Paradisi perduti - la Plage Blanche nel sud del Marocco
30 11 2022
Nel sud del Marocco, lungo la costa atlantica, poco a nord della foce del fiume Draa inizia la lunghissima Plage Blanche che risale verso nord per oltre 30 chilometri. La spiaggia è caratterizzata dalla presenza delle propaggini occidentali delle dune del deserto del Sahara che qui si gettano in mare. Un ambiente privo di insediamenti umani, lontano da ogni centro di civiltà, dominato unicamente dalla presenza di una natura selvaggia. La possente voce dell’oceano che si frange sempre con alte onde ed un rombo quasi di tuono da una parte fa da contraltare alla maestosa presenza delle dune che paiono stringere d’assedio la lunga e larghissima spiaggia. Dune popolate unicamente da radi cespugli che traggono l’umidità necessaria per sopravvivere in questo ambiente ostile dalla nebbia notturna che puntuale ogni notte giunge dal mare, come accade nel lontano deserto del Namib. E assieme alla vegetazione le dune recano le impronte di un vasto popolo di creature: insetti, piccoli roditori, volpi, sciacalli, serpenti, che – invisibili agli occhi del visitatore - sopravvivono anch’essi in questo ambiente dall’apparenza inospitale. Eppure, questa lontananza da tutto, da tutto ciò che è umano, “civile”, e che farebbe presupporre un ambiente naturale incontaminato, reca e mostra uno scempio di rifiuti spiaggiati dalle maree e dalle tempeste, in parte semisepolti, in parte ancora galleggianti sulla sabbia della spiaggia. Rifiuti costituiti soprattutto dal quasi eterno ed indistruttibile materiale plastico, di ogni tipologia, natura, provenienza. Reti da pesca, scarpe, contenitori di ogni tipo, deturpano la bellezza del luogo. Il carapace spiaggiato in disfacimento di una tartaruga marina apparentemente avvolta da fibre di platica racconta un’altra triste storia di quanto danno e sofferenza e morte produce l’inquinamento ambientale anche nei luoghi più remoti e lontani. Ho percorso a piedi la Plage Blanche in tutta la sua lunghezza e il triste spettacolo dell’inquinamento ambientale mi ha seguito e perseguitato per tutto il percorso.
La spiritualità cristiano ortodossa in Etiopia: immagini di
31 03 2022
Durante i miei viaggi in Etiopia sono stato spesso testimone di come la fede ortodossa permei profondamente l’animo di gran parte della popolazione di questo paese. Le chiese diventano luoghi di ritrovo, in cui trascorrere ore o giorni incontrando amici e parenti con cui condividere sia l’esperienza religiosa sia il proprio vissuto personale. Il tempo trascorre recitando preghiere, cantando, suonando, leggendo i testi sacri, addobbati degli abiti candidi, indossati proprio per l’occasione. Le cerimonie, i luoghi di culto, la sentita partecipazione mostrata dai fedeli agli eventi religiosi così come la semplice preghiera solitaria rendono il contatto con questo aspetto fideistico estremamente coinvolgente ed emozionante. I luoghi di culto sono spesso vere e proprie opere d'arte tutelate dall'Unesco, uniche nel loro genere, che conservano importantissime testimonianze artistiche quali antichi manoscritti, oggettistica e dipinti di raro valore. Ho scelto le immagini da presentare in questo portfolio cercando di individuare quelle che, a mio giudizio, riescono a comunicare l’atmosfera di spiritualità e di fede vissuta che si respira attorno e dentro i luoghi di culto, conscio per altro del fatto che sono perlopiù immagini tecnicamente imperfette, frutto quasi esclusivo di scatti presi al volo in cui non ho avuto il tempo o la possibilità di soffermarmi a studiare l’inquadratura, la luce, la disposizione dei soggetti ma che forse – come spero - riescono a suscitare emozione nell’osservatore, a disvelare il mistero della fede che altro non è che un dono della fede stessa. Le immagini presentate in questo portfolio sono state registrate in formato NEF, successivamente elaborate con il sw DxO e quindi salvate in formato jpg con riduzione del 15% delle dimensioni iniziali.
I luoghi abbandonati 1 - Consonno (LC)
21 06 2019
1. Non so voi, ma a me i luoghi abbandonati hanno sempre affascinato. Siano essi complessi industriali, cascine, luna-park, palazzi, tutti, indifferentemente esercitano un fascino – forse sinistro – che mi porta ad immaginare le vite che si sono spese dentro qui luoghi, la quotidianità che le ha abitate, le umane vicende, gli amori, le morti di cui quei luoghi sono stati testimoni. Luoghi abbandonati al degrado, all’incuria, allo scempio ma anche alla tenace e infaticabile mano della Natura che lentamente, pazientemente, con gentile fermezza cerca di riprenderne possesso. Esplorare questi luoghi mi affascina e mi inquieta sempre per quel senso di mistero palpabile, frammisto ad una sottile poesia, che racconta del tempo che inesorabile, passa.
Paradisi perduti - Maldive
11 04 2019
Le isole dell'arcipelago delle Maldive sono un luogo meraviglioso dove una luce pura modella i colori del mare in una infinita sinfonia di variazioni cromatiche, dove minuscole isole disabitate, e piccole lingue di sabbia emergenti con la bassa marea segnano il paesaggio marino. Un paradiso, una meraviglia per gli occhi e il cuore. Un paradiso che a fatica nasconde però il disastro ambientale a cui l'intero pianeta sembra inesorabilmente condannato. Relitti di plastica si trovano ormai ovunque, anche nel più sperduto isolotto, portati a volte dalla corrente, altrettanto spesso dall'incuria umana, di turisti e locali. E' questo il mio quarto viaggio in barca alle Maldive nel corso di 25 anni, ed ogni volta trovo la situazione peggiore, il disastro ambientale più evidente, più preoccupante. Poche foto per testimoniare tutto questo, per stimolare una riflessione in tutti noi.
Lavorare stanca: La fabbrica abbandonata nel Dallol (Dancali
20 12 2018
Nei pressi del Dallol, una zona geologicamente spettacolare della Dancalia etiope (vedi mio album Dallol) l’antico fondo marino cela enormi depositi di potassio. Per questo, pur essendo una della zone climaticamente più inospitali del pianeta, ha attratto l’interesse di avventurieri prima e compagnie minerarie organizzate poi. Il potassio è stato ed ancora è il più universale dei concimi chimici: aumenta il rendimento dei terreni, accresce la resistenza alle malattie delle piante. Ma non solo. Ecco allora spiegata la presenza di un villaggio-fabbrica abbandonato proprio nei pressi del Dallol. La storia della estrazione del potassio dal sottosuolo dancalo inizia più di un secolo fa. Furono due fratelli italiani, Adriano e Tullio Pastor, avventurieri, cercatori di risorse minerarie da sfruttare, arrivati in Dancalia ai primi del ’900, a rendersi conto che sotto il Dallol vi era del potassio. I due fratelli nel 1912, ottennero una concessione mineraria dal Negus d’Etiopia in questa regione estrema del suo regno, ai confini della colonia italiana dell’Eritrea. Ma l’affare era troppo grande per i due fratelli e la concessione passò di mano nel 1917: per sfruttare il potassio della Dancalia arrivò una multinazionale italiana: la Compagnia mineraria coloniale. La Compagnia era controllata dalla Banca Italiana di Sconto, legata a Fiat e Ansaldo, le grandi e nascenti industrie del nord. Erano gli anni della prima guerra mondiale e il potassio, che serve anche a fabbricare munizioni, in quei tempi di conflitto era merce preziosa. La più grande miniera era a Stassfurt in territorio prussiano e quindi nemico. Finito il primo conflitto mondiale, anche il business del potassio dancalo declinò, la Compagnia fu liquidata nel 1929 e la miniera abbandonata a sé stessa. E nel deserto dancalo furono dimenticati, senza salari né cibo, operai e tecnici. A questa vicenda ne seguirono molte altre che videro intrecciarsi gli interessi di nazioni quali gli Stati uniti d’America, il Canada e oggi, la Cina. Interessi destinati oggi a cambiare per sempre il volto e l’economia della Dancalia. Ma di quella prima avventura estrattiva italiana resta ancora oggi il villaggio/fabbrica abbandonato. Passeggiare tra i resti degli edifici, tra i veicoli e i macchinari arrugginiti, gli utensili, cocci di bottiglie rotte, scarpe, batterie di automobili, circondati da un paesaggio desertico e desolato ammalia quasi altrettanto che vagare per la zona naturale del Dallol. Ciò che rimane racconta una quotidianità che riesce facile immaginare e rivivere. Da questo luogo emana potente il fascino del passato che appartiene a tanti luoghi di archeologia industriale. Ancora oggi il vento rovente che scorre sibilando tra i muri pericolanti, gli sfondati ciechi delle finestre, le lamiere arrugginite di veicoli e macchinari sembra voler dar voce e raccontare quelle storie di uomini che qui, in uno dei luoghi più inospitali del pianeta, in questo paesaggio vuoto, bruciato da un sole micidiale e sbiancato da una luce abbacinante, soggetto a temperature al limite della sopportabilità umana hanno lavorato, vissuto. Questo villaggio abbandonato è un luogo di profonda desolazione ma anche di altrettanto potente fascino e poesia. Forse queste poche immagini riusciranno a rendere almeno una pallida idea di tutto ciò.
Lavorare stanca - la via del sale 4: le ultime carovane del
15 12 2018
Siamo in Dancalia (Etiopia) nella piana del sale. Uno dei luoghi climaticamente più inospitali del pianeta con temperature massime che sfiorano i 50°C all'ombra e minime mai sotto i 30. E' il fondo di un antico golfo del Mar Rosso, rimasto isolato e prosciugatosi. La pian è il fondo di questo antico mare ed è interamente ricoperta da uno spesso strato di sale fossile. Gli Afar, pastori seminomadi, scavano a mano il sale che viene poi trasportato a dorso di cammello nella città di Bhere Ale per poi essere trasformato. E' un lavoro micidiale, durissimo. La luce è tremenda, il cielo reso fosco dalla grande calura che non cessa mai. Le carovane del sale sono destinate a breve a sparire, sostituite da camion che, grazie alle nuove strade che cinesi stanno rapidamente costruendo, rimpiazzeranno questa tradizione secolare, per noi così densa di fascino e poesia.