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Robert Frank Vs Ansel Adams
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manis
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Messaggio: #1
Ciao a tutti,

Leggendo un post sul blog "Lo specchio incerto" relativo al cinquanternario della pubblicazione del libro "The Americans" di Robert Frank mi ha colpito una dichiarazione di Elliot Erwitt che riporto da wikipedia:

"Quality doesn't mean deep blacks and whatever tonal range. That's not quality, that's a kind of quality. The pictures of Robert Frank might strike someone as being sloppy - the tone range isn't right and things like that - but they're far superior to the pictures of Ansel Adams with regard to quality, because the quality of Ansel Adams, if I may say so, is essentially the quality of a postcard. But the quality of Robert Frank is a quality that has something to do with what he's doing, what his mind is. It's not balancing out the sky to the sand and so forth. It's got to do with intention."

Che per chi non conosce l'inglese suonerebbe più o meno così:

"Qualità non vuol dire neri profondi ed estensione tonale. Questa non è qualità, questa è un tipo di qualità. Le immagini di Robert Frank possono apparire a qualcuno come sciatte - l'estensione tonale non è giusta e cose del genere - ma esse sono di molto superiori alle immagini di Ansel Adams per quello che riguarda la qualità, perchè la qualità di Ansel Adams, se posso dirlo, è essenzialmente la qualità di una cartolina. Ma la qualità di Robert Frank è una qualità che ha a che fare con quello che sta facendo, con la sua mente. Non si tratta di come bilanciare cielo e sabbia e così via. Essa ha a che fare con le intenzioni."

Una dichiarazione del genere potrebbe scatenare un putiferio fra i sostenitori di Robet Frank e quelli di Ansel Adams, soprattutto al giorno d'oggi in cui sembra che se non ci si schieri e non si tifi non si è contenti.

Personalmente credo che siano semplicemente due modi diversi di approcciare ed intendere la fotografia, ma entrambi con una loro dignità e nel caso di questi due autori di altissima qualità (anche se di tipo diverso). Quello che mi chiedo è se la qualità di Ansel Adams e quella di Robert Frank possano trovare un punto d'incontro o se come penso siano intrinsecamente contrapposte.
Voi cosa ne pensate ?

Ciao,

Fabrizio
enrico
Messaggio: #2
Finalmente un altro intervento su "Temi"!
Il mio pensiero è in accordo con il tuo. Non si possono comparare le "qualità"; solo le quantità possono essere commisurate. Frank ed Adams sono due persone diverse e la loro fotografia non può che essere diversa. Ciascuno di noi è partato a prediligere l'uno o l'altro a seconda del suo modo di percepire e di essere. Come diceva il Taddei, un autore ci piace di più ed un altro meno a seconda di quanta affinità ci sia fra la sua esistenzialità e la nostra.
Grazie per aver riattivato questa sezione dove si va oltre la mera tecnica.
Un saluto
Enrico
_Led_
Messaggio: #3
Premesso che anch'io sono molto affascinato dalla fotografia di Franck (semplicemente una pietra miliare della fotografia americana e mondiale del 20° secolo), nondimeno il giudizio di Erwitt mi appare un po'troppo semplicistico.

Dire che la "qualità" della foto di Adams è quella di una semplice cartolina è limitarsi solo all'apparenza: è, in fondo, lo stesso errore che Erwitt ascrive a chi giudica Franck sciatto: superficialità.
davidebaroni
Messaggio: #4
Interessante "tema"... smile.gif
Personalmente, trovo semplicemente che sia il modo di fotografare di Adams che quello di Frank rispecchiassero i modi di essere dei due autori, e che probabilmente il commento di Erwitt dipenda dal fatto che, come si potrebbe evincere dalle parole di Enrico (che, come sempre, condivido in pieno) e del Taddei, Erwitt prediligeva Frank in quanto "più affine al suo modo di percepire e di essere", o, se preferite, "alla sua esistenzialità"... qualsiasi cosa essa sia.
E' un annoso problema, quello della "qualità". Personalmente, concordo abbastanza con l'idea che al proposito esprime Robert Pirsig nel suo libro "Lo Zen e l'Arte della Manutenzione della Motocicletta"... Libro che può essere considerato (e in certe parti certamente é, anche se sospetto lo sia per esplicita intenzione dell'autore) "noioso come la morte" (avevo usato un altro termine, che l'implacabile censore automatico ha cassato), ma che al contempo contiene una quantità di spunti di grande profondità ed interesse. smile.gif
Dal mio punto di vista di psicologo, uno dei problemi è che la parola "qualità", in sé, non significa nulla, e se non si raggiunge a priori un significato condiviso della parola, parlarne è un mero ed inutile esercizio filosofico. In questi giorni sto facendo il giurato in un piccolo concorso fotografico, e non potete immaginare quali "rogne" saltino fuori a proposito della "qualità"... oltretutto suddivisa in "tecnica" ed "artistica". rolleyes.gif
Eppure mia moglie, che non capisce una cippa di fotografia, ha fatto "valutazioni qualitative" (del tutto indipendenti) praticamente sovrapponibili alle mie... Non sarà che Pirsig ha ragione, quando dice che la Qualità (sì, con la maiuscola) è qualcosa che tutti sappiamo riconoscere, ma che è impossibile definire? smile.gif
Ciao,
Davide

Messaggio modificato da twinsouls il May 26 2008, 06:49 PM
toad
Messaggio: #5
Non posso che essere d’accordo con Enrico e con Davide.

Questi paragoni mi fanno sorridere. Sarebbe come sostenere che Stravinskij è di qualità inferiore a Ravel o che Coltrane è di qualità superiore a Django Reinhardt. Ridicolo… dry.gif

Stili diversi, sensibilità differenti e differenti approcci con la realtà e con il mezzo per rappresentarla. Qualità comunque.
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #6
mmhhh... bel vespaio hmmm.gif
vorrei aggiungere qualche personalissima riflessione...

Non sono del tutto d'accordo quando si dice che la qualità non possa essere misurata (sopratutto perché per vent'anni qualcuno mi ha pagato per farlo.. biggrin.gif )...
piuttosto penso che sia impossibile misurarla in modo "assoluto", separando l'oggetto dal contesto. Nelle scienze della comunicazione più che di qualità si preferisce parlare di efficacia o di adeguatezza, ma in fondo i concetti vengono trattati in modo equivalente.
Una figura può essere realizzata con due differenti scopi, uno decorativo, un altro comunicativo. In entrambe i casi la figura ha un obiettivo da raggiungere, nel primo l'appagamento di un gusto per la forma, nel secondo la veicolazione di un contenuto. Sia in un caso che nell'altro, l'efficacia, appunto, con cui l'obiettivo prefissato viene raggiunto viene considerata indice di qualità.

Banalizzando, quindi, quanto è "buona" la zuppa? Tanto quanto soddisfa il palato di chi la dovrà mangiare.
E quanto è "buona" la medicina? Tanto quanto sarà efficace nel curare la malattia per cui è stata studiata. Non so se sia vero, ma si dice che i chimici della Bayer che per primi hanno sintetizzato l'eroina stessero cercando di formulare uno sciroppo per la tosse. cerotto.gif

Per riallacciarmi al calzante parallelo musicale portato da Guido rispolvero un caso che è esemplificativo. Sembrerà sciocco, ma è oggetto di studio all'università.
Chi vive in Piemonte e ha più di venticinque anni sicuramente ricorderà una vecchia canzoncina:
"...son contento d'esserci andato. Ma da chi?! da G.. ato!"
Quattro becere notine, con un testo abbastanza ridicolo, messe insieme da un professore di musica di scuola media per commentare lo spot di un mobilificio sulle tv private. Niente di paragonabile a Stravinskij o Ravel.
Un brano di qualità?
Assolutamente si! Considerando che lo scopo per cui era stato creato (quello di pubblicizzare un'attività commerciale) fu centrato in pieno, che tutti conoscevano tanto la canzoncina quanto il mobilificio e che a venticinque anni di distanza ancora ne parliamo.
Migliore di Stravinskij o di Ravel?
Se chiedessimo al commercialista del signor G... ato credo proprio che ci risponderebbe di si.

Per quanto riguarda poi la citazione del Taddei, credo si possa andare oltre. Non parlerei semplicemente di affinità; il rapporto che si viene a creare fra autore e fruitore è ben più complesso. La cosa importante perché si formi il legame è che ci sia interesse, attrazione, cosa che a volte può scaturire anche dalla differenza, dalla provocazione o, addirittura, dalla conflittualità.

In questa ottica, quindi, a proposito dei due autori oggetto del 3d sono certo si possa affermare che si tratta di autori di altissima e misurabilissima qualità, seppur molto diversi fra loro.

Roberto
davidebaroni
Messaggio: #7
Beh, Roberto, non mi pare si sia detto che non la si possa misurare, la qualità... solo che per farlo occorre essere d'accordo a priori su criteri e parametri specifici, ben definiti, concretamente misurabili e condivisi. smile.gif
E' quella che Pirsig chiama "Qualità", quella con la maiuscola, che non è "misurabile", proprio perché non è definibile, e quindi condivisibile... ma pare salti fuori lo stesso.
Concordo certamente con quanto asserisci riguardo alla "qualità relativa", se vogliamo chiamarla così, o se preferisci "efficacia ed adeguatezza"... In fondo, in una vecchia discussione, sostenevo che "la buona foto è quella che raggiunge lo scopo per cui è stata scattata". Ma questo si riferisce alla "qualità relativa", quella appunto relativa ad uno scopo/obiettivo, misurata sulla base dei risultati ottenuti.
Non sono invece troppo d'accordo con l'importanza che attribuisci a certi elementi per la formazione del "legame"... sono 15 anni che tengo seminari esperienziali su questi argomenti nel contesto della comunicazione interpersonale, e, pur consapevole che stiamo trattando di MODELLI, non di "verità", trovo che le cose siano più "semplici". Il legame si fonda sulla condivisione di quelli che si chiamano "sistemi di valori e credenze", ovvero "le cose che riteniamo importanti" e "a cosa corrispondono in termini di esperienza". Li RI-CONOSCIAMO nelle manifestazioni dell'altro (in questo caso nel modo di fotografare), e li ri-conosciamo come "affini", come "nostri", come "condivisi". Corrispondono ai nostri "assunti e presupposti" (elementi fondanti dei nostri sistemi di credenze e valori). E quindi ci piacciono.
Esprimono anche noi. smile.gif
Ciao,
Davide
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #8
QUOTE(twinsouls @ May 27 2008, 05:10 PM) *
E' quella che Pirsig chiama "Qualità", quella con la maiuscola, che non è "misurabile", proprio perché non è definibile, e quindi condivisibile...

È questo è probabilmente il bandolo della matassa...
Semplicemente non credo che esista questa fantomatica "qualità con la maiuscola" e che non abbia senso parlare di qualità in modo non rapportato a uno scopo, una destinazione d'uso.
Faccio un esempio ulteriore.
Uno dei modelli matematici ai quali mi è capitato di lavorare si occupava di misurare la qualità del latte.
Di questi tempi si fa un gran parlare del latte di alta qualità, la cui composizione è persino regolamentata per legge.
Ebbene quello che viene venduto nei supermercati come latte di alta qualità, dal mio sistema sarebbe stato valutato pessimo. Questo perché la vigente normativa è riferita al consumo alimentare domestico mentre il mio sistema ragionava in funzione delle esigenze dell'industria casaria. Nel primo caso è indice di qualità l'alta percentuale di sieroproteine, nel secondo sono fondamentali le caseine.
La qualità può solo essere relativa e, come giustamente affermi, misurata in base a criteri e parametri specifici individuati sulla scorta dell'analisi del risultato da ottenere e del processo che porta ad ottenerlo. Tanto quella di un litro di latte, quanto quella di un processo produttivo, di un cuscinetto a sfere, di un'organizzazione relazionale o di un flusso comunicativo (ovvero di un'opera d'Arte).

QUOTE(twinsouls @ May 27 2008, 05:10 PM) *
Il legame si fonda sulla condivisione di quelli che si chiamano "sistemi di valori e credenze", ovvero "le cose che riteniamo importanti" e "a cosa corrispondono in termini di esperienza". Li RI-CONOSCIAMO nelle manifestazioni dell'altro (in questo caso nel modo di fotografare), e li ri-conosciamo come "affini", come "nostri", come "condivisi". Corrispondono ai nostri "assunti e presupposti" (elementi fondanti dei nostri sistemi di credenze e valori). E quindi ci piacciono.
Esprimono anche noi. smile.gif

Tutto ovviamente vero (ci mancherebbe, è il tuo campo), cercavo goffamente di dire una cosa diversa...
Purtroppo non ho la proprietà di linguaggio necessaria, ma provo a rispiegarmi...
Tu parli di comunicazione interpersonale, quindi in qualche modo diretta, io in quel paragrafo mi riferivo all'espressione artistica, in cui la comunicazione viene mediata da una forma immaginata dall'autore, forma alla quale lo stesso autore "affida" il contenuto in attesa che questo venga letto da un fruitore.
In questo caso il primo meccanismo che deve scattare è quello di attirare l'attenzione del "lettore" sulla "forma" in questione.
Per questo sostenevo che la provocazione, per esempio, è un mezzo in alcuni casi efficace nell'attirare l'attenzione.
È, comunque, solo una volta che si è instaurato il contatto che la comunicazione può avere inizio e a questo punto diventa come tu dici importante il ruolo giocato dall'affinità anche perché, trattandosi nel caso dell'Arte di una comunicazione giocata più sul piano emozionale che su quello cognitivo, maggiore è il grado di immedesimazione, minore è l'interferenza.

r.
davidebaroni
Messaggio: #9
QUOTE(tide @ May 27 2008, 06:46 PM) *
È questo è probabilmente il bandolo della matassa...
Semplicemente non credo che esista questa fantomatica "qualità con la maiuscola" e che non abbia senso parlare di qualità in modo non rapportato a uno scopo, una destinazione d'uso.
Faccio un esempio ulteriore.
Uno dei modelli matematici ai quali mi è capitato di lavorare si occupava di misurare la qualità del latte.
Di questi tempi si fa un gran parlare del latte di alta qualità, la cui composizione è persino regolamentata per legge.
Ebbene quello che viene venduto nei supermercati come latte di alta qualità, dal mio sistema sarebbe stato valutato pessimo. Questo perché la vigente normativa è riferita al consumo alimentare domestico mentre il mio sistema ragionava in funzione delle esigenze dell'industria casaria. Nel primo caso è indice di qualità l'alta percentuale di sieroproteine, nel secondo sono fondamentali le caseine.
La qualità può solo essere relativa e, come giustamente affermi, misurata in base a criteri e parametri specifici individuati sulla scorta dell'analisi del risultato da ottenere e del processo che porta ad ottenerlo. Tanto quella di un litro di latte, quanto quella di un processo produttivo, di un cuscinetto a sfere, di un'organizzazione relazionale o di un flusso comunicativo (ovvero di un'opera d'Arte).

Ecco, credo che qui sia il "punto". Io "credo" che la Qualità esista, sia identificabile, e che per farlo occorra rispettare certe condizioni di partenza. Ma sono perfettamente consapevole che si tratta di una mia convinzione... e che le esperienze concrete che supportano tale convinzione sono ovviamente "filtrate" dal mio stesso sistema di credenze, e quindi non attendibili. Esattamente come quelle che supportano qualsiasi altro sistema di valori e credenze. smile.gif Nel momento in cui tu "credi" che la Qualità non esista, continua a non esserci alcun problema. Almeno fino a che non iniziamo a cercare di persuaderci reciprocamente che uno dei sistemi di credenze è "migliore", o "più vero", dell'altro... laugh.gif A me basta notare che la divergenza, laddove esiste, è SEMPRE (come in questo caso) a livello di tali sistemi...

QUOTE(tide @ May 27 2008, 06:46 PM) *
Tutto ovviamente vero (ci mancherebbe, è il tuo campo), cercavo goffamente di dire una cosa diversa...
Purtroppo non ho la proprietà di linguaggio necessaria, ma provo a rispiegarmi...
Tu parli di comunicazione interpersonale, quindi in qualche modo diretta, io in quel paragrafo mi riferivo all'espressione artistica, in cui la comunicazione viene mediata da una forma immaginata dall'autore, forma alla quale lo stesso autore "affida" il contenuto in attesa che questo venga letto da un fruitore.
In questo caso il primo meccanismo che deve scattare è quello di attirare l'attenzione del "lettore" sulla "forma" in questione.
Per questo sostenevo che la provocazione, per esempio, è un mezzo in alcuni casi efficace nell'attirare l'attenzione.
È, comunque, solo una volta che si è instaurato il contatto che la comunicazione può avere inizio e a questo punto diventa come tu dici importante il ruolo giocato dall'affinità anche perché, trattandosi nel caso dell'Arte di una comunicazione giocata più sul piano emozionale che su quello cognitivo, maggiore è il grado di immedesimazione, minore è l'interferenza.

r.

La tua proprietà di linguaggio è perfettamente adeguata, Roberto. Semmai è il linguaggio ad essere uno strumento di comunicazione inadeguato...
E quello che dici non mi sembra essere tanto "una cosa diversa", ma "la stessa cosa detta in un modo diverso". Per inciso, dal mio punto di vista, la "comunicazione interpersonale" non è affatto necessariamente diretta. O, se preferisci, non è detto che la comunicazione artistica sia indiretta... Quando dico che "leggendo il portfolio di una persona si legge il fotografo ancora più che le sue fotografie", intendo che anche la comunicazione artistica è "interpersonale" e in un certo senso diretta, e che un dato fotografo fa QUELLE foto, in QUEL modo, e non altre in altri modi, perché QUELLO corrisponde al suo sistema di valori e credenze... ed è questa "comunicazione" che "passa" attraverso le sue opere e "cattura" l'attenzione del fruitore, come lo hai chiamato tu. Certamente questo accade a un livello che, almeno all'inizio, è inconscio e non razionale... Poi intervengono altri tipi di processi mentali che ci permettono di razionalizzare la cosa. smile.gif
Permettimi solo di dire che "Le vie della comunicazione sono sottili ed infinite", tanto che il Primo Assioma della Comunicazione dice che "Non si può non comunicare: OGNI comportamento è comunicazione". Questo perché l'attribuzione di significato viene fatta dal fruitore... Spesso soprattutto o del tutto inconsciamente. E a volte, come tu giustamente noti, la provocazione è la via migliore per catturare l'attenzione... Se leggi "Terapia provocativa", di Frank Farrelly, o i libri di e su Milton H. Erickson, vedrai anche come e perché funziona. Sono meccanismi noti, ma non funzionano per tutti... niente funziona per tutti. Erickson era arrivato ad un tale livello di capacità di osservazione e sistematizzazione che c'era chi sosteneva che "leggesse nella mente"... ma non era vero. smile.gif
Però sapeva leggere fra le righe della comunicazione, e comunicare a sua volta nello stesso modo.
Ma è un discorso complesso... Magari un giorno ne parliamo intorno a un tavolo, mentre ci mangiamo qualcosa di buono. wink.gif
Ciao,
Davide
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #10
Hai fatto due affermazioni che per me sono Bibbia smile.gif
La prima è che non si possa non comunicare...
La seconda è che l'attribuzione di significato venga fatta dal fruitore, tant'è vero che io sono convinto che l'interpretazione che egli da dell'opera sia sempre corretta. Se l'intento dell'autore viene travisato questo può accadere per due ragioni: o il fruitore non è l'interlocutore a cui l'opera era destinata o, se lo era, l'autore non è stato capace di adeguare il codice di comunicazione all'interlocutore che si è scelto.
L'unica cosa che non mi è chiara e che mi piacerebbe un giorno avere occasione di approfondire con te è se (e in che modo) la fase, per così dire, di "connessione" possa essere assimilata al seguito del processo comunicativo e risponda agli stessi meccanismi...
Magari questo potesse davvero accadere davanti a qualcosa di buono... biggrin.gif
Penso che sarebbe una serata interessantissima per me e un lungo calvario per i camerieri laugh.gif

Grazie della piacevole chiacchierata.
Robi
davidebaroni
Messaggio: #11
QUOTE(tide @ May 28 2008, 01:05 AM) *
Hai fatto due affermazioni che per me sono Bibbia
La prima è che non si possa non comunicare...
La seconda è che l'attribuzione di significato venga fatta dal fruitore, tant'è vero che io sono convinto che l'interpretazione che egli da dell'opera sia sempre corretta. Se l'intento dell'autore viene travisato questo può accadere per due ragioni: o il fruitore non è l'interlocutore a cui l'opera era destinata o, se lo era, l'autore non è stato capace di adeguare il codice di comunicazione all'interlocutore che si è scelto.
L'unica cosa che non mi è chiara e che mi piacerebbe un giorno avere occasione di approfondire con te è se (e in che modo) la fase, per così dire, di "connessione" possa essere assimilata al seguito del processo comunicativo e risponda agli stessi meccanismi...
Magari questo potesse davvero accadere davanti a qualcosa di buono... biggrin.gif
Penso che sarebbe una serata interessantissima per me e un lungo calvario per i camerieri laugh.gif

Grazie della piacevole chiacchierata.
Robi

L'affermazione che fai, e che ho evidenziato in blu, è di fatto in perfetto accordo con un altro Assioma della Comunicazione, anzi, con altri due che sono in pratica l'uno conseguenza dell'altro:
- Il significato di una comunicazione é l'effetto che produce (che può non aver nulla a che fare con le intenzioni del comunicatore, N.d.T.);
- Il comunicatore è responsabile al 100% dell'effetto della sua comunicazione.
Per qualche ragione che mi sfugge, quando arrivo ad illustrare questi due assiomi nei seminari i partecipanti fanno un salto sulla sedia... laugh.gif wink.gif

Per la cosa che ancora non ti é chiara, dovrai aspettare che ci vediamo... l'esperienza mi dice che trattare un simile tema solo per iscritto, in un forum, difficilmente ottiene qualche risultato degno di nota. E poi, non vorrai perdere l'occasione di "calvariare" qualche cameriere! biggrin.gif

In realtà, non è poi così difficile da spiegare... ma è molto più efficace se fatto in un dialogo "in tempo reale", così da "coprire" rapidamente tutti i casi e le eccezioni (?) necessarie fino a che scatta un "clic" e tutti i pezzi del puzzle vanno al loro posto... Un pezzetto oggi e uno domani, su un forum il processo richiederebbe troppo tempo!

Ciao, e grazie a te!
Davide
Ellas
Messaggio: #12
Mah, qualità vs quantità. Leggendo i post credo di poter essere un po' d'accordo con Enrico quando dice "Ciascuno di noi è partato a prediligere l'uno o l'altro a seconda del suo modo di percepire e di essere". Il problema è che all'interno del discorso di "qualità" entrano a far parte in maniera inscindibile, tanto argomentazioni soggettive quanto inferenze culturali.
Sono ricercatore di sociologia, e nelle mi attività di ricerca mi trovo spesso a discutere dei cosidetti "metodi quantitativi" vs "metodi qualitativi" di ricerca. I primi, banalmente, si affidano ai numeri, ai questionari per cercare di tentare una ricostruzione oggettiva della realtà. Nei secondi, a prevalere, è il punto di vista del singolo soggetto che, generalmente attraverso una intervista narrativa, col registratore, ti svela un mondo, una visione del mondo che è sia la sua personale sia il risultato di una miriade di costruzioni sociali, di modi di vedere il mondo che non possono che essere il risultato di un'altro tipo di oggettività.
Ecco, gli aspetti qualitativi, allora, dipendono in ultima analisi sia da una forma di disposizione soggettiva verso il mondo sia di note culturali che informano (nel senso di conferire forma) al soggetto che non può che essere situato.
Una zuppa che aggrada il palato, deve risposndere a tutte e due gli aspetti: personali e culturali.
Idem una fotografia. Le sensazioni che uno scatto mi darà dipenderanno da una mia personale visione del mondo ma, pure, da quanta parte di cultura influenzano la mia visione del mondo.
Pensiamo all'astrattismo, o all'impressionismo in pittura. O a certe opere di Picasso. Come, doe e quando possiamo pretendere di misurarne la qualità? Se non ci lasciamo attraversare dai flussi culturali che hanno prodotto quelle opere, corriamo il rischio di fraintendere, sottostimare la portata di una qualsivoglia opera. D'altronde rimane pur vero che mostrare la stessa foto, lo stesso dipinto a qualcuno che non condivide con noi gli stessi codici culturali, difficilmente riuscirà a dare un giudizio somile al nostro, a meno che non ammettiamo, ma mi pare poco realistico, che esistono canoni estetici universali entro cui tutte le culture possono riconoscrsi, una sorta di minimo comune denominatore.
Insomma credo che, stabilendo con precisione il metro, la quantità riusciamo a precisarla abbastanza oggettivamente, la qualità molto meno, anzi oserei dire che essa non è nientaltro che una personale visione del mondo poggiata su un substrato culturale circoscritto e localizzato, una sorta di costruzione sociale.

In fondo è anche questo il bello dell'arte se la sganciamo dalla necessità e dalla pretesa di riproduzione. Per carità, non voglio compiere l'errore di escludere una forma di espressività dalle varie possibilità date all'artista! Vorrei sottolineare che entrambe le rappresentazioni degli autori, Adams e Frank, risentono di una particolare visione del mondo ed è a partire da questo che noi riusciamo a dare un giudizio, altrettanto circoscritto.

Spero di non avervi tediato oltre misura.
davidebaroni
Messaggio: #13
Elias, quello che dici non mi sembra incompatibile con quanto esposto finora. smile.gif
Vorrei però far notare una cosa: TUTTA la nostra "mappa del mondo" é frutto dell'esperienza "filtrata" dalla nostra percezione soggettiva degli eventi. Quindi, anche le "costruzioni sociali" sono in realtà molto "individualizzate"... Certo, ci saranno elementi comuni, ma anche per questi ci si troverà di fronte ad interpretazioni individuali. smile.gif
Basti pensare alle differenze che si esprimono su questo stesso forum, su quasi qualsiasi argomento... biggrin.gif Eppure facciamo tutti parte della stessa "cultura".
Se tieni conto delle componenti individuali nella percezione degli stimoli culturali, e di fatto di QUALSIASI "stimolo", esterno e/o interno, vedrai che la soggettività riprende trionfalmente le redini della questione.
Ah, su quel famoso "minimo comun denominatore" estetico si fanno ricerche da parecchi anni. Qualcosa sembra venirne fuori... E probabilmente ha una base neurologica. Si parla quindi di "strutture", non di "contenuti"... caratteristiche strutturali. Ma siamo ancora lontani da una risposta "definitiva", ammesso che esista. smile.gif
Ciao,
Davide

P.S.: "L'esperienza non è quello che ti succede, ma quello che te ne fai, di quello che ti succede!" (Aldous Huxley)

Messaggio modificato da twinsouls il May 28 2008, 08:32 PM
_Nico_
Messaggio: #14
QUOTE(twinsouls @ May 28 2008, 09:56 AM) *
- Il significato di una comunicazione é l'effetto che produce (che può non aver nulla a che fare con le intenzioni del comunicatore, N.d.T.);
- Il comunicatore è responsabile al 100% dell'effetto della sua comunicazione.

Anche se il comunicatore risulta irreperibile da alcuni secoli? wink.gif
L'opera d'arte andrebbe valutata secondo questo schema: intenzione > processo > risultato...

Ma, tornando a Franck e Adams, mi pare che uno fotografi montagne, e l'altro persone (mi permettete di banalizzare un po'?). Di Franck ho visto con gran piacere la mostra The Americans, del secondo ho visto foto qua e là, ma mai una vera mostra.
Penso che una montagna sia meno espressiva d'una persona, almeno per un esemplare medio della specie umana. E che perciò richieda una caratterizzazione particolare, per essere riconosciuta come espressiva per un esemplare medio ecc. ecc. Per esempio massima definizione e gamma tonale amplissima, per mostrare la sua "pelle". E naturalmente una luce ottimale, che significa una significativa condizione atmosferica. Allora, per l'esemplare medio, la montagna si anima, acquista... luce. Lo so che Adams non ha fotografato solo montagne, ma è solo per fare un esempio.

Per cogliere l'espressione d'una persona non è necessario che io ne veda tutti i pori. Anzi, l'eccesso di dettaglio in questo caso potrebbe essere fuorviante, e potrei rischiare anche di leggere un volto o un corpo come fosse un paesaggio (Weston usava spesso questi scambi).

Insomma, molto alla grossa, sembrerebbe che sia Franck sia Adams abbiano scelto modalità di comunicazione per restituire con efficacia i loro soggetti. E probabilmente Erwitt non ama la montagna, le preferisce il mare... wink.gif

Messaggio modificato da _Nico_ il Jun 7 2008, 05:22 PM
davidebaroni
Messaggio: #15
QUOTE(_Nico_ @ Jun 7 2008, 06:20 PM) *
Anche se il comunicatore risulta irreperibile da alcuni secoli? wink.gif


Per quel che riguarda il primo dei due assiomi, direi tranquillamente di sì. smile.gif
Il senso del secondo assioma é che, poiché un atto comunicativo si presuppone intenzionale, esso va "calibrato" (a cura del comunicatore...) sul "sistema ricevente", ovvero sul modo in cui presumibilmente il destinatario della comunicazione le attribuirà significato. Per farmi capire: tu puoi anche pensare che regalare fiori a tua moglie sia la cavolata più immane dell'Universo conosciuto, ma se LEI è invece convinta che "significhi" che hai avuto per lei un pensiero affettuoso e quindi provi per lei un certo sentimento, e tu VUOI comunicarle appunto questo messaggio, beh, allora regalale dei fiori... LEI attribuirà a questo gesto QUEL significato, perché é espresso nei SUOI codici. smile.gif
Purtroppo, o per fortuna, l'attribuzione di significato è un processo secondario, nel senso che appartiene a quella categoria di processi che avvengono DOPO il processo primario di percezione, quello non mediato da alcuna forma di pensiero o di esperienza o di coscienza ma solo dalla neurologia e dal suo funzionamento. E quindi, il significato sta "anche" (e forse per la maggior parte...) nella cultura e nell'esperienza dell'osservatore, oltre che nei suoi sistemi di valori e credenze/convinzioni. Per questo tra gli assiomi della buona comunicazione c'é anche il secondo da me citato... é il "buon comunicatore" che ha la responsabilità di comprendere il "sistema" a cui si rivolge ed esprimere il proprio "messaggio" nel modo in cui è più probabile che quel sistema lo decodifichi, attribuendogli un significato il più possibile vicino a quello che si intendeva comunicare. smile.gif
Certo l'autore morto da qualche secolo, o anche solo qualche decennio, non aveva idea di come noi avremmo "letto" la sua opera... ma questo, secondo me, dovrebbe farci riflettere sulla necessità di utilizzare i sistemi di codifica propri del suo tempo (e del suo target...) per decodificarla!

QUOTE(_Nico_ @ Jun 7 2008, 06:20 PM) *
L'opera d'arte andrebbe valutata secondo questo schema: intenzione > processo > risultato...

Ma, tornando a Franck e Adams, mi pare che uno fotografi montagne, e l'altro persone (mi permettete di banalizzare un po'?). Di Franck ho visto con gran piacere la mostra The Americans, del secondo ho visto foto qua e là, ma mai una vera mostra.
Penso che una montagna sia meno espressiva d'una persona, almeno per un esemplare medio della specie umana. E che perciò richieda una caratterizzazione particolare, per essere riconosciuta come espressiva per un esemplare medio ecc. ecc. Per esempio massima definizione e gamma tonale amplissima, per mostrare la sua "pelle". E naturalmente una luce ottimale, che significa una significativa condizione atmosferica. Allora, per l'esemplare medio, la montagna si anima, acquista... luce. Lo so che Adams non ha fotografato solo montagne, ma è solo per fare un esempio.

Per cogliere l'espressione d'una persona non è necessario che io ne veda tutti i pori. Anzi, l'eccesso di dettaglio in questo caso potrebbe essere fuorviante, e potrei rischiare anche di leggere un volto o un corpo come fosse un paesaggio (Weston usava spesso questi scambi).

Insomma, molto alla grossa, sembrerebbe che sia Franck sia Adams abbiano scelto modalità di comunicazione per restituire con efficacia i loro soggetti. E probabilmente Erwitt non ama la montagna, le preferisce il mare...


Su questa parte, o meglio su alcune cose che mi pare di leggere "fra le righe", un giorno aprirò un thread apposito... rolleyes.gif
Per ora mi limito ad essere sostanzialmente d'accordo.
Ciao,
Davide

Messaggio modificato da twinsouls il Jun 8 2008, 11:27 AM
IlCatalano
Messaggio: #16
QUOTE(manis @ May 22 2008, 10:48 AM) *
Personalmente credo che siano semplicemente due modi diversi di approcciare ed intendere la fotografia, ma entrambi con una loro dignità e nel caso di questi due autori di altissima qualità (anche se di tipo diverso). Quello che mi chiedo è se la qualità di Ansel Adams e quella di Robert Frank possano trovare un punto d'incontro o se come penso siano intrinsecamente contrapposte.
Voi cosa ne pensate ?

Ciao,

Fabrizio

Ho letto con grande attenzione questo thread e direi che qui ci troviamo semplicemente di fronte ai temi essenziali dell'arte e della comunicazione, di cui la fotografia è un sottoinsieme, aggiungo, di grande impatto e fascino.

Io credo che il punto d'incontro tra la "qualità" di Andsel Adams e la qualità di Robert Frank stia proprio in un concetto che lo stesso Erwitt ha espresso nel suo intervento: le intenzioni.

Il problema (apparente) della contrapposizione tra i due maestri, nasce dal fatto che Erwitt (grande fotografo senza alcun dubbio, ma in questo caso critico poco attento o forse semplicemente..... umanamente di parte!!) "innamorato" della poetica di Frank - decisamente più affine alla propria che non a quella di Adams - sottostima e misinterpreta enormemente gli stimoli e le intenzioni che muovono il grande paesaggista.

Certo, se si semplifica volutamente e si riduce a ruolo di "cartolinista" il lavoro di Adams, ecco che diventa facile esaltare al confronto l'impegno sociale e umano e pesare in modo quantitativamente diverso le intenzioni di Erwitt verso quelle di Adams. Perdono volentieri questa stortura a Erwitt, perchè è chiaramente dettata dal suo genuino amore per il reportage umano e per la sua partecipazione alla vita della gente, al ruolo dell'uomo nella vita sociale.

Ma non è una bilancia ben regolata quella che lui usa per pesare le intenzioni di Adams.

Benchè io stesso sia particolarmente colpito e affascinato dai grandi fotografi che hanno raccontato la grande avventura umana (il mio preferito e il delicato e umanissimo Robert Doisneau) e consideri la Street Photography il genere più intenso che esista (per la mia sensibilità), sono sempre rimasto del tutto sbalordito di fronte alle opere di Adams. Si tratta di uno sbaordimento quasi estatico e inizialmente facevo fatica a capirne il vero motivo, pensavo che la grande perfezione tecnica del suo Bianco & Nero semplicemente mi conquistasse per la perfezione formale estrema e la cura maniacale. Poi ho letto con passione alcuni suoi libri e mi sono reso conto che c'è ben altro nelle sue intenzioni che semplicemente realizzare belle cartoline. Adams ha sempre nutrito un amore immenso e genuino, quasi religioso per la splendida natura della sua terra, e ha sempre provato emozioni enormi ammirandola e assorbendone lo spirito. Al punto che - da appassionato di fotografia - ha cercato un modo di trasmettere il più possibile la intensità di quelle emozioni a chi non poteva godere direttamente delle sue stesse visioni della natura.

Infatti l'elemento costitutivo essenziale della fotografia di Adams NON è la riproduzione della realtà - come molti pensano - ma la sua interpretazione emotiva della realtà. Che, espressa in fotografia, nella sua intenzione dovrebbe comunicare all'osservatore quelle stesse emozioni che lui ha provato di fronte alla maestà della natura. Egli stesso dedica un intero capitolo di un suo famoso libro: "Il Negativo" in cui tratta di tecnica zonale, alla pre-visualizzazione. Egli spiega che le sue stampe non riproducono mai con la loro scala tonale la realtà, ma la visione della realtà che l'emozione provata gli ha trasmesso e che lui insegna a previsualizzare nella mente prima si scattare.

Riproduzione di emozioni quindi e non semplice cartolina di un paesaggio; e in questo Adams è talmente potente che di fronte a una delle sua meravigliose stampe l'emozione davvero è la protagonista assoluta.

Se leggiamo correttamente Adams secondo la sua poetica, le sue intenzioni espressive che lui stesso ha chiaramente illustrato, ecco che allora il paragone, apparentemente sbilanciato a favore di Frank, si ribilancia. Tutto ciò che è importante è che i due autori siano riusciti a trasmettere nei loro lavori le loro intenzioni e a comunicare agli altri il loro amore per la vita, ciascuno nel modo che gli è più congeniale. Stabilito che sono due grandi, però ora non chiedetemi .... quanti grammi pesa l'arte di ciascuno di loro!!! Questo proprio non lo so e non mi interessa!!

Cordialmente

IlCatalano
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #17
Mi trovo pienamente d'accordo con Elliot Erwitt...
Ansel Adams non è passato alla storia per la qualità delle sue immagini... ma per la qualita delle sue stampe... Di fatto a parte le più viste e famose il resto non è cosi esaltante...
La ricerca della perfezzione alle volte inibisce "l'emisfero sinistro"... lasciando uno scompenso recuperabile si dalla tecnica ma non per intero.

ciao

Danieluke
Messaggio: #18
Bè che dire , "giudicare no" dare il proprio parere su due belve della fotografia come Adams e Frank magari si puo anche fare.Comunque paragonare due modi di vedere, sentire, percepire ed interpretare una posa qualsiasi essa sia oltretutto realizzando scatti con macchine e pellicole diverse per non parlare poi dello sviluppo e del senso del gusto che è in ognuno di noi, mi sembra un po troppo azzardato anche per il critico piu bravo del mondo. Magari un giudizio si puo dare piu su un lato tecnico tipo inquadratura e via dicendo ma nel caso di questi due mi sembra un po troppo scontato.E poi c'è un'altra cosa per me importante "lo stato d'anomo di u fotografo" chissà cosa gli passava per la testa in quei momenti intensi di studio e scatto di una foto.Cosa voleva dire per loro quel determinato scatto e che sensazione o emozione gli provocava rivedere quelle foto fatte ? guru.gif hmmm.gif
 
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