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Claudio Rampini
Un gatto che uccide un topo deve essere considerato un assassino? Tu diresti di no perchè un gatto è un predatore che uccide i topi, cionondimeno trovarsi come ci siamo trovati noi di fronte ad un bel gatto nero che gioca con la preda agonizzante, ci ha fatto trasalire alquanto un po' per la fine del topo, ma soprattutto per la determinata ferocia del gatto. Il tutto avveniva tra il granaio e il castello di Ciciliano, ieri, 10 ottobre 2010.

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Eppure non capisci come un animaletto così mansueto e domestico come un meraviglioso gatto, sia capace di atti così efferati. D'altra parte se un gatto non acchiappa i topi, che razza di gatto sarebbe?
E lui è lì come i gatti di Alice, che girano nel sole, e ci osserva come una sfinge egizia.

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Ma gli uomini non sono gatti e neppure topi, se commettono qualche delitto sono puniti dalla legge, questo vale da sempre fin dalla notte dei tempi, considerazione fin troppo banale. Ma una cosa è sentir parlare delle pene, tutto un altro conto è trovarsi di fronte ai luoghi della pena e le testimonianze di chi le ha vissute.
Nel 1579 il castello di Ciciliano, di proprietà di Theodolo Theodoli, alla cui famiglia venne riconosciuto il potere di amministrare la giustizia nel proprio feudo, venne ristrutturato nelle fondamenta e da queste si ricavarono alcuni tuguri da adattare a prigioni.
La nostra fantasia corre alle cosiddette segrete, ebbene eccole qui le segrete: luoghi nei quali regna soprattutto buio e silenzio, un mondo a parte oltre mura spesse appena un paio di metri, una porticina blindata alta meno di un metro e mezzo, pesanti chiavistelli e lucchettoni.

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Le mura della prima cella, anch'essa alta circa una metro e mezzo e larga un paio di metri quadri, definirla angusta è farle un complimento, recano graffiti che raffigurano uccelli, ma su tutti un uomo stilizzato che sembra stare in croce sulla cui testa un'altra croce.

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-Voglio parlare con il mio avvocato!- Qui non ci sono avvocati, ma solo spesse mura dove passare il tempo a graffiare l'intonaco con i propri pensieri, proprio come quel Giuseppe Crescenzi, che nell'Aprile del 1661 fu carcerato falsamente. Chi avrà ascoltato le sue pene di topo nelle grinfie del gatto? Sarà stato davvero anch'egli un gatto a sua volta? Quanti topi ha ucciso?

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Il luogo ti fa sentire il cuore pesante, le mura tutte attorno portano incise profondamente nell'intonaco un gran rosario di croci, in alto una finestra con le sbarre dove salendo qualche scalino potevi accedere a qualche bagliore di luce. La peggiore delle pene non è la sottrazione della libertà ma è il negarti la luce. Il soffitto annerito dalle deboli luce delle candele e delle lampade ad olio, questo è l'inferno della GATTABUIA.

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Croci, croci dappertutto, capisci subito di essere arrivato in un girone infernale, ma capisci anche che la giustizia non può essere un fatto privato, tutte quelle croci sono teste cadute per mano di un boia, la speranza qui non entra, si è fermata ad appena un paio di metri aldilà del muro.

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Siamo scossi, usciamo dal castello con il cuore pesante, oggi ci sentiamo tutti un po' topi. Ma il pensiero non può non correre a Cesare Beccaria e al suo “Dei delitti e delle peneâ€, che promosse l'abolizione della pena di morte in Italia soltanto 100 anni dopo la carcerazione meritata o no, ma certamente terribile, di quel Giuseppe Crescenzi, e di tanti come lui, che hanno lasciato scritta sul muro la propria disperazione.

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L'aria fresca spazza via tutte le ombre, i gatti stanno al caldo dietro le mura delle case e i padroni li accarezzano.

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Campanelli-no
ferocia ed efferatezza sono due aggettivi che l'uomo "incolla", in maniera posticcia, al comportamento animale, quando non riesce ad accettare come assioma ciò che è insito nelle leggi di natura, compreso quello che avviene all'interno di una banale catena alimentare.

il problema non è nè nel gatto, nè nel topo, ma solo nell'uomo che traspone nell'ambito del (proprio)comportamento morale un codice istintuale, che di morale non ha assolutamente nulla.

Un genere di vespa, ad esempio, depone le sue uova all'interno di larve di coleotteri, prima paralizzate col suo aculeo. Alla schiusa dell'uovo la larva di vespa si nutrirà del corpo ancora vivo ma immobilizzato del suo ospite, il quale non morirà finquando non avrà assicurato il nutrimento dovuto alle larve.
come definiremmo questo?

a parte questa divagazione che mi serve per dirti che l'apertura con gatto appare quantomento superflua e banale, proseguo osservando che poteva essere un bel life, se limitato al tema dei luoghi di pena e di detenzione. le immagini sono suggestive e il richiamo leterario è d'obbligo.

ho visitato alcuni luoghi di detenzione illustri, durante i miei viaggi, ed è un tema che mi affascia e colpisce molto.

per questa parte, il lavoro mi piace.
con sincerità wink.gif

un saluto
Claudio Rampini
rispetto la tua opinione, grazie per il passaggio smile.gif
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