Quando a Natale sono stato a Nassirya, la cosa che più mi ha colpito è stata la moltitudine di bambini di ogni età che quotidianamente incontravo lungo le strade ribattezzate con nomi consolari e che venivano battute ripetutamente dai convogli militari.
L’attività CIMIC (Cooperazione Civile-Militare), è impegnata a 360° in un’opera di vera e propria costruzione, piuttosto che ricostruzione, ed ogni giorno è facile uscire da Camp Mittica insieme a loro, percorrere la Flaminia in direzione An Nasiryah, ed andare a fare i dovuti controlli al fine di osservare i progressi dei vari progetti iniziati quali strade, sistemi fognari, costruzioni di scuole, ospedali o altri edifici. A dispetto delle varie tecnologie cui ormai ci siamo assuefatti e legati con un doppio filo, lì nel deserto di quella che un tempo era considerata “la culla della civiltà”, vige un efficacissimo tam tam basato sul passaparola: una volta individuato il convoglio di passaggio, da ogni dove spuntano le minute teste di bambini che di corsa, per non perdere l’attimo, si precipitano dalle loro abitazioni, tende o rifugi solo per alzare il pollice verso di noi e lanciare il grido di battaglia “Mister Water!” in una marcata contrattura americana, speranzosi che dai vari mezzi venga loro dato qualcosa.
Lo scenario che si presenta alla vista, ricorda una qualsiasi pellicola in bianco e nero che documenta l’Italia del dopo guerra, con la differenza che qui, la distruzione è stata mirata in determinati e concentrati punti logistici e tutto il resto è quindi ancora allo stato natio. La povertà che regna sovrana, era già presente e radicata.
Le piazze non sono preda delle innocenti scorrerie tipiche della nostra infanzia, ma ove non ci sono rotonde e svincoli, magari presidiati da un checkpoint dell’iraqi army, ho assistito al più grande controsenso che mi sia mai capitato di poter vedere: ingorghi al di fuori della portata capitolina, senza nesso alcuno di direzione, con l’unico scopo di far benzina… nel Paese ricco di petrolio!
Abbiamo portato gessetti colorati, ma non ho visto nessun selciato o lastricato reso vivo dagli arcobaleni di questi, né costretto nel rigido schema di una campana improvvisata!
Abbiamo portato lunghi elastici da merceria, ma nessuno ha confidato loro come intrecciarli con mani o piedi negli intricati schemi che si imparavano a memoria!
Abbiamo portato corde, ma nessuno ha cantato la fruttata filastrocca che soleva accompagnare i ripetuti salti!
Abbiamo distribuito biglie e tappi di latta, ma non ho visto nessuna pista improvvisata o crocicchio alcuno a ridosso di un muro a scommettersi le proprie risorse!
Abbiamo eretto necessarie strutture, ma non ho visto nessuno creare e correre da un cantone all’altro!
Abbiamo consegnato maglie da calcio dei club più prestigiosi, ma non ho visto nessun pallone inseguito da orde di gambe sbucciate e slanciate!
Abbiamo lasciato negli orfanotrofi vagonate di macchinette, ma non ho visto nessuno tirarle fuori dai loro cellophane di protezione e farle sfrecciare sul pavimento!
Abbiamo imbiancato grezzi muri, ma nessuno li sceglieva come tana per nascondino, o base per un rapido un, due tre, stella!
Abbiamo confezionato sacchi in juta, ma nessuna li ha usati per la classica corsa!
Abbiamo regalato quaderni per la scuola, ma nessuno ha tracciato campi per la battaglia navale!
Ho visto alberi dalle cui fronde non spuntavano le teste dei temerari su questi arrampicati!
Ho visto cieli limpidi, ma nessuno di questi solcato da colorati aquiloni o sfreccianti frisbee!
Ho visto ampi spazi inutilizzati, ma nessuno se ne è appropriato marcando il territorio con un girotondo!
Ho visto distese desertiche, ma la consistenza del terreno non permetteva la costruzione di castelli di sabbia!
Ho visto una comune bandiera, ma nessuno disposto su due fila intento a rubarsela!
Ho visto una miriade di mosche, ma nessuna di queste che fosse cieca!
Non ho visto soldatini, ma di quelli, loro, ne hanno visti anche troppi!
Non ho visto capriole e non mi sono fermato a farne neanche una!
Non ho visto mazzi di figurine lise dai passaggi da una mano all’altra, né muretti da cui farle cadere per vincerne altre!
Sono stato in mezzo a tanti bambini e non ho fatto neanche un aeroplanino di carta!
Sono stato tra loro e non avevo portato con me le bolle di sapone!
Forse non mi sono fermato sufficientemente a lungo nei vari luoghi, tanto da potermi rendere conto di una realtà ludica simile alla nostra, ma l’impressione è stata quella di una quasi assenza di questa. Quando passavamo con gli autoblindi detti “scarafoni”, ho visto quel che di più simile potesse essere ad un gioco: bambini arraffare la prima pietra che capitava loro a tiro e scagliarcela contro, senza fionda, a mani nude.
In mezzo al deserto, nell’area dei bunker di Saddam fatti esplodere nel ’91 dagli alleati, ad un chilometro di distanza dall’esplosione di pericolosi ordigni che tappezzano il suolo come conchiglie e detriti in riva al mare, ho visto tre bambini giocare con un mazzo di carte, e tristemente ho pensato a quello con i volti dei ricercati.
Ho sicuramente un’idea marginale, rafforzata dalle attività svolte nel breve periodo in cui sono stato in Iraq, ma i bambini li ho visti solamente correre. A perdifiato. Senza sosta. Mendichi una bottiglietta d’acqua o una merendina, che venivano sempre distribuite con generosità spontanea. Ma il più delle volte, quello che veniva loro dato, non era consumato al momento, ma accantonato. Non so se per essere rivenduto o cosa.
Francesco Petrucci