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Sagacia, Sarcasmo, Ironia, Satira
diffrenza
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alcarbo
Messaggio: #1
sagàcia s. f. [der. di sagace] (pl. -cie), letter. – L’essere sagace, qualità di chi o di ciò che è sagace; quasi esclusivamente in senso fig., perspicacia, acume, avvedutezza: la s. degli investigatori; la s. di una risposta; rivelare s. nel condurre un’indagine; una persona che manca (o è priva) di s.; dire, fare qualcosa con sagacia.

sarcasmo s. m. [dal lat. tardo sarcasmus, gr. σαρκασμός, der. di σαρκάζω «lacerare le carni» (da σάρξ σαρκός «carne»)]. – 1. Ironia amara e pungente, ispirata da animosità e quindi intesa a offendere e umiliare, che a volte può anche essere espressione di profonda amarezza rivolta, più che contro gli altri, contro sé stessi: parole, frasi, osservazioni piene di s.; parlare, rispondere con s.; fare del sarcasmo; sento del s. nelle tue parole; sentì la rabbia dentro di sé, qualcosa di molto vicino all’odio che avrebbe voluto esplodere contro quel s. assurdo e cattivo (Ugo Riccarelli). 2. Frase, espressione sarcastica: non risparmia a nessuno i suoi s.; i tuoi s. mi lasciano indifferente; il disgraziato imperatore tedesco, che Bonaparte ha tramutato da un giorno all’altro in imperatore d’Austria, è oggetto qui a Berlino di feroci s. (Alessandro Barbero).

ironìa s. f. [dal lat. ironīa, gr. εἰρωνεία «dissimulazione, ironia», der. di εἴρων -ωνος «dissimulatore, finto»]. – 1. In origine, finzione (e insieme anche interrogazione): questo sign. si conserva solo nell’espressione i. socratica, con cui si riassume il procedere speculativo di Socrate, che, dichiarandosi ignorante, chiede lumi all’altrui sapienza, per mostrare come quest’ultima si riveli in effetti inferiore al suo stesso «sapere di non sapere». 2. Nell’uso com., la dissimulazione del proprio pensiero (e la corrispondente figura retorica) con parole che significano il contrario di ciò che si vuol dire, con tono tuttavia che lascia intendere il vero sentimento: fare dell’i.; parlare con i.; cogliere l’i. di una frase, di un’allusione; non s’accorse dell’i. delle mie parole. Può avere lo scopo di deridere scherzosamente o anche in modo offensivo, di rimproverare bonariamente, di correggere, e può essere anche una constatazione dolorosa dei fatti, di una situazione, ecc.; ci può essere perciò un’i. bonaria, lieve, fine, sottile, arguta, faceta, o un’i. amara, fredda, beffarda, pungente, crudele, ecc. (v. anche sarcasmo). Esempî d’ironia sono le frasi comuni: «Ma bravo!», «Ma benissimo!», «Bella figura!», «Che occhio!» o «Che mira!» (a chi per es. colpisce molto lontano dal bersaglio), «Ma sai che sei proprio carino quando mostri la lingua!», o le espressioni «quella buona lana», «quella perla di galantuomo» e simili. Un’ironia è il verso dantesco: «Vieni a veder la gente quanto s’ama!», nel canto VI del Purgatorio (v. 115), e nello stesso canto tutta l’apostrofe a Firenze: «Fiorenza mia, ben puoi esser contenta Di questa digression che non ti tocca ...» (vv. 127-151). Ironia può essere anche l’atteggiamento d’uno scrittore che investa tutta quanta la sua opera; si parla così dell’i. del Parini, alludendo al suo poema Il giorno; e di i. ariostesca, per indicare il tono particolare con cui l’Ariosto presenta i personaggi e le situazioni del Furioso, il sorriso con cui si mostra attratto dal suo mondo fantastico e nello stesso tempo cosciente della sua irrealtà. 3. a. Con riferimento al teatro greco, i. tragica, il presagio della catastrofe, che sembra essere contenuto nelle parole, dette senza intenzione, di un personaggio. b. In molti casi, il sign. della parola si avvicina a quello di beffa, derisione, scherzo crudele o maligno o insultante: la sua promessa è un’i., quando sia evidente che non potrà essere mantenuta; offrire pochi centesimi a chi ha fame è un’ironia. Comuni, in senso fig., le locuz. i. della vita, della sorte, del destino, accennando a gravi delusioni patite, al rovesciarsi improvviso di una situazione lieta, e simili.

sàtira s. f. [dal lat. satŭra, femm. dell’agg. satur «pieno, sazio» e per estens. «vario, misto» (anche, con valore negativo, «confuso»), secondo antiche interpretazioni connesso con la lanx satura, il piatto di primizie offerto ritualmente agli dèi, secondo altri legato all’etrusco satir «parola, discorso»; le varianti saty̆ra e poi satĭra, dalle quali deriva la forma ital. del vocabolo, si diffusero, già in epoca imperiale, per accostamento arbitrario al gr. σάτυρος «satiro1»]. – 1. a. Genere letterario originale della letteratura latina, inaugurato storicamente da Ennio nella forma di miscellanea poetica in vario metro su argomenti diversi (favole, riflessioni morali, ecc.) e sviluppatosi in seguito in due filoni fondamentali: la s. esametrica, codificata da Lucilio, caratterizzata da forte aggressività anche politica, tematiche spesso licenziose, linguaggio quotidiano ed esplicito e alla quale si ispirarono in età augustea Orazio e nei secoli successivi Persio e Giovenale (con i quali il genere si cristallizza come luogo di aspra censura dei costumi individuali); e la s. menippea, il cui nome deriva da Menippo di Gadara, esponente della letteratura e della filosofia cinico-stoica, nella quale si combinavano prosa e poesia, talora con la presenza di parti dialogate e con la tendenza a introdurre nella riflessione morale elementi fantastici e parodie ironiche, inaugurata a Roma da Terenzio Varrone e alla quale sono ricondotte opere come l’Apokolokyntosis di Seneca il giovane e il Satyricon di Petronio. Si ha inoltre notizia di una satira (o satura) drammatica, forma primitiva e poco elaborata di spettacolo, caratterizzata da varietà di argomenti e ritmi e prob. connessa con rituali magico-religiosi, che sarebbe stata diffusa a Roma, secondo la testimonianza di Tito Livio, prima dell’avvento del teatro ispirato a modelli greci. b. Composizione poetica che evidenzia e mette in ridicolo passioni, modi di vita e atteggiamenti comuni a tutta l’umanità, o caratteristici di una categoria di persone o anche di un solo individuo, che contrastano o discordano dalla morale comune (e sono perciò considerati vizî o difetti) o dall’ideale etico dello scrittore: le s. di Ariosto, di Alfieri. c. Con valore collettivo, il complesso dei componimenti satirici di una letteratura, di un’età, di un poeta, di un ambiente: la s. romana; la s. classica, moderna; la s. di Giovenale, di Giusti, di Belli. Con sign. più astratto, il genere letterario della satira: l’origine, lo sviluppo della satira; relativamente al carattere, ai fini, al tono che informano non singoli componimenti ma la composizione in genere: s. personale, impersonale, generica; s. aspra, acerba, amara, mordace; la s. bonaria di Orazio; la s. pacata e sorridente del Parini. 2. estens. a. Scritto, opera letteraria o artistica, vignetta, discorso, atto o atteggiamento che riveste, sia pure parzialmente e in modo non esplicito, carattere e intenti satirici: la «Mandragola» del Machiavelli è una s. dell’ignoranza, della vanità e della superstizione; questa commedia vuol essere una s. della chiusa mentalità burocratica; il suo modo di fare così affettato e cerimonioso voleva essere proprio una s. del loro ambiente frivolo e mondano. b. L’attività stessa del satireggiare, in qualsiasi modo si esplichi: s. di costume, sociale; s. politica, contro uomini e istituzioni politiche, attuata soprattutto attraverso giornali umoristici, libelli polemici, spettacoli televisivi e sim.: il suo spirito era portato naturalmente alla satira; usare le armi della s.; fare oggetto di s., mettere in s., rappresentare o descrivere (persone, situazioni, difetti, ecc.) in modo da rilevarne, spesso in modo caricaturale, gli aspetti negativi (con lo stesso sign., fare la s., di qualcuno o di qualche cosa). ◆ Dim. satirétta; spreg. satirùccia; pegg. satiràccia (tutti e tre soprattutto nel sign. 1).

michelesala75
Messaggio: #2
Dall'ironia al sarcasmo sono attimi! e quello che e' ironico per alcuni puo' risultare sarcastico per altri, o no?
alcarbo
Messaggio: #3
Non lo so. Ci studio Pollice.gif

Messaggio modificato da alcarbo il Aug 1 2017, 07:51 PM
Antonio Canetti
Messaggio: #4
Sagacia, Sarcasmo, Ironia, Satira.

sono il spezie di una qualsiasi conversazione, se sapientemente usate tengono vive la conversazione altrimenti se si esagera nelle dosi la conversazione può essere un mortorio o una "guerra"

come al solito la virtù sta nel mezzo.

Antonio
FM
Messaggio: #5
...poi c'è un "piccolo" problema... un conto l'intenzione dell'interlocutore (sagace, ironico ecc..) un conto è il "come" recepisce il secondo interlocutore l'intenzione del primo interlocutore... Per farla semplice: una battuta sagace può benissimo essere ritenuta offensiva da chi l'ascolta, questo per una marea di motivi dovuti alla personalità, intelligenza, educazione, religione, sesso ecc.e ecc. quindi non credo che si possa risolvere il problema con delle definizioni da vocabolario... magari! rolleyes.gif
Esempio terra terra: un giornalista scrive un articolo "sagace" o di satira su un politico... questo si incazza e lo querela. Il giudice che farà? Andrà a leggere le definizioni del vocabolario e queste saranno sufficienti ad emettere il suo giudizio? Magari! Police.gif Altro esempio: vedo un enorme "buttafuori" che mi sta sulle scatole perché mi ha buttato fuori dal locale e mi viene da fargli una battuta sagace/sarcastica... rischio perché io so la definizione del vocabolario e quindi, in teoria, potrei? hmmm.gif

Messaggio modificato da FM il Aug 2 2017, 08:55 AM
alcarbo
Messaggio: #6
Allora la migliore è l'autoironia, così non ti denunci da solo messicano.gif
lexio
Messaggio: #7
Queste quattro parole mancano da troppo tempo, le persone si offedono per un nonnulla ed è pieno di moralisti seriosi e barbosi.. come sarebbe più felice il mondo se le persone fossero ironiche e sarcastiche (perchè no? Il sarcasmo non è affatto male.. se accompagnato da autoironia!)

la dimostrazione della mia tesi la trovate chiara e lampante nella discussione "se i grandi fotografi postassero sul forum". Leggere per credere
alcarbo
Messaggio: #8
Grazie
Vado a leggere

Sono d'accordo
 
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