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Claudio Orlando
Girellando un po' per il web ho trovato queta definizione:

Le immagini di questo genere fotografico sono lo specchio della società, delle persone che la compongono, catturate durante la vita di tutti i giorni da qualche occhio attento alle sfumature dell’umana commedia che va in atto negli spazi pubblici. Essere uno street photographer significa entrare in sintonia con la vita, percepirne gli umori, gli odori, i colori, viverla con intensità per poi cercare di rappresentarla solo dopo averla assorbita.

Questa frase mi ha fatto e mi fa riflettere su alcune questioni e mi ha fatto sorgere alcune domande che, da quanto scritto, dovrebbero discendere di conseguenza:
1) Preferite che i soggetti fotografati siano o no partecipi allo scatto? Se sì, perchè? Se no, perchè?
Posto che rubare gli scatti, sia più funzionale ad una miglior spontaneità dei soggetti, un soggetto partecipe, può perdere nel momento in cui si accorge di quanto state per fare l'atteggiamento che vi aveva incuriosito?
2) Colui (fotografo) che si accinge a mostrare la vita quotidiana nella sua "normalità", deve davvero essere in sintonia con ciò che lo circonda per immergersi nella realtà che vuole mostrare? Se sì, perchè? Se no, perchè?
3) Pensate che la fotografare per la strada sia semplice e questa semplicità discenda dal carattere personale, o qualcuno si sente in pectore un buon fotografo di street ma è frenato dalla sua (vera o presunta) timidezza?
nuvolarossa
Io penso innanzitutto che le catalogazioni e le classificazioni lascino sempre il tempo che trovano...
E' difficile incasellare i vari tipi di foto nelle definizioni che siamo abituati a dare. Qual'è la differenza tra un ritratto ambientato, una foto di reportage o una "street foto"?
Credo comunque che la "foto di strada", sia essa di reportage o di ritratto ambientato, o di "situazione" non debba rendere partecipi i soggetti, altrimenti cambierebbe il significato della foto stessa.
E' proprio questo "rubare" la fotografia che definisce la foto "di strada" ed è proprio per questo che io non sono capace in questo genere di foto. La mia (vera o presunta) timidezza ed il mio rispetto per la privacy altrui mi frenano sempre....
Fedro
Fotografando inseguo delle emozioni e cerco di tradurle per altri fruitori. queto mi succede in strada quanto in natura. a volte sento la necessità per raccontare di essere un occhio rapace, che "strappa" l'immagine a perone ignare, è un atto che trovo (talvolta) quasi doloroso, ma necessario per ottenre lo scatto che ho visto. altre volte (ed il linguaggio cambia) apprezzo molto l'interagire con i soggetti. quale sia street non lo so....e devo dire che dopo anni di scatti on the road....non mi pongo più il problema di definizioni....sono le mie foto ...

per riprodurre la vita quotidiana, per delinearla, caratterizzarla per poterla trasmettere trovo non sia necesserio esserne in armonia, anzi forse a volte è deleterio. è necessario avere occhio e sensibilità, quelli sì.

fotografare per strada, come in qualsiasi altra situazione è difficlie o facile a seconda delle nostre inclinazioni personali / qualità / sensibilità. per ognuno di noi il discorso è diverso....e lo è ogni giorno che passa nella misura in cui noi siamo cambiati e le situazioni che andiamo a ritrarre lo sono.....

con una citazione di un grande ....non so se mi sono capito.... wink.gif
Paoletta80
QUOTE(Fedro @ Apr 24 2009, 01:16 PM) *
a volte sento la necessità per raccontare di essere un occhio rapace, che "strappa" l'immagine a perone ignare, è un atto che trovo (talvolta) quasi doloroso, ma necessario per ottenre lo scatto che ho visto. altre volte (ed il linguaggio cambia) apprezzo molto l'interagire con i soggetti. quale sia street non lo so....e devo dire che dopo anni di scatti on the road....non mi pongo più il problema di definizioni....sono le mie foto ...

per riprodurre la vita quotidiana, per delinearla, caratterizzarla per poterla trasmettere trovo non sia necesserio esserne in armonia, anzi forse a volte è deleterio. è necessario avere occhio e sensibilità, quelli sì.


Pollice.gif

io, sebbene novellina, adoro questo genere fotografico e mi ritrovo molto nelle tue parole Fedro!

..credo anch' io che non necessariamente debba esserci sintonia..talvolta proprio dallo scontro con questa realtà sento un maggiore impatto e la voglia di tradurlo con un immagine!
per quanto riguarda il terzo punto ho tutte le difficoltà di una alle prime armi con la fotografia in generale e specialmente in strada mi sento ancora molto legata wink.gif
la timidezza e l'impaccio spero di superarli o dosarli nel modo più giusto col tempo!
niçola sammarço
per me fotografare per la strada significa riuscire a cogliere situazioni che ci hanno colpito, azioni, atteggiamenti, sensazioni, emozioni dei soggetti e devono essere scatti rubati secondo me.. altrimenti non sono più street ma scatti da set fotografico.
Claudio Orlando
Intanto ringrazio di cuore gli intervenuti per i loro contributi. Mi pare che sia comune il pensare che non si possa incasellare, tra i paletti di una definizione, questo, come altri tipi di fotografia.
Vorrei tentare di estrapolare alcune delle vostre risposte per tentare di riuscire a dar vita ad una discussione che magari potrebbe diventare interessante.
Il Gran Capo Nuovolarossa dice:
QUOTE
Qual'è la differenza tra un ritratto ambientato, una foto di reportage o una "street foto"?


Secondo il mio parere alla base dei tipi di foto elencati, bisognerebbe estrapolare il "reportage". In esso infatti, possono e molto spesso trovano posto, sia ritratti ambientati che foto di street. Come noterete io tendo a fare una distinzione fra i due ultimi tipi di scatto. Secondo il mio parere il "ritratto ambientato", pone al centro della foto il personaggio ritratto, ambientandolo appunto, in un contesto che gli è proprio ma che comunque non necessariamente interagisce con lui in quel particolare momento; mentre in questo caso e molto spesso, è proprio il fotografo ad interagire con lui. La foto di strett invece, sempre secondo il mio parere, non lega necessariamente il soggetto al "suo" ambiente ma lo colloca in un preciso momento e in una precisa situazione, in un contesto con cui interagisce, sia in modo attivo che passivo. Non credo che, in questo caso, l'interazione col fotografo, giovi a questo tipo di foto, facendole perdere di spontaneità.

Fedro e Paoletta affermano:
QUOTE
per riprodurre la vita quotidiana, per delinearla, caratterizzarla per poterla trasmettere trovo non sia necesserio esserne in armonia, anzi forse a volte è deleterio. è necessario avere occhio e sensibilità, quelli sì

QUOTE
..credo anch' io che non necessariamente debba esserci sintonia..talvolta proprio dallo scontro con questa realtà sento un maggiore impatto e la voglia di tradurlo con un immagine!

Da quanto capisco, alla base di queste frasi c'è la voglia di confrontarsi sempre e comunque, con la realtà che ci si propone. Io credo che l'atteggiamento di patenza sia più che giusto ma chiedo, come si può riuscire, prima a delineare e poi caratterizzare la vita quotidiana di un ambiente che non si conosce a suffucenza o non si conosce affatto? Ovviamente nella "normalità", la cosa può anche riuscire e con ottimi risultati visto che l'ambiente ci è familiare. Ma se vi trovaste in situazioni o ambienti di massimo degrado o, al contrario, in ambienti o situazioni di luoghi o società altamente lontani dal vostro sentire, sareste in grado di riproporre una realtà di cui non sapete nulla? O non riportereste invece quel che i vostri occhi o la vostra sensibilità, che viene dal vostro pregresso, vi fa interpretare? Sarà reale quel che riportate o sarà frutto della vostra visione/cultura/educazione?

Sono in sintonia con Nicola quando afferma:
QUOTE
per me fotografare per la strada significa riuscire a cogliere situazioni che ci hanno colpito, azioni, atteggiamenti, sensazioni, emozioni dei soggetti e devono essere scatti rubati secondo me.. altrimenti non sono più street ma scatti da set fotografico.
Fedro
QUOTE(Claudio Orlando @ Apr 30 2009, 12:33 PM) *
Intanto ringrazio di cuore gli intervenuti per i loro contributi. Mi pare che sia comune il pensare c Io credo che l'atteggiamento di patenza sia più che giusto ma chiedo, come si può riuscire, prima a delineare e poi caratterizzare la vita quotidiana di un ambiente che non si conosce a suffucenza o non si conosce affatto? Ovviamente nella "normalità", la cosa può anche riuscire e con ottimi risultati visto che l'ambiente ci è familiare. Ma se vi trovaste in situazioni o ambienti di massimo degrado o, al contrario, in ambienti o situazioni di luoghi o società altamente lontani dal vostro sentire, sareste in grado di riproporre una realtà di cui non sapete nulla? O non riportereste invece quel che i vostri occhi o la vostra sensibilità, che viene dal vostro pregresso, vi fa interpretare? Sarà reale quel che riportate o sarà frutto della vostra visione/cultura/educazione?

Claudio, capisco il tuo ragionamento, ma cosa significa realtà? lo sai meglio di me, nulla.

il vero reportagista saprà nella stessa situazione riportare scatti che raccontano la sua visione, quella dell'oppressore e quella dell'oppresso. tanto più bravo sarà il fotografo tanto più egualmente comunicative saranno le "tre" foto.
Claudio Orlando
QUOTE(Fedro @ Apr 30 2009, 03:18 PM) *
Claudio, capisco il tuo ragionamento, ma cosa significa realtà? lo sai meglio di me, nulla.

il vero reportagista saprà nella stessa situazione riportare scatti che raccontano la sua visione, quella dell'oppressore e quella dell'oppresso. tanto più bravo sarà il fotografo tanto più egualmente comunicative saranno le "tre" foto.


Non mi trovi daccordo. Ti dirò, proverei a rivoltare la domanda. Invece di cercare il significato di "realtà", che comunque esiste e sta a noi tentare di ricercarla, proverei a dare un significato diverso da quello che, credo intendi, definendo il fotografo: vero reportagista. Posta la buona fede che sempre deve essere alla base di una ricerca o di un progetto, credi davvero che nella stessa persona si possano fondere gli occhi e gli sguardi, suoi, dell'oppressore e dell'oppresso?
Io credo che, nonostante magari egli stesso ne sia convinto (di qui la buona fede), il buon fotografo non possa prescindere da dove viene, dalla sua cultura, dalla sua formazione. Per quanto "asettico" egli pensi di essere, non riuscirà nell'impresa della equidistanza. Ovviamente questa è una mia convinzione, suffragata forse dall'esperienza che mi viene dal seguire, come te del resto, grandi nomi della fotografia e nomi meno noti, ma che nonostante tutto non sono riusciti e non riescono a mostrare le varie "realtà" che occhi e culture diverse mostreranno solo come parzialità della stessa scena.
Fedro
continuo a non credere che la realtà esista, ma qui scivoliamo troppo in filosofia.

parzialità, questa parola invece credo ci aiuti di più per ragionare. è evidente che nessuno mai potrà asetticamente descrivere il punto di vista dell'oppresso e dell'oppressore (probabilmente neppure loro due); con la parzialità che deriva dalla nostra sensibilità e dalla nostra cultura, unitamente alla parzialità necessaria per definire un linguaggio visuale comprensibilir a chi dovrà fruire dello scatto, da queste parzialità nasceranno scatti diversi che racconteranno storie diverse.

come al solito la fra la mia visione e la tua nel mezzo o giù di lì si troverà la media dei reportagisti, contnuo a pensare che il grande reportagista deve saper raccontare una buona e significativa quantità delle varie "realtà" che si intrecciano in una stessa situazione spazio temporale.....
PAS
Probabilmente non esiste una realtà oggettiva, o se esiste non è raggiungibile dai nostri sensi.
Esiste invece certamente una realtà soggettiva e percepita da ciascuno di noi con le infinite sfumature dovute alle nostre diverse sensibilità, culture, caratteri, umori.
E’ questa realtà che percepiamo che viene descritta nella nostra fotografia, quando essa raggiunge la maturità e la consapevolezza di un ulteriore nostro mezzo espressivo.
La composizione, il colore, lo sfocato e tutte le altre peculiarità tecniche dell’immagine diventano strumenti per rendere efficace ai nostri occhi la descrizione della nostra realtà e le sensazioni che ci stimola.

Venendo alle domande di Claudio:
1) Non penso esista una regola, Vi sono situazioni nelle quali la spontaneità è certamente il valore aggiunto per descriverle. Altre nelle quali un soggetto che si accorge di essere ripreso può esso stesso dare vita allo scatto. Quante volte abbiamo sorriso di fronte alle espressioni di bambini africani incuriositi da un obiettivo puntato su di loro e che vedevano per la prima volta.

2) Più che essere in sintonia, il fotografo deve sentire la situazione che sta fotografando. Ovvero avere la chiara percezione che le sensazioni che essa gli procura sono degne del suo racconto.
E qui aprirei una parentesi con una considerazione personale. Non credo che si fotografi per se stessi, anche se spesso lo si afferma. O meglio, si fotografa per se stessi quando la fotografia è destinata alla valutazione sperimentale di una tecnica o alla conoscenza di un’attrezzatura. Ma quando si preme il pulsante per fissare in immagine una situazione che ha colpito la nostra sensibilità, ritengo vi sia già il desiderio, magari inconscio, di raccontarla ad altri.
La fotografia è espressione è come può esistere l’espressione senza comunicazione?
Sarebbe come lo scritto di un romanziere destinato ad essere letto solo dall’autore.

3) La timidezza, ovvero la titubanza ad invadere lo spazio vitale di altri è sicuramente un freno per cogliere determinate situazioni. Ritengo sia fisiologico, all’inizio, per chi si avvicina alla fotografia e debba ancora acquisire la consuetudine del considerare la fotocamera come un proprio terzo occhio, a volte la si supera rapidamente nel percorso di maturazione di ciascun fotografo, a volte resta come caratteristica personale.
Ma penso possa fare ottima fotografia anche il fotografo timido.
Anzi spesso la timidezza nasconde sensibilità fuori dal comune, ed è la sensibilità uno dei motori più potenti del buon fotografo.
niçola sammarço
ho seguito con interesse la discussione, trovo l'ultimo post di PAS veramete interessante.

do un'altro imput colto da progresso fotografico S oro 8: il diritto all'immagine delle persone fotografate.. cosa ne pensate?
proprio lo scorso marzo a firenze volevo fotografare un pittore "di strada", mi apposto a qualche metro davanti a lui e quando vede che lo sto fotografando inizia ad inveirmi contro in modo molto maleducato, io rinuncio e proseguo oltre ma.. un privato è libero di fotografare un altro privato.. tuttavia ha bisogno di un consenso da parte di esso qual'ora si voglia pubblicare lo scatto. lciò che è avvenuto e ciò che ho letto mi ha fato riflettere: si può parlare di limiti per la fotografia di strada? oppure un fotografo ha la totale libertà di fotografare ciò che vede?

attendo interessato le vostre opinioni.

nicola

miz
QUOTE(Claudio Orlando @ Apr 30 2009, 05:10 PM) *
[...]
Io credo che, nonostante magari egli stesso ne sia convinto (di qui la buona fede), il buon fotografo non possa prescindere da dove viene, dalla sua cultura, dalla sua formazione. Per quanto "asettico" egli pensi di essere, non riuscirà nell'impresa della equidistanza.
[...]


Sono molto in accordo con questo passo di Claudio, non solo un fotografo non può rimanere indifferente a ciò che fotografa, ma, a mio giudizio, deve non rimanerlo. Ogni scatto, ogni immagine fermata è frutto di una sensazione o di un'emozione che il fotografo cerca di catturare.
Ed essendo d'accordo con Valerio quando afferma che:

QUOTE(PAS @ May 1 2009, 10:08 AM) *
[...]
Non credo che si fotografi per se stessi, anche se spesso lo si afferma. O meglio, si fotografa per se stessi quando la fotografia è destinata alla valutazione sperimentale di una tecnica o alla conoscenza di un’attrezzatura. Ma quando si preme il pulsante per fissare in immagine una situazione che ha colpito la nostra sensibilità, ritengo vi sia già il desiderio, magari inconscio, di raccontarla ad altri.
La fotografia è espressione è come può esistere l’espressione senza comunicazione?
Sarebbe come lo scritto di un romanziere destinato ad essere letto solo dall’autore.
[...]

il problema è piuttosto un altro: se voglio raccontare una mia sensazione, in che modo posso scegliere inquadratura, momento, focale e tutto il resto per far sì che la mia "trasmissione" arrivi con il massimo della chiarezza possibile?
Molto spesso, infatti, succede che una foto appaia "insipida" all'osservatore terzo, perchè chi ha scattato non è stato capace di comprendere che il ricordo e le sensazioni personali del momento sono difficilmente trasmettibili, nonostante appartengano a chi la foto l'ha materialmente fatta.

Insomma, in ogni foto c'è un messaggio, che può essere "materiale" se l'esigenza è di trasmettere una determinata situazione, o "personale" se si mira alla trasmissione di un'emozione. Il buon fotografo di street deve riuscire a rendere quel messaggio trasmettibile, appunto.
PAS
QUOTE(miz @ May 2 2009, 01:05 PM) *
...
il problema è piuttosto un altro: se voglio raccontare una mia sensazione, in che modo posso scegliere inquadratura, momento, focale e tutto il resto per far sì che la mia "trasmissione" arrivi con il massimo della chiarezza possibile?
Molto spesso, infatti, succede che una foto appaia "insipida" all'osservatore terzo, perchè chi ha scattato non è stato capace di comprendere che il ricordo e le sensazioni personali del momento sono difficilmente trasmettibili, nonostante appartengano a chi la foto l'ha materialmente fatta.

Insomma, in ogni foto c'è un messaggio, che può essere "materiale" se l'esigenza è di trasmettere una determinata situazione, o "personale" se si mira alla trasmissione di un'emozione. Il buon fotografo di street deve riuscire a rendere quel messaggio trasmettibile, appunto.


Aspetto importante introdotto da Maurizio: riguarda ciò che mi piace chiamare “linguaggio del fotografo” per analogia con l’espressione scritta o parlata.
Come in altre forme espressive penso che le due componenti che Maurizio chiama “materiale” e “personale” si fondino in ciascuna fotografia in misura diversa a seconda delle situazioni ed insieme concorrano a formare il messaggio oggetto della comunicazione.
La fotografia cosiddetta “street” costituisce la più classica delle opportunità per questo mixing.

Sta nell’abilità e nella sensibilità del fotografo far sì che l’immagine da lui prodotta possa raggiungere ed essere recepita dalla più ampia tipologia di fruitori, senza limitarsi ad ambiti specialistici.
Ovvero la responsabilità che la comunicazione vada a buon fine è sempre del comunicatore.

Claudio Orlando
QUOTE
Esiste invece certamente una realtà soggettiva e percepita da ciascuno di noi con le infinite sfumature dovute alle nostre diverse sensibilità, culture, caratteri, umori.

Questa frase di Valerio, credo sintetizzi in modo efficace quanto volevo dire e con cui concordo in pieno.
Non concordo invece da quanto detto da Marco, quando afferma:
QUOTE
....... unitamente alla parzialità necessaria per definire un linguaggio visuale comprensibilie a chi dovrà fruire dello scatto, da queste parzialità nasceranno scatti diversi che racconteranno storie diverse.

Da questa frase sembrerebbe, ma posso sbagliare, che il fotografo debba mediare fra la sua visione della scena e quanto sia necessario fare per far sì che la fotografia sia "comprensibile" al fruitore finale. Secondo la mia visione, il fotografo deve parlare un suo linguaggio. Non deve essere preoccupato se lo scatto verrà o meno compreso. Nella quasi totalità dei casi, infatti, il significato verrà compreso o meno dal fruitore se questo stesso sarà in sintonia con la cultura e la visione del fotografo stesso. Più ne sarà distante meno lo capirà. Faccio un esempio banale: quante delle foto di Bresson, di Capa, di Eisensteadt sarebbero comprese in una mostra presentata in oriente o in Africa?

Per rispondere a Nicola
QUOTE
si può parlare di limiti per la fotografia di strada? oppure un fotografo ha la totale libertà di fotografare ciò che vede?

l'unica limitazione che potresti avere è nella pubblicazione che, coma hai giustamente detto, necessita di una liberatoria.

Per quanto riguarda Maurizio, quando dice:
QUOTE
se voglio raccontare una mia sensazione, in che modo posso scegliere inquadratura, momento, focale e tutto il resto per far sì che la mia "trasmissione" arrivi con il massimo della chiarezza possibile?

Intanto direi che, fermo restando la libertà personale di ogni fotografo di esprimersi come meglio crede, è rispettando i dogmi fondamentali del (foto)giornalismo sul: dove, come, quando e perchè, così si è già a buon punto. A questo punto sì che interviene la tecnica, che ci aiuta scegliere "i mezzi" che ci aiutano ad esprimere al meglio, sempre secondo la nostra visione, ciò che vogliamo arrivi.
miz
QUOTE(Claudio Orlando @ May 2 2009, 03:33 PM) *
Secondo la mia visione, il fotografo deve parlare un suo linguaggio. Non deve essere preoccupato se lo scatto verrà o meno compreso. Nella quasi totalità dei casi, infatti, il significato verrà compreso o meno dal fruitore se questo stesso sarà in sintonia con la cultura e la visione del fotografo stesso. Più ne sarà distante meno lo capirà. Faccio un esempio banale: quante delle foto di Bresson, di Capa, di Eisensteadt sarebbero comprese in una mostra presentata in oriente o in Africa?


E questo è un altro aspetto che mi premeva sottolineare, ovvero il "palcoscenico". Parlo per me stesso, ma ogni tanto mi trovo in imbarazzo a leggere i giudizi che vengono dati qui nella sezione street e reportage e anche in altri forum. Se poi la foto che viene giudicata è la mia l'imbarazzo cresce ancora di più, perchè la stessa foto ha ricevuto giudizi completamente diversi in altri ambiti.
Che voglio dire? Semplicemente che nel ristretto ambito della critica e tecnica fotografica i giudizi che possono essere dati su una fotografia sono molto profondi e utili per certi aspetti, ma non hanno la forza di liberarsi dello "specilismo" per leggere un'immagine fondamentalmente nei suoi contenuti materiali ed emotivi (e ritornano...).
E' un discorso complesso e che non riguarda la sola fotografia e non solo il genere in argomento, ma ultimamente lo sento molto ed ho voluto rendervi partecipi...
unsure.gif
Claudio Orlando
QUOTE(miz @ May 2 2009, 03:48 PM) *
... nel ristretto ambito della critica e tecnica fotografica i giudizi che possono essere dati su una fotografia sono molto profondi e utili per certi aspetti, ma non hanno la forza di liberarsi dello "specilismo" per leggere un'immagine fondamentalmente nei suoi contenuti materiali ed emotivi (e ritornano...).


La critica...croce e delizia soprattutto per i critici, fotografi o di altro. Secondo me ognuno ha diritto di esprimere il suo parere. Questo stesso può vertere: 1) sulla tecnica
. 2) Sul contenuto.
Sul primo punto, a meno di doni particolari e personali, che pur ci sono, è sempre buona norma, soprattutto per coloro i quali si sono avvicinati da poco a questo, come ad altri generi fotografici, ascoltare i consigli che gli vengono da persone che lui stesso reputa più "navigate ed esperte". Non fosse altro perchè attraverso quel che dicono, può vagliare, scremare, far suoi consigli e quindi cercare una propia strada di tecnica espressiva.
Il punto due è molto, molto più opinabile. Il contenuto può essere letto o meno, a secondo di quella sintonia tra fotografo e fruitore di cui si parlava in precedenza. Nulla può essere dato per scontato sia dall'uno, che non sa se chi guarderà, riuscirà a leggere la foto, sia dal secondo che non può dare giudizi ma solo pareri personali. Anzi deve porsi sempre il problema, non riuscendo a trovare un significato per lui chiaro, del perchè il fotografo abbia scattato quella foto. Certamente da questo punto si possono innestare altre problematiche: è giusto che il fruitore si sforzi di trovare un perchè? E' giusto che il fotografo segua una sua strada anche se questa porterà le sue foto a non essere comprese da tutti o quasi? hmmm.gif

davidebaroni
Mah, Claudio... quando si entra nel campo della "critica" si entra in un campo minato, IMHO.
Preferisco di gran lunga entrare nel campo della "lettura": il "mi piace/non mi piace" non ha posto nella lettura, mentre ne ha tanto, o ne ha soltanto, il linguaggio della fotografia: i suoi contenuti, le relazioni in cui essi si trovano ad essere (la sintassi), le modalità strutturali dell'immagine (colore/bn, maggiore o minore nitidezza, contrasto, saturazione, luminosità eccetera, punto di ripresa, gestione dello sfuocato e della prospettiva, e altre cose così) che determinano ed illustrano la relazione fra i vari elementi di contenuto e il loro "tono" (l'equivalente della comunicazione non verbale nel linguaggio parlato)...
Il risultato sarà un'analisi linguistica, né tecnica né di contenuto ma un'integrazione delle due cose in funzione del linguaggio, e del tutto indipendente dal gusto personale. smile.gif
Non é facile, ma si può fare. smile.gif
Ciao
Davide
Claudio Orlando
Ciao Davide,
quanto dici è vero ma solo, a mio parere, in parte.

Leggere una foto dipende, come si diceva sopra, non solo dal grado di "cultura fotografica" eventualmente in possesso del fruitore ma anche dalla sua cultura tout court. Questo non signica che questi sia un analfabeta ma solo che la sua cultura può essere tanto distante da quella del fotografo che non riesce ad interpretare la foto. Colpa del fotografo? Forse. Non sarei però così drastico. Colpa del fruitore? Perchè mai! Non capisce la foto solo perchè lontana da lui e dalla sua realtà.
Non ti è mai capitato di guardare una foto e dire: mi piace/non mi piace e non spiegarti il perchè? A me è capitato. La risposta dopo averla/e guardate a lungo, talvolta non l'ho trovata. Probabilmente sarà colpa della mia scarsa cultura fotografica, forse sarà colpa/merito del fotografo ma così è stato e non lo nascondo.
Non scarterei a priori neanche il gusto personale. Perchè poi? Se il risultato dell'analisi linguistica deve essere un appiattimento sul gusto dominante non credo questo sia un buon risultato, in nessun senso e in nessun campo.
davidebaroni
QUOTE(Claudio Orlando @ May 5 2009, 07:20 PM) *
Ciao Davide,
quanto dici è vero ma solo, a mio parere, in parte.

Leggere una foto dipende, come si diceva sopra, non solo dal grado di "cultura fotografica" eventualmente in possesso del fruitore ma anche dalla sua cultura tout court. Questo non signica che questi sia un analfabeta ma solo che la sua cultura può essere tanto distante da quella del fotografo che non riesce ad interpretare la foto. Colpa del fotografo? Forse. Non sarei però così drastico. Colpa del fruitore? Perchè mai! Non capisce la foto solo perchè lontana da lui e dalla sua realtà.
Non ti è mai capitato di guardare una foto e dire: mi piace/non mi piace e non spiegarti il perchè? A me è capitato. La risposta dopo averla/e guardate a lungo, talvolta non l'ho trovata. Probabilmente sarà colpa della mia scarsa cultura fotografica, forse sarà colpa/merito del fotografo ma così è stato e non lo nascondo.
Non scarterei a priori neanche il gusto personale. Perchè poi? Se il risultato dell'analisi linguistica deve essere un appiattimento sul gusto dominante non credo questo sia un buon risultato, in nessun senso e in nessun campo.


Caro Claudio,
"leggere una foto" è, IMHO, frutto semplicemente dell'attenzione che ci si mette, e della propria capacità di "analizzare il linguaggio usato" indipendentemente dal fatto che ci piaccia o meno ciò che la foto rappresenta... o che siamo d'accordo o meno con i contenuti, se preferisci. smile.gif
E non è tanto una questione di "cultura", spesso, quanto di lasciare che il "messaggio linguistico" prenda forma. E' essenzialmente per questo che è necessario svincolarsi dal gusto personale... dal gusto tout court, mi verrebbe da dire. Leggere una foto non ha nulla a che vedere con "mi piace/non mi piace", oppure "è bello/è brutto" e simili... ha a che fare con "cosa viene detto qui? Viene detto efficacemente?" smile.gif
TUTTE le culture umane sono fatte di uomini... e tutti questi uomini, in linea generale, hanno in comune la cosa fondamentale per unificare percezioni e linguaggi: la neurologia. TUTTI i linguaggi, e quello "visivo" non meno degli altri, hanno un sistema di leggi che hanno una solida base neurologica.
Il linguaggio visivo, oltretutto, è basato sull'esperienza... anche per la parte "immaginaria". Non puoi rappresentare efficacemente una cosa se prima non te la sei immaginata...
Tutto questo per dire che "leggere" una foto, almeno nell'accezione che io do a questa espressione, è una cosa alla portata di tutti... a condizione che si sia disposti ad imparare a farlo. E per questo occorre imparare a "vedere" in un certo modo, e a distaccarsi dal "gusto personale".

In che modo, poi, questo possa portare ad un appiattimento del gusto dominante, è una cosa che mi sfugge totalmente.
Trovo molto più "appiattente" considerare le "regole di composizione" come regole, anziché considerarle per quello che sono... l'equivalente della sintassi e della comunicazione non verbale nel linguaggio parlato. rolleyes.gif

Ciao,
Davide
nuvolarossa
...Quanta carne al fuoco!!! E che bella discussione...

Direi che abbiamo molto materiale sul quale riflettere...
Credo che nella comunicazione fotografica, così come in ogni tipo di comunicazione verbale o non verbale, molto dipenda dal codice che utilizziamo e dalla capacità nostra (che fotografiamo) di utilizzare un codice universale, che sia compreso da più persone possibili. Questo è molto difficile, ed è impossibile pensare che il messaggio che vogliamo veicolare possa arrivare a tutti in egual misura.
Sul "mi piace o non mi piace" invece credo sia legittimo e sacrosanto poter esprimere una personale opinione estetica. Certo parlando di foto di reportage il "mi piace/non mi piace" non ha senso, in quanto la foto di reportage non ha e non deve avere nessuna pretesa estetica, deve solo veicolare il messaggio, quindi in questo caso dobbiamo parlare di "funziona/non funziona" e qui rientriamo di nuovo nel discorso precedente...

Invece volevo soffermarmi un attimo su questo punto
QUOTE
si può parlare di limiti per la fotografia di strada? oppure un fotografo ha la totale libertà di fotografare ciò che vede?

Se si tratta di un evento di reportage, di una manifestazione eccetera, il fotografo ha la totale libertà (e direi il dovere) di fotografare quanto sta avvenenendo... Diverso il discorso sulla foto "di strada", dove ritengo sia sacrosanto tutelare il diritto delle persone a NON essere fotografate.
Il pittore che si è inc@zzato aveva ed ha tutto il diritto di tutelare i diritti sulla propria immagine ed è nostro dovere quando una persona esprime la volontà di tutelare la propria immagine, cancellare immediatamente la foto dal supporto di memoria... Certo se fotografiamo su pellicola la cosa diventa più difficile...
Claudio Orlando
Cercherò di rispondere, per quanto ho capito e di esplicitare il mi pensiero in modo meno confuso di quanto, evidentemente, fatto fin'ora:
QUOTE
"leggere una foto" è, IMHO, frutto semplicemente dell'attenzione che ci si mette, e della propria capacità di "analizzare il linguaggio usato" indipendentemente dal fatto che ci piaccia o meno ciò che la foto rappresenta... o che siamo d'accordo o meno con i contenuti, se preferisci.

E fin qui siamo perfettamente daccordo.

QUOTE
Leggere una foto non ha nulla a che vedere con "mi piace/non mi piace", oppure "è bello/è brutto" e simili... ha a che fare con "cosa viene detto qui? Viene detto efficacemente?"

Sulla parte in grassetto farei invece qualche distinguo.Il bello/brutto o il mipiace/nonmipiace non ha nulla a che vedere, secondo me, sull'efficacia con cui quel che si voleva dire viene poi effettivamente detto. In pratica, posso concludere che quel che viene veicolato dalla foto è stato fatto in modo efficace, ciò non toglie che la foto può continuare a non piacermi. Inoltre, sono io in grado di stabilire se "il cosa viene detto" è stato fatto in modo "efficace"? E' un limite del fotografo, se non ci riesco, o è un mio limite? Questi "due limiti" sono da ascrivere solo ad una cattiva espressività della foto, o da due modi di esprimersi/sentire che non si incontrano o sono semplicemente lontani per i rispettivi retroterra?

QUOTE
TUTTE le culture umane sono fatte di uomini... e tutti questi uomini, in linea generale, hanno in comune la cosa fondamentale per unificare percezioni e linguaggi: la neurologia. TUTTI i linguaggi, e quello "visivo" non meno degli altri, hanno un sistema di leggi che hanno una solida base neurologica.

Non conosco la materia e quindi non mi pronuncio su ciò che non conosco. Penso solo che la proprietà transitiva che mi sembra vuoi assumere come base di discussione non ha molti proseliti nella realtà, secondo me almeno. Unificare percezioni e linguaggi attraverso un sistema di leggi non ha, sempre secondo il mio parere, riscontro in realtà lontane fra loro e non solo per distanza geografica ma e soprattutto per distanza storica.

QUOTE
...a condizione che si sia disposti ad imparare a farlo. E per questo occorre imparare a "vedere" in un certo modo, e a distaccarsi dal "gusto personale".

In che modo, poi, questo possa portare ad un appiattimento del gusto dominante, è una cosa che mi sfugge totalmente.

In questo caso a me sembra che domanda e risposta siano dentro queste due frasi. Se io devo imparare a "vedere" in un certo modo, ci deve essere qualcuno che mi "insegna" a farlo in quel modo. Di qui il rischio che paventavo.

QUOTE
Trovo molto più "appiattente" considerare le "regole di composizione" come regole, anziché considerarle per quello che sono... l'equivalente della sintassi e della comunicazione non verbale nel linguaggio parlato.

Anche in questo caso farei dei distinguo. le regole della composizione che valgono, mediamente, in occidente, non solo le stesse, probabilmente, che valgono in oriente. Noi siamo abituati a leggere da sinistra verso destra e così facciamo anche per le foto. In uno scatto di un auto in movimento cerchiamo sempre di lasciare spazio sulla destra per far comprendere il moto. Il verso contrario probabilmente ci creerebbe disagio. Nei paesi arabi, ad esempio, credo succeda esattamente il contrario. Quindi, anche in questo caso, credo che il linguaggio, discenda dalla propria storia e dal proprio retroterra. Chi mi darebbe il diritto di "insegnare" a culture così diverse a leggere qualcosa per come la leggerei io? (E questo vale ovviamente, non solo nel campo fotografico)
davidebaroni
QUOTE(Claudio Orlando @ May 6 2009, 06:18 PM) *
E fin qui siamo perfettamente daccordo.

Bene! biggrin.gif
QUOTE(Claudio Orlando @ May 6 2009, 06:18 PM) *
Sulla parte in grassetto farei invece qualche distinguo.Il bello/brutto o il mipiace/nonmipiace non ha nulla a che vedere, secondo me, sull'efficacia con cui quel che si voleva dire viene poi effettivamente detto. In pratica, posso concludere che quel che viene veicolato dalla foto è stato fatto in modo efficace, ciò non toglie che la foto può continuare a non piacermi. Inoltre, sono io in grado di stabilire se "il cosa viene detto" è stato fatto in modo "efficace"? E' un limite del fotografo, se non ci riesco, o è un mio limite? Questi "due limiti" sono da ascrivere solo ad una cattiva espressività della foto, o da due modi di esprimersi/sentire che non si incontrano o sono semplicemente lontani per i rispettivi retroterra?

Ma infatti l'efficacia e il gusto personale non hanno nulla a che vedere l'uno con l'altra... anche su questo siamo d'accordo. smile.gif
E, sì, esatto, posso concludere che una foto è efficace, eppure quella foto continua a non piacermi.
Il fatto è che, IMHO, lo "scopo" di una fotografia NON é "piacere", ma comunicare qualcosa. E noi non possiamo sapere con certezza cosa l'autore voleva comunicare... quindi possiamo soltanto analizzare il messaggio così come ci arriva, come è costruito. Poi sarà, eventualmente, l'autore a confermare o meno le nostre ipotesi.
Ma un assunto della comunicazione dice che "Il significato di una comunicazione é l'effetto che produce"... quindi la lettura è solo un feedback sull'effetto (e cioé il significato) della comunicazione. E' una meta-comunicazione.

QUOTE(Claudio Orlando @ May 6 2009, 06:18 PM) *
Non conosco la materia e quindi non mi pronuncio su ciò che non conosco. Penso solo che la proprietà transitiva che mi sembra vuoi assumere come base di discussione non ha molti proseliti nella realtà, secondo me almeno. Unificare percezioni e linguaggi attraverso un sistema di leggi non ha, sempre secondo il mio parere, riscontro in realtà lontane fra loro e non solo per distanza geografica ma e soprattutto per distanza storica.

Le "leggi" a cui mi riferisco sono semplicemente il funzionamento della neurologia, e di conseguenza della percezione, che sono comuni. Cambierebbero i sistemi di simboli, e di conseguenza le attribuzioni di significato. Ma, per fare un esempio, il riconoscimento delle emozioni dall'espressione del viso non è influenzato da razza, religione, sesso o cultura... è uguale su tutto il pianeta. E se si vede una persona terrorizzata davanti ad un leone, si capisce "persona terrorizzata davanti ad un leone", anche se magari ci si chiede come mai sia terrorizzata, se nella nostra cultura i leoni sono animali con i quali abbiamo a che fare quotidianamente e li consideriamo dei gattoni... Spero di spiegarmi.

QUOTE(Claudio Orlando @ May 6 2009, 06:18 PM) *
In questo caso a me sembra che domanda e risposta siano dentro queste due frasi. Se io devo imparare a "vedere" in un certo modo, ci deve essere qualcuno che mi "insegna" a farlo in quel modo. Di qui il rischio che paventavo.

Mi pare che qui l'equivoco nasca dal significato dato a "vedere in un certo modo". Per me ha un significato operativo, traducibile con "attraverso un dato processo", non certo che "vedere in quel modo fa sì che A sia ok e B no"... o che tutti vedano le stesse cose e attribuiscano gli stessi significati. No, significa solo che il processo di lettura è lo stesso. Se tu leggi una foto, e io la stessa foto, ad un certo livello la leggiamo certamente in modi diversi... ma se la leggessimo allo stesso modo, secondo l'accezione che gli do io, faremmo la lettura allo stesso livello. E' una questione di comunicazione e meta-comunicazione... La foto è la comunicazione, ma la lettura è meta-comunicazione: comunica sulla comunicazione.
Mi rendo conto che, in questo specifico caso, le parole non aiutano. Se fossimo a uno dei miei workshop sulla comunicazione, sarebbe più facile. Si potrebbe fare l'esperienza diretta di quello che sto cercando di spiegare... e sarebbe tutto più chiaro... biggrin.gif

QUOTE(Claudio Orlando @ May 6 2009, 06:18 PM) *
Anche in questo caso farei dei distinguo. le regole della composizione che valgono, mediamente, in occidente, non solo le stesse, probabilmente, che valgono in oriente. Noi siamo abituati a leggere da sinistra verso destra e così facciamo anche per le foto. In uno scatto di un auto in movimento cerchiamo sempre di lasciare spazio sulla destra per far comprendere il moto. Il verso contrario probabilmente ci creerebbe disagio. Nei paesi arabi, ad esempio, credo succeda esattamente il contrario. Quindi, anche in questo caso, credo che il linguaggio, discenda dalla propria storia e dal proprio retroterra. Chi mi darebbe il diritto di "insegnare" a culture così diverse a leggere qualcosa per come la leggerei io? (E questo vale ovviamente, non solo nel campo fotografico)

Il verso di scrittura è molto meno importante di quanto si creda.
E' molto più importante, ad esempio, il mancinismo, e proprio perché collegato a processi neurologici che influenzano anche la percezione. In ogni caso, anche questa parte risente della questione relativa al significato di "allo stesso modo"... Fidati se ti dico che, in ogni parte del mondo, la "strategia" (ovvero la sequenza di operazioni che compongono il processo) è la stessa. Possono cambiare i contenuti, possono cambiare i significati, ma attraverso questo tipo di processo (e sviluppando la necessaria attenzione e sensibilità) si arriva più o meno agli stessi risultati, che sono ad un livello diverso da quello in cui si è espressa la comunicazione. smile.gif
Anche nella tua ultima frase c'é una "parola chiave" che contiene la risposta... "Chi mi darebbe il diritto di "insegnare" a culture così diverse a leggere qualcosa per come la leggerei io?"
Non è "per come", ma "come", in senso operativo e non di significato.
La differenza è tutta qui.
Operativo vs di contenuto.
Processo vs contenuto.
Diagramma di flusso vs righe di programma...

Ciao,
Davide
Gennaro Ciavarella
è questo è vero per ogni tipo di lettura ....

mi piace questo discorrere, ma cavolo ci ho messo un pò a leggere tutto rolleyes.gif
Claudio Rampini
Difficile dare una risposta che rappresenti in modo completo il senso dello foto di strada. Forse la cosa migliore è parlarne davanti alle foto, in questo modo si evita il rischio dell'astrazione. Guardando molte foto di strada in questo forum, vedo prevalere il senso del "rubato", cosa che a me non piace affatto anche se ciò non vuol dire che anch'io non sia un "ladro". Anche per rubare ci vuole mestiere e la cosa più odiosa è improvvisare le cose sul momento rovinando tutto. Qui si parla della figura del fotografo come "ladro", quindi di qualcuno che non riuscendo a diventare invisibile cerca di fare le cose senza esser visto, salvo farsi scoprire regolarmente. Ma si può anche diventare "trasparenti", come quel marito che sorpreso in flagrante adulterio dalla moglie, nega anche l'evidenza. Oppure si è talmente bravi che si è imparato a fare il camaleonte, per cui assumi le sembianze degli oggetti che ti circondano (muri, pali della luce, panchine, automobili, ecc ecc). Ma più semplicemente credo che ogni volta il fotografo abbia il compito di entrare in rapporto con "gli oggetti e i soggetti", cosa che può mettere abbastanza in crisi anche sul piano personale.
Quindi penso che il problema tutto da dibattere sia incentrato sul "metodo" del fotografo, sulla sua presunta capacità di entrare in rapporto con il mondo circostante. Come creava le proprie foto Cartier Bresson? che rapporto aveva con i propri soggetti? che senso aveva per lui il "rubare" e il "cogliere"? Cartier Bresson era un ladro di immagini?
Se qualcuno sapesse rispondere gliene sarei grato, perchè uno degli interrogativi che mi porto dentro da sempre è la capacità "mistificatoria" ed ambigua della fotografia, per cui niente è come appare.
Claudio Orlando
QUOTE
...Guardando molte foto di strada in questo forum, vedo prevalere il senso del "rubato", cosa che a me non piace affatto anche se ciò non vuol dire che anch'io non sia un "ladro". Anche per rubare ci vuole mestiere e la cosa più odiosa è improvvisare le cose sul momento rovinando tutto.


Sono daccordo. Per rubare una foto ci vuole "mestiere"

QUOTE
Qui si parla della figura del fotografo come "ladro", quindi di qualcuno che non riuscendo a diventare invisibile cerca di fare le cose senza esser visto, salvo farsi scoprire regolarmente

Qui invece non lo sono affatto. E' proprio attraverso quel mestiere di cui sopra che si riesce a diventare invisibile pur scattando a due passi dal soggetto e senza che nessuno se ne accorga.

QUOTE
Oppure si è talmente bravi che si è imparato a fare il camaleonte, per cui assumi le sembianze degli oggetti che ti circondano (muri, pali della luce, panchine, automobili, ecc ecc). Ma più semplicemente credo che ogni volta il fotografo abbia il compito di entrare in rapporto con "gli oggetti e i soggetti", cosa che può mettere abbastanza in crisi anche sul piano personale.

La questione non è assumere le sembianze degli oggetti che ci circondano ma esattamente il contrario. Ci vuole la capacità di assumere le sembianze dei soggetti stessi. Come? Con pazienza e perseveranza, tanta. Finchè il soggetto, che di solito ci dà dapprima un'ochhiata distratta, alla fine si abitua talmente a noi da non vederci pi perchè ormai facciamo parte del paesaggio.
Sulla seconda parte della tua frase che ho quotato, si concentra, secondo il mio modo di vedere, la differenza tra fotografia di reportage, nella quale anch'io sono convinto che sia necessaria un'interazione col/coi soggetti per meglio conoscerli e quindi raccontarli, e la fotografia "street" in cui invece, sempre secondo me, il soggetto deve essere ignaro per comportarsi nel modo più naturale e spontaneo.

QUOTE
Come creava le proprie foto Cartier Bresson? che rapporto aveva con i propri soggetti? che senso aveva per lui il "rubare" e il "cogliere"? Cartier Bresson era un ladro di immagini?

Credi davvero, Claudio, che il modo di fotografare di Bresson fosse sempre univoco? In alcuni casi rubava mimetizzandosi, in altri entrava in rapporto coi soggetti per capire prima e trasmettere poi.

Senza nessun inverecondo laugh.gif parallelo, chi mi conosce, sa perfettamente con quale facilità riesca ad entrare in contatto e comunicazione con tutti, soggetto prescelti in particolar modo. In qualche caso lo faccio ma...solo se è utile al mio progetto fotografico che deve essere necesariamente, in questo caso, un reportage, vuoi d'ambiente vuoi etnico.
Claudio Rampini
e poi bisogna anche aggiungere che una volta diventati invisibili, trasparenti e tutto quello che vuoi, subentra l'ansia opposta: una volta scattate le foto, vogliamo essere visti da tutti. Questo pone una seria ipoteca sulla natura del fare fotografia, per strada o no. A me la strada mi fa sentire bene, libero come un vagabondo, a volte mi prende la voglia di condividere il frutto delle mie osservazioni, ma poi fortunatamente mi passa subito.
Riguardo a Cartier Bresson prendo per buono quello che mi dici, ma non mi aiuta a capire il suo modo di fare fotografia, che penso sia molto diverso dal mio e dal tuo.
Claudio Orlando
QUOTE
Questo pone una seria ipoteca sulla natura del fare fotografia, per strada o no. A me la strada mi fa sentire bene, libero come un vagabondo, a volte mi prende la voglia di condividere il frutto delle mie osservazioni, ma poi fortunatamente mi passa subito.

Da quanto affermi, Claudio, penso che tu sia uno di quei fotografi che fotografa esclusivamente per se stesso e per la sua soddisfazione. Devo dire che pur non condividendo "del tutto" questo modo di approccio, lo rispetto moltissimo.
Claudio Rampini
Porto avanti una ricerca personale che mi liberi dalle schiavitù delle regole (non solo fotografiche e compositive), non solo per una intolleranza alle regole (pur necessarie), ma per cogliere i messaggi oltre di esse. Non penso di fotografare solo per me stesso, mi piace condividere il mio lavoro con gli altri e renderli partecipi del mio "delirio". Così come mi piace osservare il lavoro degli altri e, possibilmente, imparare. Il tutto cercando di conservare un minimo senso del pudore, riducendo al minimo l'autoreferenzialità. Prima chiedevo del metodo di approccio di Cartier Bresson, perchè spesso nelle fotografie "semplici" si nascondono metodi di lavoro molto articolati e messaggi molto complessi da capire. E' per questo che a mio parere la strada è l'unica possibilità per il fotografo creativo, ma non basta solo lo scatto.
Claudio Orlando
A latere della nostra discussione ho trovato interessane questo link che vi sottopongo.

http://professione-fotografia.blogspot.com...-la-street.html
davidebaroni
Hmmmm...

Non sono un "patito" di street, e probabilmente non so nemmeno esattamente cosa sia (e se qualcuno lo sa, per favore me lo spieghi).
Ma alcuni di questi "fotografi di strada", se facessero a ME quello che fanno alle loro "vittime", faticherebbero a tornare a casa interi... Gilden su tutti. texano.gif
Mi piace invece l'approccio di altri, ad esempio Wigfall. Ma credo che semplicemente non mi piaccia fotografare la gente. smile.gif
Altra cosa il ritratto, più o meno rubato... lì è sempre un rapporto "uno a uno". Ma la gente, l'ambiente urbano... brrrrr. laugh.gif

Mi ricordo un volantino di Foto-Gram al SICOF del... 1979 se non erro, l'anno in cui io ero in Messico:

Non fotografare gli straccioni, i senza lavoro, gli affamati.
Non fotografare le prostitute, i mendicanti sui gradini delle chiese, i pensionati sulle panchine solitarie che aspettano la morte come un treno nella notte.
Non fotografare i negri umiliati, i giovani vittime della droga, gli alcolizzati che dormono i loro orribili sogni.
La società gli ha già preso tutto, non prendergli anche la fotografia.
Non fotografare chi ha le manette ai polsi, quelli messi con le spalle al muro, quelli con le braccia alzate, perché non possono respingerti.
Non fotografare il suicida, l'omicida e la sua vittima.
Non fotografare l'imputato dietro le sbarre, chi entra o esce di prigione, il condannato che va verso il patibolo.
Hanno già sopportato la condanna, non aggiungere la tua.
Non fotografare il malato di mente, il paralitico, i gobbi e gli storpi.
Lascia in pace chi arranca con le stampelle e chi si ostina a salutare militarmente con l'eroico moncherino.
Non ritrarre un uomo, solo perché la sua testa è troppo grossa, o troppo piccola, o in qualche modo deforme.
Non perseguitare con il flash la ragazza sfigurata dall'incidente, la vecchia mascherata dalle rughe, l'attrice imbruttita dal tempo.
Non fotografare gli annegati, i corpi carbonizzati, gli schiantati dai sismi, i dilaniati dalle esplosioni: non renderti responsabile della loro ultima immagine che li farebbe inorridire se ancora potessero vederla.
Non fotografare la madre dell'assassino e nemmeno quella della vittima.
Non fotografare i figli di chi ha ucciso l'amante, e nemmeno gli orfani dell'amante.
Non fotografare chi subì ingiuria: la ragazza violentata, il bambino percosso.
Le peggiori infamie fotografiche si commettono in nome del "diritto all'informazione".
Se è davvero l'umana solidarietà quella che ti conduce a visitare l'ospizio dei vecchi, il manicomio, il carcere, provalo lasciando a casa la macchina fotografica.
Come giudicheremmo un pittore con pennelli, tavolozza e cavalletto che per fare un bel quadro sta davanti la gabbia del condannato all'ergastolo, all' impiccato che dondola, alla p......a che trema di freddo, ad un corpo lacerato che affiora dalle rovine?
Perché presumi che la borsa di accessori, la macchina appesa al collo e un flash sparato in faccia possano giustificarti?


Mi sa che "l'etica" della street sia parecchio cambiata... biggrin.gif

La mia, però, no. smile.gif
Claudio Orlando
Non fotografre insomma laugh.gif

davidebaroni
QUOTE(Claudio Orlando @ May 30 2009, 04:44 PM) *
Non fotografare insomma


Beh, no. smile.gif
Anche senza sforzarmi troppo, mi vengono in mente alcune decine di categorie che non rientrano fra quelle che il volantino esorta a non fotografare. wink.gif
Se poi mi dici che, per esempio, la gente allegra e solare diventa merce ogni giorno più rara, per le nostre strade... beh, questo è un altro paio di braghe. biggrin.gif

Ma questo è un altro aspetto della questione. Con tutte le dovute eccezioni, ho sempre più la sensazione che la fotografia di street stia diventando "fotografia del dramma", del disagio, del dolore, della sofferenza.
E ho un sacco di ottimi motivi (dal mio punto di vista, ovviamente) per pensare che questo NON sia un bene.

Un punto di vista, ribadisco, strettamente personale. smile.gif

E se mi sbaglio, se il corpo della gaussiana della fotografia street è in realtà fatto di gente che coglie e mostra gli aspetti belli, positivi, luminosi della vita, beh, allora sarò lietissimo di ammettere il mio errore e rivalutare tale tipo di fotografia. smile.gif
Claudio Orlando
QUOTE
Se poi mi dici che, per esempio, la gente allegra e solare diventa merce ogni giorno più rara, per le nostre strade... beh, questo è un altro paio di braghe. biggrin.gif

Ma questo è un altro aspetto della questione. Con tutte le dovute eccezioni, ho sempre più la sensazione che la fotografia di street stia diventando "fotografia del dramma", del disagio, del dolore, della sofferenza.
E ho un sacco di ottimi motivi (dal mio punto di vista, ovviamente) per pensare che questo NON sia un bene.


Non sai quanto sono daccordo con te! Infatti nelle mie foto fatte in strada, alle persone e alle loro attività, cosa che a me invece piace moltissimo, cerco di cogliere sempre o almeno quando posso, la parte gioiosa, simpatica e divertente della situazione. Non tutti fanno allo stesso modo ma non credo sia un male. Dipende. Dipende dall'uso e dal contesto in cui si presentano le foto. In altra discussione ho avvertito dell'incontro che si terrà con Don McCullin. Oggi si presenta a Roma per parlare della gioia nella fotografia e presentare alcune sue opere certamente non in linea con la sua storia. Eppure le sue foto sul VietNam hanno contribuito non poco a far conoscere la realtà che vedeva attraverso i suoi occhi e che magari era scomoda agli occhi dell'Establishment. Ma questo esula dalla street e allora posso dirti che nessuno, come lo stesso McCullin, ha svelato attraverso foto che hanno segnato la storia di questo tipo di fotografia, le condizioni sociali, di lavoro, di vita, delle bande giovanili che abitavano la ricca periferia londinese. Non la trovo ma, se puoi cerca di trovare una sua foto che considero "IL CAPOLAVORO" e che si chiama: operaio al primo turno di lavoro
davidebaroni
QUOTE(Claudio Orlando @ May 30 2009, 08:59 PM) *
Non sai quanto sono daccordo con te! Infatti nelle mie foto fatte in strada, alle persone e alle loro attività, cosa che a me invece piace moltissimo, cerco di cogliere sempre o almeno quando posso, la parte gioiosa, simpatica e divertente della situazione. Non tutti fanno allo stesso modo ma non credo sia un male. Dipende. Dipende dall'uso e dal contesto in cui si presentano le foto. In altra discussione ho avvertito dell'incontro che si terrà con Don McCullin. Oggi si presenta a Roma per parlare della gioia nella fotografia e presentare alcune sue opere certamente non in linea con la sua storia. Eppure le sue foto sul VietNam hanno contribuito non poco a far conoscere la realtà che vedeva attraverso i suoi occhi e che magari era scomoda agli occhi dell'Establishment. Ma questo esula dalla street e allora posso dirti che nessuno, come lo stesso McCullin, ha svelato attraverso foto che hanno segnato la storia di questo tipo di fotografia, le condizioni sociali, di lavoro, di vita, delle bande giovanili che abitavano la ricca periferia londinese. Non la trovo ma, se puoi cerca di trovare una sua foto che considero "IL CAPOLAVORO" e che si chiama: operaio al primo turno di lavoro


La cercherò. smile.gif
Ma le foto del VietNam (o delle bande giovanili) di McCullin, come tante altre foto "di denuncia", rientrano per me nella categoria del reportage più che della street.
I motivi per cui dico che l'attuale atteggiamento "dilagante" nella street, che io chiamo "sfiga-oriented", non è un bene sono molti e legati strettamente al mio lavoro... e non credo sia qui il caso di (o la sede per) discuterli. smile.gif Ma se McCullin stesso si mette a fare conferenze sulla gioia nella fotografia (o almeno l'ironia, e di questa ne ho vista in diverse foto di Don... era suo l'autoritratto coi topini bianchi, di cui uno in bocca del quale si vedeva solo la coda? smile.gif ), per me significa che persino lui forse si accorge di qualcosa che potrebbe essere coerente con le mie osservazioni...
...e forse no, e sono io completamente fuori strada. biggrin.gif
Comunque, chi vivrà vedrà... Intanto grazie per l'indicazione.
Ciao,
Davide
Claudio Orlando
QUOTE(twinsouls @ May 30 2009, 09:33 PM) *
La cercherò. smile.gif
... come tante altre foto "di denuncia", rientrano per me nella categoria del reportage più che della street.
I motivi per cui dico che l'attuale atteggiamento "dilagante" nella street, che io chiamo "sfiga-oriented", non è un bene sono molti e legati strettamente al mio lavoro... e non credo sia qui il caso di (o la sede per) discuterli. smile.gif ............................... era suo l'autoritratto coi topini bianchi, di cui uno in bocca del quale si vedeva solo la coda? ), per me significa che persino lui forse si accorge di qualcosa che potrebbe essere coerente con le mie osservazioni...
...e forse no, e sono io completamente fuori strada. biggrin.gif
Comunque, chi vivrà vedrà... Intanto grazie per l'indicazione.
Ciao,
Davide


La sfiga oriented mi ha davvero strappato un sorriso Davide! Concordo e sono daccordo con te anche su questo punto.
Certo hai ragione quando affermi che molte sue foto siano più ascrivibili a reportage che alla street comunemente intesa ma mi chiedo e ti chiedo (anche riallacciandomi ai dubbi iniziali), è davvero possibile tracciare una sorta di confine tra i due modi di esprimersi? O non sarà forse che una "serie" di foto fatte per la strada abbiano alla base proprio un progetto che si concretizza alla fine in un reportage?
Per tornare all'autore di cui parliamo: le foto fatte a Cambridge, la foto ad esempio di Snowy (l'uomo topo cui accenni e che non è un suo autoritratto wink.gif ); delle acciaierie Consett, a Bradford nelle case e nelle vie della cittadina, sono nate come foto a se stanti. Alcune hanno in se stesse grande dose di ironia sì ma amara. Solo in seguito tutto o parte di questo materiale si è trasformato, catalogandolo e riunendolo, in un reportage d'ambiente tra i più belli he abbia mai visto.
Certo è che le strade e per le piazze del mondo, se guardate con quell'occhio ironico che spesso è molto più ficcante ed indagatore di quello serio o serioso, sono piene di realtà che andrebbero colte in modo diverso da quanto oggi "la sfiga oriented" sembra imporre.
grazie.gif
davidebaroni
QUOTE(Claudio Orlando @ May 31 2009, 10:19 AM) *
La sfiga oriented mi ha davvero strappato un sorriso Davide! Concordo e sono daccordo con te anche su questo punto.
Certo hai ragione quando affermi che molte sue foto siano più ascrivibili a reportage che alla street comunemente intesa ma mi chiedo e ti chiedo (anche riallacciandomi ai dubbi iniziali), è davvero possibile tracciare una sorta di confine tra i due modi di esprimersi? O non sarà forse che una "serie" di foto fatte per la strada abbiano alla base proprio un progetto che si concretizza alla fine in un reportage?
Per tornare all'autore di cui parliamo: le foto fatte a Cambridge, la foto ad esempio di Snowy (l'uomo topo cui accenni e che non è un suo autoritratto ); delle acciaierie Consett, a Bradford nelle case e nelle vie della cittadina, sono nate come foto a se stanti. Alcune hanno in se stesse grande dose di ironia sì ma amara. Solo in seguito tutto o parte di questo materiale si è trasformato, catalogandolo e riunendolo, in un reportage d'ambiente tra i più belli he abbia mai visto.
Certo è che le strade e per le piazze del mondo, se guardate con quell'occhio ironico che spesso è molto più ficcante ed indagatore di quello serio o serioso, sono piene di realtà che andrebbero colte in modo diverso da quanto oggi "la sfiga oriented" sembra imporre.
grazie.gif


Beh, Claudio, certo è difficile (se non impossibile) tracciare un confine fra i due "modi di esprimersi"... E se è per quello, è difficile comunque "categorizzare" univocamente quasi qualsiasi foto, almeno per me. smile.gif
Per quanto amara, come dici tu stesso, l'ironia è spesso un'arma vincente. Peccato che sia ormai così vicina all'estinzione che persino il WWF ha rinunciato a proteggerla... rolleyes.gif

Ho cercato la foto "Operaio al primo turno di lavoro", ma Google non mi ha restituito risultati, quindi ora la sto cercando in inglese, ma è dura. In questa ricerca ho trovato questa intervista, che mi è sembrata interessante e che contiene dei passi molto profondi, IMHO. smile.gif

E ho trovato questa sua citazione, in inglese... che condivido completamente (anche se, IMHO, c'è anche altro a sostenere questo tipo di scelta):
Don McCullin's most recent work concentrates on still life and landscape photography. A collection of McCullin's landscapes of Somerset were published in 'Open Skies' (1989)

"I have been manipulated, and I have in turn manipulated others, by recording their response to suffering and misery. So there is guilt in every direction: guilt because I don't practice religion, guilt because I was able to walk away, while this man was dying of starvation or being murdered by another man with a gun. And I am tired of guilt, tired of saying to myself: "I didn't kill that man on that photograph, I didn't starve that child." That's why I want to photograph landscapes and flowers. I am sentencing myself to peace."

Grazie a te, è un piacere conversare con te. smile.gif
Ciao,
Davide
Claudio Orlando
Grazie a te Davide, anche per la splendida intervista che ho letto tutta d'un fiato e in cui ho trovato, in ogni risposta, spunti su cui riflettere e cercare di ben metabolizzare.

PAS
QUOTE(Claudio Orlando @ May 30 2009, 08:59 PM) *
...
Non la trovo ma, se puoi cerca di trovare una sua foto che considero "IL CAPOLAVORO" e che si chiama: operaio al primo turno di lavoro


Eccola:
Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

Questa non è una fotografia.
E' LA Fotografia

Claudio Orlando
Grande Valerio!
grazie.gif

Un mondo, una condizione sociale, una storia in uno scatto. Non c'è nulla da aggiungere.
Panz
Spero che qualcuno rifrequenti questa discussione perché è quella a cui ora sono molto interessato.
Ho letto i post precedenti e le riflessioni rispetto all'estetica delle foto street ed ora ho bisogno di tempo per digerire.
Sono un tranquillo neofita arrivato alla street proprio per l'esigenza di esprimere attraverso il mezzo fotografico una "estetica" della società in cui sono immerso. Ci sono situazioni in cui mi riconosco e di cui quindi tendo a dar il lato "bello", gioioso, entusiasmante, ma ci sono nella nostra società aspetti che non mi piacciono, o non condivido e di cui tendo a far denuncia. Insomma la foto street come veicolo per esprimere la mia visione del mondo, della società e delle persone che la compongono. Le rifessioni contenute in questa discussione perciò ci stanno tutte. Io in questa società ci sono dentro, ne sono partecipe e ne ho un'idea ed un giudizio che cerco di esprimere attraverso il mezzo fotografico. Se poi ci riesco o meno o se il codice che uso non è intellegibile a tutti potrebbe davvero diventare il problema principale nel caso di un utilizzo delle foto a livello di massmedia. Per il momomento son solo un principiane che s'avventura in sentieri per lui poco esplorati.
Non sto a far richieste di tecnica fotografica, ma più di ordine "legale": fin dove posso arrivare a fotografare? Già in questo forum ci son pareri diversi rispetto alla possibilità di rubare scatti a persone per strada. A me piacerebbe andare a scattare nei centri commerciali, ormai diventati le nuove piazze, ricche di umanità varia e con scenette gustose. Posso?
Ho letto il manifesto sull'etica del nonfotografo, condivisibile se l'intento dello scatto è denigratorio o scandalistico, ma scatti che sottolineino la dignità del fotografato a mio avviso potrebbero essere effettuati. Posso?
La privacy è lesa sempre o solo nel caso di divulgazione di dati sensibili (tipo data e luogo di scatto)?
C'è chi m'ha detto che in verità l'unica possibilità non sta nel conoscere i limiti legali ed osservarli, ma nell' essere davvero ladro di immagini ed agire di conseguenza, invisibile e velocissimo imparando a cogliere l'attimo a dispetto del fotografato. Sì, mi piace la gente, ritrarla, coglierla nei momenti in cui esprime d'essere viva, siano questi momenti felici o tristi perché la vita è questa bella o brutta che sia. Nel rubare questi momenti, che mi appartengono in quanto spettatore ed analizzatore davvero l'attore è l'unico che ha il diritto di decidere se lasciarli andare o meno?
DAP
QUOTE(PAS @ May 2 2009, 01:33 PM) *
Aspetto importante introdotto da Maurizio: riguarda ciò che mi piace chiamare “linguaggio del fotografo” per analogia con l’espressione scritta o parlata.
Come in altre forme espressive penso che le due componenti che Maurizio chiama “materiale” e “personale” si fondino in ciascuna fotografia in misura diversa a seconda delle situazioni ed insieme concorrano a formare il messaggio oggetto della comunicazione.
La fotografia cosiddetta “street” costituisce la più classica delle opportunità per questo mixing.

Sta nell’abilità e nella sensibilità del fotografo far sì che l’immagine da lui prodotta possa raggiungere ed essere recepita dalla più ampia tipologia di fruitori, senza limitarsi ad ambiti specialistici.
Ovvero la responsabilità che la comunicazione vada a buon fine è sempre del comunicatore.

Ciao ragazzi, ciao PAS.............bella discussione che........rischia di allargarsi a non finire, foto rubate oppure no,...si capisco cosa si vuole intendere però vorrei vederle quste foto rubate ;in ginocchio? ancora più basso!!sdraiato?forse è meglio salire sopra quel mattone!!orizzontale o verticale??!.....insomma!!!dipende da te no??!! da quello che devi dire a chi! dalla senzazione che hai a rivedere la scena,è una cosa anche abbastanza intima e come tante cose intime avrà una evoluzione, una crescita un cambiamento.
Io da poco ho fotografato tanti personaggi "tipici del mio paese,gente anziana/adulta che mi ha visto crescere,...li ho fotografati al bar,nel loro girdino,a casa,per strada nella stalla nei campi e in ufficio ......io ero di fronte a loro senza fronzolare con la mente :<Hei, Alfredo!come sarà il tempo domani?>..si ferma,punta bene la vanga in terra,con un braccio si appoggia sul manico,con l'altra si asciuga la fronte,:<Speramo che rinfresca un pò!!!>......fatti 10 scatti....uno è buono!!
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