Ciao a tutti,

mi è capitato di leggere questa intervista a Cesare Colombo. Un'interessante approfondimento sulla cultura fotografica di ieri e di oggi. Non so se questo è il luogo migliore dove postare questa discussione. Se mi sono sbagliato, vi chiedo scusa in anticipo.

Spero sia una lettura interessante.

Grazie, Simone


03 luglio 2013
Vanda Biffani

Cesare Colombo, affermato fotografo milanese, critico e profondo conoscitore della materia, ha un piccolo studio sui navigli. Con voce soave smaschera l'enorme cultura fotografica, frutto di decenni di ricerche e osservazione.

Cosa pensa dei giovani e la fotografia?
Sono stato amico di Ugo Mulas e certe volte incontro per strada il nipote, avrà 23 anni, mi ha detto: “Sai voglio capire come mio nonno stampava le foto e rifarle perfette, con la sua tecnica, ho una camera oscura”. Tre mesi dopo l'ho rivisto: “Il futuro è nei video!” In poco tempo aveva abbandonato le stampe, oggi l'immagine fissa per loro non funziona più.

Forse i giovani sono più abituati all'azione.
Credo sia convinto che l'immagine fissa sarà sostituita dai video, è il loro modo di intendere il mezzo espressivo. Ipotizzando il futuro questo avverrà con gli occhiali di Google, si avvererà il fatto che fotografare sia vedere, superando siano due cose distinte. Anni fa feci a Bologna un concerto di Abbado, c'era un coro di forse 300 ragazzini. Dissi lui “ti faccio qualche foto” senza avvisare l'ufficio stampa. Come mi videro vennero a dirmi “cosa fa!” Contemporaneamente i ragazzini del coro continuavano a scattare col telefonino, impossibile fermarli. Cadono le barriere alla possibilità che chi riprenda possa essere bloccato, semmai viene fermato il professionista.

Potrebbe mettersi nei panni di chi voglia fare il mestiere del fotografo ora? Noi forse siamo cresciuti in un periodo favorevole
Il problema è proprio nel momento storico e tecnologico che stiamo vivendo. Io appartengo alla generazione che si è fatta le ossa nel '900, figli della fotografia analogica, con strumenti e modelli di linguaggio. Allora ognuno di noi fotografava per esprimere una propria visione del mondo. Le nuove generazioni, i nativi digitali hanno una percezione opposta, per me fotografare è vivere, mentre loro vivono attraverso il telefonino la propria esperienza visiva senza preoccuparsi che questo costituisca una loro interpretazione. Si scattava per conservare le foto, per l'archivio e anche questo si sta arrestando, oggi molte immagini vengono riversate su computer e dopo un po' cancellate o perse, si va perdendo anche logica e continuità degli archivi. Nella rete ormai viaggiano una quantità di immagini il cui prezzo si aggira intorno ai 4 euro. Per noi che ci siamo sovrapposti dall'analogico al digitale quei prezzi erano impensabili, una nostra giornata di lavoro valeva intorno ai 500 euro di media. Molti ora pur di vedere il proprio nome sulle riviste accettano di regalare. Questo inganna, diversi giovani annebbiati non hanno afferrato il declassamento economico delle retribuzioni, lo capiscono in ritardo sbagliando. Poi reagiscono pensando “ok tu mi dai poco io ti do un servizio che non è minimamente elaborato, curato”. Le redazioni rispondono “tu consegnami quello che hai, anche gli scarti poi ci pensiamo noi”, cosa pericolosa perché con le manipolazioni la tua foto viene stravolta e tu potresti non riconoscerti più neanche come autore. La degenerazione della professionalità e il necessario sostentamento va spiegato ad un giovane. Poi c'è un altro fattore, l'illusione che il proprio stile possa essere imposto al committente: “sono un creativo e il cliente deve apprezzarmi” ma è un equivoco. La possibilità di poter cambiare molto il file, il desiderio di intervenire per ottenere un prodotto artistico svincolato dalle motivazioni documentali e dal valore di testimonianza ha generato l'idea che la vera forma artistica basata sulla fotografia, a detta anche di esperti e galleristi, sia quella dove al limite non è riconoscibile neanche il soggetto. Ovvero meno lo distingui più artistica è. Molti sostengono “io non sono un fotografo sono un artista”, funziona una volta su cento e non è automatico che impostando la cosa in questo modo un esercito di gallerie ed acquirenti cadano ai tuoi piedi. Pochi raccontano una storia, i giovani non vogliono xxx più di tanto. Negli Usa molti riflettono nei progetti la loro pratica di vita, l'esperienza esistenziale diventa fatto creativo. L'elemento narrativo è difficile, per fare una storia devi avere un progetto, un'idea, passare del tempo a riflettere e poi iniziare a scattare. Solo che nel frattempo che fai, chi ti sostiene? Non è professione.

Cosa manca in Italia?
La figura del photo editor che condizioni il redattore dicendo “questa storia vale”. Ce ne sono di bravi, ma di solito i photo editor nostrani non sono neanche ex fotografi e di conseguenza non vengono rispettati in ambito professionale, non si impongono. Il numero dei giovani che ritengono le loro foto siano valide è molto alto ma non è così e anche se fosse potrebbero passare inosservate. Ci sono i geni, come Giacomelli all'inizio. Impressionò con i suoi paesaggi il pubblico americano che aveva una visione classica, lui arrivò con immagini diverse, super contrastate, un provinciale italiano che stravolse la visione standard americana. Se viceversa fai l'italiano che cerca di imitare gli altri non funziona.

Secondo lei i giornali hanno una responsabilità nel crollo del mercato foto giornalistico?
L'equivoco e la confusione deriva dal fatto che nelle redazioni non ci sono ancora, salvo qualche raro esempio, delle idee chiare sull'utilizzo del linguaggio fotografico. Ad occuparsi del fotografico in Italia sono quasi tutte persone che derivano da una cultura di penna, costoro pensano conti più l'articolo. Per loro la foto è un riempitivo, mettono le prime che arrivano, non c'è autonomia, inventiva.

L'Italia è affermata fotograficamente?
Nel nostro paese c'è una debolezza culturale nei confronti della fotografia. L'Italia è conosciuta per altre forme d'arte, abbiamo già un capitale culturale unico al mondo, non siamo certo visti all'estero come fotografi. È il paese dei grandi artisti del passato, nell'immaginario del mondo noi siamo la culla dell'arte classica, del melodramma, della lirica, dell'architettura, dello stile. Difficile imporsi nelle arti moderne, viviamo il retaggio dell'enorme peso ereditato con le opere che compongono il nostro patrimonio.

Mi sarebbe piaciuto replicare, il cinema italiano ha vissuto un'epoca d'oro e fa scuola nel mondo. Forse avrebbe risposto che, come disse il ragazzo, il futuro è nei video.


http://www.treccani.it/magazine/piazza_enc...re_colombo.html