Cilento, una terra aspra, cruda, dove stradicciole assolate e canterine si inerpicano su tra le felci per ripiombare in abissi azzurri e profondi. Improvvisi da mozzare il fiato, ed il sudore e la fatica svaniscono, esaltando la tua anima soltanto.
Il flish cilentano è una roccia difficile, bruciata, che suscita sensazioni forti, e quanto deve essere stato difficile lasciarla per i miei avi partiti per le lontane americhe o chissà dove.
Le campagne, apparentemente abbandonate, sono ancora là a testimonianza delle vite passate a rendere fertili quelle campagne che tanto avevano amato le popolazioni nel corso dei secoli.
Una terra intrisa di storia, difficile ma, per questo, ancor di più amata e desiderata. Ne sono testimonianza le torri saracene, i templi greci di Paestum, i dialetti, i ragionamenti di Parmenide, i fantasmi di armature spagnole e delle camice rosse garbaldine, l’eco delle fatiche di Anna, mia nonna che questa estate mi ha lasciato. Un punto di riferimento, l’ultimo dell’infanzia felice, trascorsa tra i roseti del primo amore e le capre.
Il Cilento, quello dei paesini arroccati, dominati dalle piazze, baluardo della tradizione e ancora luogo di incontro delle generazioni.
Il Cilento dei rari stabilimenti balneari
Il Cilento degli Ulivi secolari
Quello dei pescatori e dei borghi, e delle leggende raccontate tra sorsate di vino rosso, quello che macchia il bicchiere.
Il Cilento dei tramonti sugli Gneiss, anch’essi testimoni di un travaglio, quello dell’ultima orogenesi appenninica.
Quello delle ombre che si allungano su una estate che finisce e che ha portato via anche Te.
Ciao nonna, mi hai lasciato
Ti ascolterò nel respiro di questa terra.