve far vedere.
Non significa che bisogna far vedere solo il dolore, come tu giustamente fai notare, ma in quel momento è quello che serve, perchè i giornali , cui questo premio è legato, hanno bisogno di queste immagini per essere sul mercato.

Altro discorso è dire che il dolore non è facile da raccontare e fotografare ed è per questo che esiste un premio, per far capire come si fa una fotografia del genere e come la si presenta ad un giornale.

Il discorso è molto articolato e complesso e non si esaurisce in poche righe.

Potremo dire che è piu facile colpire scattando immagini di dolore.
Oliviero Toscani ha letteralmente usato il dolore, il colpire l'attenzione degli altri per farsi conoscere; allo stesso tempo potremo dire che ha usato foto di dolore per comunicare.

Insomma, dipende sempre dai punti di vista.

Fammi sapere cosa ne pensi.
Ciao da Umberto

apeiron
Nikonista
Messaggio: #6
Sono riflessioni che ci portano lontano, forse troppo. Bello però incontrarvi anche su questi temi, Nico, Led566, Umberto...
Nico, ammiro molto il modo, mai spocchioso né condizionato da falsi pudori, di usare la tua cultura.
Non credo che la "fotografia del dolore" (bella questa definizione, Led566) sia solo una "comoda illusione...". Questa fotografia è in grado di sfiorare proprio il dolore che appartiene a tutti noi, di cui ciascuno conserva la traccia, la memoria. Per questo ne siamo così irrimediabilmente attratti.
Perfetta è la citazione di Eschilo da parte di Nico (é l'Agamennone, Nico biggrin.gif).
Simone Weil commentando questo passaggio dell'Agamennone ha scritto che Dio è il maestro che colloca la sofferenza nell'anima, "come "una cosa irriducibile, un corpo estraneo, e costringe a pensarci."
Certo Umberto, ma per quanto sia certo che il mercato oggi stabilisca i criteri ai quali anche la fotografia si sottomette, faccio fatica a spiegare tutto attraverso le sue leggi.
La passione del soggetto, di ciascuno, è sempre stata un grande interrogativo, soprattutto il senso della sofferenza.
La fotografia, volendo, ci permette di non perdere mai il contatto. Per citare Giacomelli: "benedetto chi l'ha inventata".
Ciao biggrin.gif
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #7
QUOTE(apeiron @ Apr 19 2006, 11:30 PM)
Provo a riflettere sul perché i grandi riconoscimenti fotografici (World Press Photo, Pulitzer...)premino quasi sempre il dolore, l'angoscia, il grido d'aiuto...
Mi domando se davvero gli eventi più significativi sono ogni volta i drammi umani, le guerre, le catastrofi... O se anche un semplice gesto, un sorriso, una nascita..., potrebbero trovare posto.
....................

Domanda legittima ma anche la risposta secondo me lo è. Se la tua riflessone scaturisce dall'osservazione del numero dei riconoscimenti dati alla "fotografia del dolore", dovrebbe essere altrettanto conseguente arrivare alla conclusione che la storia umana è stata ed è (purtroppo), figlia delle guerre e di conseguenza del dolore e dell'angoscia.
Che i media presentino solo questo aspetto, spettacolarizzandolo talvolta, della realtà quotidiana è un'affermazione che non solo non mi trova d'accordo ma che non corrisponde secondo me alla realtà. Per avere controprova di questo basta accendere radio televisione o sfogliare un settimanale. Balletti politici a parte, quel che ci viene propinato sono intere pagine di eventi più o meno sportivi frammisti ad una visione del quotidiano che nulla o quasi ha a che fare con i problemi e le problematiche delle persone. Per non parlare poi delle cosiddette "guerre dimenticate", per non parlare addirittura di interi popoli domenticati.
Dov'è quindi lo strano se, in un consesso di fotografi qual'è il Pulitzer o il WPP, si cerchi, attraverso i premi, di far emergere anche prepotentemente e attraverso atti d'accusa, perchè questo sono, realtà scomode che proprio i media si guardano bene dal renderci partecipi giornalmente?
Potremmo parlare invece di cosa resterebbe di una foto vincitrice che non raccontasse di questo e che significato avrebbe premiarla. Non basta il miele che ci fanno scorrere sugli occhi giornalmente per farci credere che il mondo sia, come a dei Pinocchi, di pandizucchero?
_Nico_
Messaggio: #8
QUOTE(apeiron @ Apr 23 2006, 10:51 PM)
Perfetta è la citazione di Eschilo da parte di Nico (é l'Agamennone, Nico  biggrin.gif).

Oops, ehm... unsure.gif
Allora non è perfetta... smile.gif
E non poteva essere che nella trilogia che più amo... Va be'... Grazie!

Ne approfitto per aggiungere una breve osservazione: correttissime le osservazioni di Claudio. Il problema, secondo me, è l'anestetizzazione. Voglio dire che un eccesso di qualcosa provoca abitudine, indifferenza, e talvolta persino rigetto... Troppa informazione sui drammi quotidiani, troppa globalizzazione stanno conducendo a un comportamento di rapida commozione e altrettanto rapido oblio dell'episodio... L'eccesso viaggia soprattutto via TV, ovviamente.

Non capisco, in tutta onestà, se la fotografia di reportage finisca in questo flusso che tutto tritura per fare informazione, e in definitiva produrre indirettamente oblio, ovvero contribuisca a tenere la memoria desta...
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #9
QUOTE
Non capisco, in tutta onestà, se la fotografia di reportage finisca in questo flusso che tutto tritura per fare informazione, e in definitiva produrre indirettamente oblio, ovvero contribuisca a tenere la memoria desta...


Ho una mia idea sul problema che sollevi Nico e non credo sia del tutto peregrina. Vi sono argomenti che per scelta politico-sociale "devono" essere tenuti desti, ve ne sono altri che per le stesse scelte, devono essere dimenticati o passati in tredicesima pagina. Chi fa certe scelte? Non certo il fotografo che ha magari salvato per scommessa la vita per portare a casa un certo numero di scatti. Lui sa perfettamente quanto siano costati, sia in termini di rischi sia in termini di denaro (sono quasi tutti free-lance). La scelta avviene ormai in base al grado di attenzione che si vuole dare ad una pagina particolare nel contesto mondiale.
Concordo infatti con te su una riflessione particolare: proporre tutti i giorni le stesse scene tratte dallo stesso luogo, porta ad assuefazione. Assuefazione che significa, di lì a breve,sorvolare sulla notizia per mancanza di interesse (vedi i bollettini delle autobombe in Iraq o degli scontri a Gaza o in Cisgiordania). Stabilire che questo sia un disegno preconfezionato a me sembra sia ovvio ma è altrettanto ovvio che non posso pensare che tutti siano daccordo con me, però...c'è un però. Con questo disegno si ottengono contemporaneamente due effetti: uno, il primo di cui stiamo parlando, è l'effetto assuefazione che porta al disinteresse, l'altro è aver riempito comunque le pagine del quotidiano o del settimanale senza aver toccato "gli altri" argomenti che non solo passano sotto silenzio ma che addirittura sono completamente ignorati dai più e non certo per loro colpa.
L'incarico di riportare alla ribalta certe realtà è in mano ormai solo ed esclusivamente a dei volenterosi che tentano in tutti i modi di aggirare il muro di gomma che si para sempre più spesso davanti a loro e fra loro e noi. Una speranza che si accompagna ad un dubbio: spero davvero che la figura del reporter non venga mai meno. Rischio che si sta però correndo per palese inutilità del loro lavoro che potrebbe portarli un giorno a riflettere sul loro ruolo reale nella visione globale dell'informazione.
Vi viene in mente chi e con cosa la Rai coprì l'ultima Guerra del Golfo? A me, che ancora inorridisco, non passerà mai dagli occhi una molto ben curata giornalista munita di telefonino (sic), che aveva la presunzione di mandarci immagini dal suo albergo attraverso quello, senza fare un passo nelle strade. unsure.gif
PAS
Messaggio: #10
QUOTE(apeiron @ Apr 19 2006, 11:30 PM)
Provo a riflettere sul perché i grandi riconoscimenti fotografici (World Press Photo, Pulitzer...)premino quasi sempre il dolore, l'angoscia, il grido d'aiuto..
.........
Cosa ne pensate?  hmmm.gif
Apeiron
*



A volte mi piace cercare risposte oltre che nelle grandi scuole di pensiero, anche nelle filosofie di vita dei nostri nonni, costruite e sperimentate nelle loro, spesso disagiate, quotidianità.
A mio nonno chiedevo perché avesse la consuetudine di andare al funerale di persone che non conosceva.
<< Dopo mi sento meglio>> mi rispondeva.

Il dolore si pone sempre il problema della causa.
D’accordo con Maurizio ma forse c’è qualcosa di più nascosto, di più primordiale che ci fa preferire la rappresentazione del dolore.
Qualcosa che, tramite il dolore altrui, modifica, anche solo temporaneamente, i nostri riferimenti e ci regala egoisticamente un po’ più di sicurezza.
Non a caso Abraham Maslow pone la sicurezza al secondo posto della sua scala dei bisogni, subito dopo le necessità fisiologiche.
smile.gif

havana59
Messaggio: #11
Ieri sera ho ascoltato alla radio la sconvolgente notizia delle inconcepibili violenze sulle bambine liberiane ad opera dei "benefattori".
Mi sono immediatamente tornate davanti agli occhi le fotografie di Salgado e, subito dopo, questa bellissima chiacchierata.

QUOTE(_Nico_ @ May 5 2006, 03:42 PM)
... Troppa informazione sui drammi quotidiani, troppa globalizzazione stanno conducendo a un comportamento di rapida commozione e altrettanto rapido oblio dell'episodio... L'eccesso viaggia soprattutto via TV, ovviamente.
*



In particolare questa osservazione di Maurizio, che tanto mi aveva dato da pensare. Mi sono allora chiesto qual è la nostra soglia di sopportazione, in mezzo a nani e ballerine quotidiani, scandaletti calcistici e beghe sentimental-finanziarie.
Mi sono chiesto cosa è capace ancora di accendere in tutti noi (e dico noi perchè ormai vi conosco bene) la voglia di "fare qualcosa", fosse pure solo gridare ai quattro venti (o chiamare "Save the Children" per chiedere come poter dare una mano...). Ed ecco di nuovo davanti ai miei occhi le foto di Salgado e di tutti gli altri grandi: e in mezzo a questi permettetemi anche di ricordare Enzo Baldoni.

Concordo sul fatto che, facendo una media generale, l'osservazione "commossa" del dolore altrui sia una forma quasi esorcistica di vivere la propria quotidianità, una sorta di scongiuro inconscio e un po' scaricabarile.
Ma sono anche certo che il nostro metro di valutazione della fotografia sia anche la capacità di trasferire in immagini il mondo per quello che è, la capacità di raccontarci le cose che forse potremmo contribuire a migliorare, la capacità di ricordarci che in mezzo ai nani e alle ballerine abbiamo ancora un cuore ed un cervello che funzionano all'unisono. Per esempio, se non ci fosse qualcuno a raccontarcelo, con parole o per immagini, quanti si ricorderebbero ancora che in guerra non muoiono soltanto i militari?
E, purtroppo, di lavoro da fare ce n'è ancora tanto, troppo...

Scusate il mio ingenuo ottimismo. Ma sono fermamente convinto che voi tutti osserviate la "fotografia del dolore" con gli occhi di chi, pur desiderando che non ci sia più dolore al mondo da fotografare, traduce l'immagine in impegno costante e quotidiano.

Finchè ci saranno uomini e donne che attraverso la fotografia sapranno tenere sveglia la "voglia di fare" di altre uomini e donne, saprò (sapremo) sopportare l'orrore quotidiano delle altre immagini di nani e ballerine.

Permettetemi di dedicare idealmente questa discussione a Enzo Baldoni.

Scusate di nuovo la mia banalità. Un caro saluto a tutti,
Tato_p2p
Messaggio: #12
Trovo molto interessante l'argomento.

Sorvolando su decisioni politiche e considerazioni sui fotorepoter credo che l'uomo preferisca vedere il "dolore" principalmente per 2 motivi:
- essere più felice per quel che ha: meglio agli altri che a me...
- sapere di non essere l'unico che "sta male": mal comune mezzo gaudio...

Ad esempio, vedere una persona che non fa nulla e guadagna molto, provoca invidia e/o rabbia, mentre una persona che soffre di fame provoca compassione (=be', non prendo molto, ma in fondo sto bene/potrei prendere meno/etc...)

Inoltre un'immagine piacevole, che riporta alla mente esperienze piacevoli talvolta porta una certa malinconia: le esperienze provate sono finite, concluse, andate oppure troppo intime per essere "approvate" in pubblico e quindi il disinteresse mostrato è solo una forma di "difesa" della propria intimità.

Almeno questo riferito alle mie esperienze.
Spero di non essere stato troppo sintetico... unsure.gif
Saluti!
Mirco.
havana59
Messaggio: #13
QUOTE(3DNewbie @ May 9 2006, 04:51 PM)
Trovo molto interessante l'argomento.

Sorvolando su decisioni politiche e considerazioni sui fotorepoter credo che l'uomo preferisca vedere il "dolore" principalmente per 2 motivi:
- essere più felice per quel che ha: meglio agli altri che a me...
- sapere di non essere l'unico che "sta male": mal comune mezzo gaudio...

Ad esempio, vedere una persona che non fa nulla e guadagna molto, provoca invidia e/o rabbia, mentre una persona che soffre di fame provoca compassione (=be', non prendo molto, ma in fondo sto bene/potrei prendere meno/etc...)

Inoltre un'immagine piacevole, che riporta alla mente esperienze piacevoli talvolta porta una certa malinconia: le esperienze provate sono finite, concluse, andate oppure troppo intime per essere "approvate" in pubblico e quindi il disinteresse mostrato è solo una forma di "difesa" della propria intimità.

Almeno questo riferito alle mie esperienze.
Spero di non essere stato troppo sintetico...  unsure.gif
Saluti!
Mirco.
*



Concordo quando parliamo su una media generale.
Ma, ripeto, finchè vedrò appesi più calendari della soubrettina del momento che non di Amani, continuerò a pensare che per molti non è solo anestesia/scongiuro.
E' anche necessità di tenere accese le nostre coscienze.

ciao,
Tato_p2p
Messaggio: #14
QUOTE(havana59 @ May 9 2006, 04:01 PM)
...
*



Purtroppo (e lo dico anche con un certo rammarico) la necessità di accendere le nostre coscenze si scontra con quello che sono le politiche economiche che vendono di più il calendario della soubrette che quelli di Armani.
Talvolta purtroppo mi sembrano più "grida silenziose", inascoltate, ma per fortuna ci sono e non passano del tutto inosservate. E mi fa piacere che ci sia gente che riesce a cogliere sentimenti attraverso le immagini, che con la loro forza riescono a tenere sveglie coscienze assopite dai media.
Forse è anche questo "risveglio" che fa apprezzare di più queste immagini...

Ciao.
sangria
Messaggio: #15
ciao

concordo pienamente con quanto scritto prima , il dolore innesca nella mente un meccanismo totalmente diverso da un immagine che esprime gioia, mentre il primo porta a pensare, il secondo resta un immagine di un bel momento non induce riflessioni.
Concludo lanciando una riflessione, quando leggete il giornale quali sono gli articoli che creano più interesse? Quelli che parlano di guerra di disarstri di omicidi o suicidi, questo perchè una nascita straordinaria, insomma un episodio particolarmente felice non ti da le stesse emozioni.
Purtroppo l'uomo è fatto così non si meraviglia per le cose belle, ma solo di quelle brutte


ciao
apeiron
Nikonista
Messaggio: #16
La riflessione non nasce dalla meraviglia per premi assegnati alla fotografia che mostra la sofferenza, l'angoscia..., anzi.
C'è un assoluto, imprescindibile debito di riconoscenza che dobbiamo alla fotografia, proprio per questo. Bene fa Claudio, quindi, a ricordarci il ruolo del fotoreporter.
La questione va al di là di questo. Stabilito l'indispensabile ruolo della fotografia, riconosciuta la sua necessità, il problema è indagare perché noi, io, sia attratto proprio dalla rappresentazione del dolore.
E' davvero solo un problema di scelte giornalistiche più o meno impegnate, uno sguardo che rifiuta di omologarsi all'illusoria e un pò idiota idea che "tutto va bene"?
La questione che mi interessa è: questa fotografia, oltre a raccontarmi l'angoscia e il dolore, fin dove è in grado di giungere in ciascuno di noi, in me? Vale a dire, il suo valore è quello di tenere vigile la coscienza sulla terribile realtà, come un testo scritto e più di questo? Oltre la parola, quando questa mostra la sua impossibilità?
Oppure il suo valore, il suo lato oscuro, va cercato nella capacità di superare la mia resistenza, giungere senza che io possa oppormi fino a sfiorare quel dolore di cui tutti abbiamo coscienza da qualche parte, perché ne abbiamo memoria? Quella sofferenza che molti maestri hanno cercato di dire, e che " rimane indicibile, inesprimibile". hmmm.gif
apeiron

 
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