Lavorare stanca: La fabbrica abbandonata nel Dallol (Dancali Mi piace

Nei pressi del Dallol, una zona geologicamente spettacolare della Dancalia etiope (vedi mio album Dallol) l’antico fondo marino cela enormi depositi di potassio. Per questo, pur essendo una della zone climaticamente più inospitali del pianeta, ha attratto l’interesse di avventurieri prima e compagnie minerarie organizzate poi. Il potassio è stato ed ancora è il più universale dei concimi chimici: aumenta il rendimento dei terreni, accresce la resistenza alle malattie delle piante. Ma non solo. Ecco allora spiegata la presenza di un villaggio-fabbrica abbandonato proprio nei pressi del Dallol. La storia della estrazione del potassio dal sottosuolo dancalo inizia più di un secolo fa. Furono due fratelli italiani, Adriano e Tullio Pastor, avventurieri, cercatori di risorse minerarie da sfruttare, arrivati in Dancalia ai primi del ’900, a rendersi conto che sotto il Dallol vi era del potassio. I due fratelli nel 1912, ottennero una concessione mineraria dal Negus d’Etiopia in questa regione estrema del suo regno, ai confini della colonia italiana dell’Eritrea. Ma l’affare era troppo grande per i due fratelli e la concessione passò di mano nel 1917: per sfruttare il potassio della Dancalia arrivò una multinazionale italiana: la Compagnia mineraria coloniale. La Compagnia era controllata dalla Banca Italiana di Sconto, legata a Fiat e Ansaldo, le grandi e nascenti industrie del nord. Erano gli anni della prima guerra mondiale e il potassio, che serve anche a fabbricare munizioni, in quei tempi di conflitto era merce preziosa. La più grande miniera era a Stassfurt in territorio prussiano e quindi nemico. Finito il primo conflitto mondiale, anche il business del potassio dancalo declinò, la Compagnia fu liquidata nel 1929 e la miniera abbandonata a sé stessa. E nel deserto dancalo furono dimenticati, senza salari né cibo, operai e tecnici. A questa vicenda ne seguirono molte altre che videro intrecciarsi gli interessi di nazioni quali gli Stati uniti d’America, il Canada e oggi, la Cina. Interessi destinati oggi a cambiare per sempre il volto e l’economia della Dancalia. Ma di quella prima avventura estrattiva italiana resta ancora oggi il villaggio/fabbrica abbandonato. Passeggiare tra i resti degli edifici, tra i veicoli e i macchinari arrugginiti, gli utensili, cocci di bottiglie rotte, scarpe, batterie di automobili, circondati da un paesaggio desertico e desolato ammalia quasi altrettanto che vagare per la zona naturale del Dallol. Ciò che rimane racconta una quotidianità che riesce facile immaginare e rivivere. Da questo luogo emana potente il fascino del passato che appartiene a tanti luoghi di archeologia industriale. Ancora oggi il vento rovente che scorre sibilando tra i muri pericolanti, gli sfondati ciechi delle finestre, le lamiere arrugginite di veicoli e macchinari sembra voler dar voce e raccontare quelle storie di uomini che qui, in uno dei luoghi più inospitali del pianeta, in questo paesaggio vuoto, bruciato da un sole micidiale e sbiancato da una luce abbacinante, soggetto a temperature al limite della sopportabilità umana hanno lavorato, vissuto. Questo villaggio abbandonato è un luogo di profonda desolazione ma anche di altrettanto potente fascino e poesia. Forse queste poche immagini riusciranno a rendere almeno una pallida idea di tutto ciò.
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