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Il Valore Permanente Della Fotografia
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apeiron
Nikonista
Messaggio: #1
Testimonianza e/o espressione? Mi interesserebbe moltissimo approfondire con voi il tema. Grazie a tutti guru.gif
enrico
Messaggio: #2
Ciao,
non credo ci siano dubbi: entrambe le cose. La fotografia è la risultante di due componenti: il soggetto, quindi il mondo reale che è davanti all'obiettivo, ed il fotografo, con la sua cultura, la sua storia, il suo modo di vedere e di giudicare la vita, i suoi credi politici, religiosi, morali ecc. In ogni foto c'è un po' dell'uno ed un po' dell'altro. In una foto con intenzione documentaria, la componente "soggetto" è prevalente, anche se è in ogni caso presente la componente "fotografo" che, anche inconsapevolmente, fa comunque delle scelte. Potremmo dire che forse non esiste una foto documentaria al 100 %, ma una foto realizzata in un certo modo, può fornire moltissime informazioni ed acquistare valore di documento. Oggi forse si sottovaluta questo aspetto della fotografia, come appartenente ad un livello inferiore, meccanico e quindi non artistico. Invece credo che il valore della fotografia come testimonianza è unico ed insostituibile. Se osserviamo vecchie foto, è come se ci sporgessimo su di un balcone ad osservare "il passato"; entriamo nella "macchina del tempo".
Al polo opposti ci sono poi le foto tematiche dove il sogetto è solo una scusa, un pretesto attraverso il quale l'autore esprime le proprie idee, i propri sentimenti, le proprie sensazioni. In questo caso la componente "soggetto" è minima e prevale la componente "autore". La realtà diviene come la creta per lo scultore. Il significato della foto può essere molto distante allora dal significato della cosa fotografata. Si potrebbe parlare per giorni su questo affascinante argomento, andando a rivedere la storia della fotografia e del linguaggio fotografico. In questo periodo sto proprio divorando un certo numero di testi sulla storia della fotografia, veramente ben fatti ed interessanti. Penso che un appassioanto di fotografia non debba interessarsi solo di tecnica fotografica, ma anche di linguaggio e, soprattutto di storia della fotografia, per poter collocarsi fotograficamente e fare le proprie scelte.
Scappo perchè altrimenti faccio tardi a scuola.
Buona giornata
ENrico
Ciao
Enrico
apeiron
Nikonista
Messaggio: #3
QUOTE(enrico @ Mar 8 2006, 07:34 AM)
Ciao,
non credo ci siano dubbi: entrambe le cose. La fotografia è la risultante di due componenti: il soggetto, quindi il mondo reale che è davanti all'obiettivo, ed il fotografo, con la sua cultura, la sua storia, il suo modo di vedere e di giudicare la vita, i suoi credi politici, religiosi, morali ecc. In ogni foto c'è un po' dell'uno ed un po' dell'altro. In una foto con intenzione documentaria, la componente "soggetto" è prevalente, anche se è in ogni caso presente la componente "fotografo" che, anche inconsapevolmente, fa comunque delle scelte. Potremmo dire che forse non esiste una foto documentaria al 100 %, ma una foto realizzata in un certo modo, può fornire moltissime informazioni ed acquistare valore di documento. Oggi forse si sottovaluta questo aspetto della fotografia, come appartenente ad un livello inferiore, meccanico e quindi non artistico. Invece credo che il valore della fotografia come testimonianza è unico ed insostituibile. Se osserviamo vecchie foto, è come se ci sporgessimo su di un balcone ad osservare "il passato"; entriamo nella "macchina del tempo".
Al polo opposti ci sono poi le foto tematiche dove il sogetto è solo una scusa, un pretesto attraverso il quale l'autore esprime le proprie idee, i propri sentimenti, le proprie sensazioni. In questo caso la componente "soggetto" è minima e prevale la componente "autore". La realtà diviene come la creta per lo scultore. Il significato della foto può essere molto distante allora dal significato della cosa fotografata. Si potrebbe parlare per giorni su questo affascinante argomento, andando a rivedere la storia della fotografia e del linguaggio fotografico. In questo periodo sto proprio divorando un certo numero di testi sulla storia della fotografia, veramente ben fatti ed interessanti. Penso che un appassioanto di fotografia non debba interessarsi solo di tecnica fotografica, ma anche di linguaggio e, soprattutto di storia della fotografia, per poter collocarsi fotograficamente e fare le proprie scelte.
Scappo perchè altrimenti faccio tardi a scuola.
Buona giornata
ENrico
Ciao
Enrico
*


Mi piace moltissimo quello che hai scritto, Enrico. Più tardi cerco di risponderti.Ho bisogno di rifletterci un pò su, con calma. E' un tema di grande interesse anche per me. Coltivo l'interesse per la fotografia da parecchio. Esso è nato, come penso accada spesso , non per il "medium", ma per il mezzo in quanto tale, per il fascino che questo esercita (una Nikon in mano, confesso senza pudori, è in grado di soddisfarmi ancora, spesso oltre ogni buon scatto). E' così anche per te?
Non potrei davvero separare il mio interesse per i maestri, per il linguaggio, per la storia della fotografia, dal piacere della macchina, dalla sua incredibile attrattiva.
Ci rifletto un pò.
Ciao biggrin.gif

enrico
Messaggio: #4
Certo la macchina ha il suo fascino. Conservo ancora il fascino della macchina a foro stenopeico che mi costruì mio padre quando ero bambino e delle carte scadute che mi regalava e con le quali ottenevo impronte di piume, sassi e bottoni, esponendole al sole.
Ma non bisogna mai dimenticare che la macchina è il mezzo e non il fine. Il fine sono le fotografie e la diversa conoscenza che esse ci danno del mondo. Purtroppo ho conosciuto gente con macchine ed attrezzature costose, ma le cui foto lasciavano molto a desiderare (quando le facevano).
Non bisogna mai lasciarsi prendere la mano dallo strumento. Ho in soffitta un vecchio obiettivo di mio padre (io non sono più tanto giovane, ho visto passare 60 primavere... e altrettanti inverni). Questa estate voglio divertirmi a costruire una cassetta e sperimentare il calotipo. Ho del nitrato d'argento.
Buona serata
Enrico
apeiron
Nikonista
Messaggio: #5
ciao enrico,
intanto ti ringrazio per aver risposto. Cominciavo a pensare che l'argomento non suscitasse alcun interesse.
Sono d'accordo con te: la macchina è il mezzo, non il fine. A me però interessa anche indagare ciò che la macchina, la tecnica più in generale, è in grado di generare. Potremmo davvero essere coinvolti, così attratti verso la fotografia, con un atteggiamento di distanza dal mezzo, che la fotografia produce? Non sarà piuttosto che l'uno è indivisibile dall'altro? Al crescere dell'interesse dell'uno cresce l'interesse dell'altro.
Il mezzo tecnico ha un'innegabile fascino, perfino un'innegabile estetica, che non possono essere sottovalutati. Ma anche dell'altro. La tecnica, la macchina, non può certo esaurirsi in se stessa, sarebbe banale e inutile. Mi pare però che non possa separarsi dal risultato, il fine, che tanto condiziona. Per andare sul concreto: non mi è indifferente, per come mi predispone, ma anche per i risultati, stampare con un Meopta o con un Durst M805.
Se stampi un calotipo fammi sapere.
Buona serata anche a te
enrico
Messaggio: #6
Per tornare al titolo del tread, mi vien da pormi una domanda: una volta, manipolare una fotografia era cosa da pochi eletti, che dovevano saper armeggiare bene in camera oscura ed era richiesta una non indifferente manualità. Oggi, con la diffusione dei programmi di fotoritocco, manipolare (e quindi alterare) una immagine è cosa alla portata di tutti. Questi interventi fanno perdere buona parte del valore di testimonianza alla fotografia. E mi chiedo ancora: visto che nella maggior parte dei circoli fotografici (e ciò forse è anche indotto dai concorsi) si mira alla foto "artistica", che fine sta facendo la foto documentaria? In quanti ci si dedica ancora ad una attività di documentazione?
Un'ultima riflessione: i concorsi fotografici (che comunque sono un ottimo stimolo all'attività fotografica), in che misura incidono negativamente (l'obiettivo di chi partecipa ad un concorso è quello di vincere un premio e quindi si fotografa "per la giuria") sul modo di fotografare e su di una libera ricerca di un modo vero, personale, di intendere la fotografia e quindi di fotografare?
Ciao
Enrico
apeiron
Nikonista
Messaggio: #7
E' un percorso lento di evoluzione personale, secondo me Enrico. Non scarterei nulla, né il circolo fotografico e neppure le foto fatte per la giuria. Mi sembra sempre di più che la fotografia sia quanto di più difficile da acquisire. Non parlo della tecnica, ovviamente. Si crede spesso che la grande foto dipenda dal luogo, dalla fortuna di essere nel posto giusto... Non credo sia così. Mario Giacomelli ha fotografato quasi sempre a Senigallia, e questo la dice lunga. E' un lento processo di educazione, non so dire meglio, di capacità di sintesi, di che cos'altro?
Ciao
apeiron
Nikonista
Messaggio: #8
Enrico, secondo te perché non suscita interesse questa discussione? Mi preoccupa!
enrico
Messaggio: #9
Sinceramente preoccupa anche me. A questo punto non vedo molta differenza fra lo scrivere sul forum ed il discuterne in privato. Mi sembra quasi il caso di chiudere il tread.
Ciao
Enrico
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #10
QUOTE(enrico @ Mar 8 2006, 07:34 AM)
Ciao,
non credo ci siano dubbi: entrambe le cose. La fotografia è la risultante di due componenti: il soggetto, quindi il mondo reale che è davanti all'obiettivo, ed il fotografo, con la sua cultura, la sua storia, il suo modo di vedere e di giudicare la vita, i suoi credi politici, religiosi, morali ecc. In ogni foto c'è un po' dell'uno ed un po' dell'altro.



Permettimi, Enrico, ma secondo me hai omesso una terza componente: la fotografia nel suo intrinseco, e cioè il foglio di carta su cui è stampata la foto; oppure, meglio ancora, "i destinatari" della foto.
la fotografia è triangolare: se fosse una semiretta, come dici tu, che va da A a B, essa si esaurirebbe con lo scatto e non avrebbe più nulla da dire.
la discussione è più che interessante, così come sono di alto profilo le vostre osservazioni... il fatto è che avendo aperto la discussione in "bar", sappiate che siamo destinati all'oblio e alla deriva.
nic

speriamo che lòa si riporti in tecniche fotografiche, dove altre volte si è discusso di contenuti della fotografia, oltre che di raffinatissime tecniche.
apeiron
Nikonista
Messaggio: #11
nic, il tuo intervento mi suscita una domanda. Certo, i destinatari sono "la terza componente", come la chiami tu. Ma nello scatto, in quel momento decisivo, quanta consapevolezza c'é di questa terza componente? Voglio dire: non sara la fotografia un modo di vedere il mondo talmente intimo e personale, che, almeno nel momento dello scatto, il destinatario scompare completamente? La rivolgo anche a te Enrico.
ciao, wink.gif apeiron
apeiron
Nikonista
Messaggio: #12
A proposito, perché al bar siamo destinati alla deriva?
enrico
Messaggio: #13
QUOTE(apeiron @ Mar 9 2006, 09:39 PM)
nic, il tuo intervento mi suscita una domanda. Certo, i destinatari sono "la terza componente", come la chiami tu. Ma nello scatto, in quel momento decisivo, quanta consapevolezza c'é di questa terza componente? Voglio dire: non sara la fotografia un modo di vedere il mondo talmente intimo e personale, che, almeno nel momento dello scatto, il destinatario scompare completamente? La rivolgo anche a te Enrico.
ciao,  wink.gif apeiron
*



Credo che anche in quel caso, fotografare per se stessi, un destiantario comunque c'è: se stessi. Quando rivediamo le nostre foto, non siamo più gli stessi di quando le abbiamo scattate. Specie se le osserviamo dopo molto tempo, spesso le foto ci ricordano non tanto il soggetto, ma come eravamo.
Ciao Nic. Non escludo la terza componente: sono convinto che la fotografia è comunicazione.
Buona serata
Enrico
enrico
Messaggio: #14
L'intervento di Nic mi ha indotto ad una considerazione che mi sembra interessante. Parlando all'inizio di componente "soggetto" e componente "autore della foto", mi sono posto dalla parte del lettore (mi interesso di "lettura" della fotografia), quindi dalla parte della terza componente.
Se prendiamo come riferimento il fotografo autore, allora le componenti che vede sono "il soggetto" ed il possibile "fruitore". E, specie se spinto da motivi professionali (fotoritratto, matrimonio, reportage per un giornale ecc), costruisce il "segno" fotografico tenendo conto di queste componenti, ed in particolare delle aspettative del committente.
Se ci poniamo invece dalla parte del "soggetto" (ovviamente quando questo è una persona), questi vede il fotografo che gli è dinanzi e gli sta puntando la macchina, e pensa a chi vedrà la foto. E' per questo che si aggiusta la cravatta, si controlla la pettinatura e, più ancora, cerca di tenere un atteggiamento ed una postura tali da apparire come desidera che gli altri lo vedano.
E siccome esiste solo ciò che è visto, è percepito, in relazione al segno fotografico non ci possono essere che questi tre elementi ciascuno dei quali vede dal suo punto di vista gli altri due.
Buona notte
Enrico
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #15
per deformazione mentale (non professionale) non penso mai al soggetto che si aggiusta la cravatta o si pettina, poichè nella fotografia a cui penso io, il soggetto è per l'80% dei casi è passivo, oggetto. nel senso che non è consapevole di essere "nel mirino" del fotografo, nè immagina di essere ripreso.
nic
enrico
Messaggio: #16
QUOTE(nisex @ Mar 10 2006, 01:13 AM)
per deformazione mentale (non professionale) non penso mai al soggetto che si aggiusta la cravatta o si pettina, poichè nella fotografia a cui penso io, il soggetto è per l'80% dei casi è passivo,  oggetto. nel senso che non è consapevole di essere "nel mirino" del fotografo, nè immagina di essere ripreso.
nic
*



Ed è l'atteggiamento giusto. E' un po' quello che accade in fisica con il principio di indeterminazione di Heisenberg: "Quando cerchiamo di misurare un sistema, siamo costretti ad interagire con esso e quindi lo alteriamo". Un soggetto che sa di essere ripreso, non è più spontaneo, è in un certo senso "alterato" dalla presenza del fotografo (pur se nel ritratto, entrano in gioco tanti fattori interessanti ed il rapporto fotografo-soggetto, se ben gestito, diventa fondamentale).
Anch'io amo fotografare cercando di non far sentire al soggetto la mia presenza.
Ciao
Enrico
Anteprima(e) allegate
Immagine Allegata

 
apeiron
Nikonista
Messaggio: #17
QUOTE(enrico @ Mar 10 2006, 07:24 AM)
Ed è l'atteggiamento giusto. E' un po' quello che accade in fisica con il principio di indeterminazione di Heisenberg: "Quando cerchiamo di misurare un sistema, siamo costretti ad interagire con esso e quindi lo alteriamo". Un soggetto che sa di essere ripreso, non è più spontaneo, è in un certo senso "alterato" dalla presenza del fotografo (pur se nel ritratto, entrano in gioco tanti fattori interessanti ed il rapporto fotografo-soggetto, se ben gestito, diventa fondamentale).
Anch'io amo fotografare cercando di non far sentire al soggetto la mia presenza.
Ciao
Enrico
*


complimenti Enrico, davvero molto bella
apeiron
Nikonista
Messaggio: #18
Torno alla questione della "terza componente". Mi piace pensare che vi sia continuità solo tra fotografo e realtà, selezionata attraverso lo sguardo, la cultura ...del fotografo. Che non ci sia posto per nient'altro.Semmai il fruitore è tema d'interesse del committente, come dice Enrico.Quante immagini vengono infatti scartate dal committente in modo che vi sia perfetta aderenza con i soui obiettivi? A meno che il fotografo non intenda piegare il reale, forzandolo verso uno scopo a priori.
Una fotografia che fin dall'inizio tenga conto anche del fruitore, mi sembra "viziata" fin dall'origine, perché "al sevizio di". Non dico che non esista, esiste eccome! Mi interessa però la prima, che mi parla innanzitutto del fotografo.
Cartier-Bresson, da questo punto di vista, è stato maestro anche in questo, Smith altrettanto. Roger Fenton ritraeva i campi di battaglia in Crimea senza i cadaveri, seguendoun progetto funzionale al governo inglese, che voleva fornire all'opinione pubblica un'immagine edulcorata della guerra, senza dolore. Cosa che non fece Felice Beato in India, per esempio.
Mi sembra allora che ogni volta che uno scatto tiene conto anche del fruitore, là c'è un progetto"educativo", nel bene e nel male, che altera il contenuto della fotografia. Per questo lafotografia è mezzo delicato, affascinante, perfino pericoloso.
E' un piacere parlare con voi. biggrin.gif
enrico
Messaggio: #19
Condivido appieno quanto dici. Il bello del fotoamatore è di non dover sottostare a nessuna committenza. E' quindi libero di esprimersi come meglio crede.
E' anche per me un piacere questa discussione, purtroppo fra... pochi intimi.
Ciao
Enrico

Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #20
QUOTE(apeiron @ Mar 7 2006, 11:03 PM)
Testimonianza e/o espressione? Mi interesserebbe moltissimo approfondire con voi il tema. Grazie a tutti guru.gif
*



Mi dispiace aver scoperto solo ora questa bella e istruttiva discussione. Mi rifaccio quindi alla prima domanda lasciando a dopo la lettura approfondita dei vostri interventi.
Io penso che la fotografia sia ambedue le cose e può senz'altro essere utilizzata in ambedue gli ambiti. Certamente nata per la prima necessità, si è via via trasformata anche come necessità della seconda. Questo non eclude certo che attraverso l'esprimersi propio di ognuno, questo non possa servire anche a testimoniare, anzi credo che il coniugare la propria espressività con la testimonianza sia la summa del mezzo: fotografia.

P.S. Sposteri volentieri la discussione dal bar ma aspetto che nella sezione cultura, dove troverebbe posto adatto venga aggiunto uno spazio apposito.
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #21
Cari, forse non mi sono spiegato al meglio.
non prendete troppo sul serio il concetto di terza componente.
il destinatario, che come ha detto Enrico può essere anche il fotografo stesso, è elemento essenziale ed intrinseco della fotografia stessa. è questo che volevo dire.
se fate una foto, non la guardate neanche voi e la chiudete in un cassetto, potete dire di aver fatto una foto? la foto stessa esiste? la mia modesta opinione è: no, non è in natura.
il committente è una corruzione di terza componente.
la fotografia non esiste senza il fotografo, non esiste senza il soggetto/oggetto, non esiste se un terzo (che può essere anche il fotografo dopo aver dismesso le sue vesti) non posa il suo sguardo su quel foglio di carta.
piccolo esempio. cito HCB o Eugen, cari ad aperion: tutte le foto che hanno scattato e magari messo in un cassetto, e che nessuno di noi ha visto, esistono?
nic
toad
Messaggio: #22
QUOTE(enrico @ Mar 9 2006, 07:14 PM)
Mi sembra quasi il caso di chiudere il tread.


Neanche per idea! biggrin.gif
Uno dei thread più interessanti letti ultimamente.
Fatemelo leggere bene e poi dirò la mia.

Claudio, appena puoi, spostalo dal bar.

toad
Messaggio: #23
Eccomi.

Innanzitutto è stato un piacere leggervi.
Ho letto cose interessantissime che condivido quasi in toto.
Vado a ruota libera e senza un preciso ordine.

Secondo me, sostanzialmente e parafrasando Gaber, la fotografia “è partecipazione”. In senso lato ma assoluto. E quindi è sia testimonianza che espressione. Mi spiego. Qualunque sia il genere, è indispensabile che il fotografo partecipi e sia “dentro” l’immagine nel suo percorso completo, anzi in molti casi anche prima.
Certe immagini nascono nella mente e solo dopo si cerca di realizzarle. Questo ovviamente, ma non sempre, può non valere per il reportage puro (vedi, ahimé, le foto di guerra). Il fotografo dovrebbe sempre cercare di essere un tutt’uno con il soggetto, sentirlo, cercare di capirlo e naturalmente interpretarlo secondo la propria personalità. E questo, ripeto, secondo me vale per tutti i generi. Anche in uno still-life si può comprendere bene l’approccio del fotografo verso gli oggetti fotografati, la cura nell’allestire il set, le luci, l’inquadratura e quant’altro, in sostanza la personalità del fotografo.
Questo vale ancora di più, anzi in modo totale, nel ritratto dove il rapporto fotografo-soggetto è imprescindibile per l’ottenimento del risultato desiderato. Occorre veramente conoscere il soggetto ed istaurare con lui un rapporto. E’ compito dell’autore far sentire a proprio agio il soggetto.
D’altra parte se è vero il principio di Heisenberg (quanti ricordi dei miei giovanili studi di fisica…) è anche vero che l’alterazione del sistema/soggetto inteso come persona avviene anche con una semplice conversazione o con un rapporto qualsiasi. Con la fotografia indubbiamente l’alterazione è maggiore perché comunque il soggetto si sente in qualche modo “catturato”. Da qui l’abilità della persona/fotografo nell’ottenere il risultato voluto. Generalmente, a mio avviso, il sistema migliore è l’umiltà nell’approccio. Così facendo nasce il vero ritratto che, a parità di soggetto sarà ovviamente diverso a seconda di chi fotografa. Diversamente si fa una bella istantanea che può, sia ben chiaro, essere validissima. Ma non sarà mai un ritratto, che peraltro è genere difficilissimo proprio perché in qualche modo il fotografo diventa soggetto egli stesso. Questo per prendere ad esempio il genere ritratto.

La tecnica e l’apparecchiatura. Sono il primo a sostenere a spada tratta che la macchina è solo un mezzo e detesto le discussioni tecniche (test MTF e quant’altro) fini a se stesse. Dei miei scatti ricordo a malapena la macchina e l’obiettivo usato, ma non sempre. Però indubbiamente anche io subisco il fascino dell’oggetto. Fotografando da quarant’anni ed avendo avuto anch’io questa passione in comune con mio padre, possiedo attualmente un tot di apparecchi di epoche e formati differenti. Li ho utilizzati quasi tutti arrivando alla conclusione che ciascuno ha un suo proprio e specifico “feeling”. Sono portato a pensare che, in qualche modo, la foto possa essere influenzata anche dall’apperecchio. L’approccio con il soggetto che si ha con una Rolleiflex o con una Hasselblad è diverso da quello che si ha con una telemetro o con una reflex. Prescindendo che ciascuna è tendenzialmente destinata ad uno specifico genere.

Volendo “partecipare” l’immagine nel suo percorso completo non si può prescindere dalla tecnica, intesa come conoscenza degli strumenti e non come fonte di circonvoluzioni mentali che resteranno sempre fini a se stesse impedendo di produrre immagini significative o, addirittura a non produrle. Questa nostra amata disciplina, se vuol essere compresa o almeno appresa nel suo insieme ci porta necessariamente, volendo approfondire, ad interessarci di varie branche: ottica, geometria (prospettiva e inquadratura), chimica ed oggi informatica. Orizzonti veramente vasti e affascinanti che talvolta ti permettono di entrare ancora di più dentro il soggetto ("Blow Up" docet...). Ma occorrono anche il cuore e la sensibilità. Diversamente non si va da nessuna parte.
In sostanza, fare una foto è semplicissimo, fare una bella foto richiede già un certo impegno, fare una foto significativa per noi e potendo per gli altri richiede un impegno totale. Partecipazione, appunto.

Mammamia! Solo ora mi accorgo di quanto ho scritto…! Però, però non taglio nulla.
Alla prossima puntata le mie considerazioni sulla “terza componente”.

Grazie a tutti voi per lo spunto che avete offerto e un caro saluto.

Guido

Messaggio modificato da TOAD il Mar 10 2006, 10:52 PM
Renzo74
Messaggio: #24
che dire... è un thread bellissimo, complimenti!

finalmente un po' di sane, genuine, pure, spesse disquisizioni circa la fotografia senza tirare in ballo ottiche e megapixel. Leggervi è stato un piacere che spero di avere ancora.

relativamente alla domanda concordo pienamente con quanto già scritto da voi, ma non aggiungo altro perchè non ho la vs esperienza e non vorrei essere banale.
apeiron
Nikonista
Messaggio: #25
felice che siate arrivati Claudio, Nic, Toad, Renzo. Via aspettavo.
apeiron biggrin.gif
 
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