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Fotogiornalismo: fatti e misfatti
(Era "Robert Capa")...
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_Nico_
Messaggio: #1
Da La repubblica:

Le immagini dei conflitti scattate in Spagna, Indocina, Francia
Un percorso tra le istantanee epocali di Robert Capa
Il grande fotografo di guerra che amava l'avventura, l'etica e il gin

di IRENE BIGNARDI

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ROMA - Ci sono immagini così cariche di riferimenti, di allusioni e di risonanze che diventano le protagoniste assolute dell'immaginario nutrito nei confronti del loro autore. Munch senza Il grido? Be', in effetti per ora bisogna accontentarsi di ricordarlo.

E così, anche nei confronti di un grande, grandissimo del fotogiornalismo come Robert Capa, la celeberrima foto del miliziano che muore colpito da una pallottola, colto dalla macchina fotografica proprio mentre il suo corpo si piega all'indietro nel dolore, è una immagine che concentra un di più di significati e di simboli - e anche un'immagine su cui, proprio per questo concentrato simbolico di valenze umane e storiche e di grandezza giornalistica, si sono scatenate le polemiche e le invenzioni calunniose (che fosse una scena ricostruita, una "sceneggiata"): tutte rintuzzate dalla logica della vita e della morte di Robert Capa e dalla argomentazioni chiarissime che mette in campo Richard Whelan nella presentazione del bel libro che lo scorso anno venne editato da Contrasto per l'anniversario della morte del grande fotografo.

Per la precisione il miliziano ha un nome, di chiama Federico Borrell Garcia, il luogo era Cerro Muriano, meno di tredici chilometri a nord di Cordoba, e la sua morte è registrata quel giorno negli archivi del governo spagnolo.
Questo per dire che nell'attesa dell'incontro con queste immagini dense di riferimenti spesso si trascurano altri momenti dell'opera di un autore. La bella mostra che è approdata ora a Berlino ed è dedicata a Robert Capa nel Martin-Gropius-Bau (fino al 19 aprile), è costruita invece con tanta passione e intelligenza da farci dimenticare la caccia al "capolavoro", da farci percorrere le tappe di una vita e di un lavoro straordinario scoprendone il resto, la parte meno vista e meno visibile.

Anche perché la mostra contestualizza le foto di Capa nella cornice del suo lavoro giornalistico, mettendo in evidenza i giornali, le riviste, il modo in cui venivano pubblicate e impaginate le foto scattate dai fronti a rischio continuo della vita - come si è visto dalla sua tragica morte a quarant'anni in Indocina, nel 1954, saltando su una mina - , facendoci capire come venivano presentate quelle immagini al lettore che voleva sapere di quelle guerre e di quelle battaglie. E proprio perché c'è tanto, c'è tutto, dalla guerra di Spagna alla Cina, dallo sbarco in Normandia all'Indocina, si legge anche il percorso dell'uomo Capa, fotografo di guerra ma soprattutto uomo di pace, che vede la sofferenza della gente, il suo modo di sopravvivere, la gioia dei bei momenti, il terrore della fuga.

Un altro grande recentemente scomparso, Henri Cartier-Bresson, l'ha definito "un avventuriero con un'etica". Avventuriero, suppongo, perché in effetti di avventure Capa ne ha attraversate molte, da quando se ne è andato a diciassette anni, nel 1930, dalla sua tranquilla posizione di figlio della borghesia ungherese diventando, da Endre Friedman che era, Robert Capa, un nome che si pronuncia uguale in tutte le lingue, quasi anticipando un futuro di continui giri per il mondo.

Con un'etica, certo, perché basta guardare le sue foto, il rispetto per le persone, la scelta delle situazioni, per capire che dentro l'avventuroso avventuriero che sapeva anche godersi la vita in tutte le sue forme c'era un uomo pieno si sensibilità umana.
Se tuttavia la realtà darà poi ragione alla sua morosa, Gerta Taro, anche lei fotografa, che lo proponeva nelle redazioni dei giornali come "il grande fotografo americano", se Picture Post lo definiva (azzeccandoci), per ovvie ragioni giornalistiche, "il più grande fotografo di guerra del mondo", facendo i conti si scopre che Capa ha solo venticinque anni quando scatta le sue famose undici foto dalla Spagna repubblicana in guerra pubblicate appunto da Picture Post: dove, accanto alla celeberrima immagine del miliziano, c'è anche il lato della gente, della durissima vita quotidiana. E' questo che raccontano le sue foto, che racconta la mostra. La visione di un ragazzo pieno di umanità. E con una vita che si riempie subito di dolore, perché la sua amata Gerta muore, travolta da un carro repubblicano.

Tra molte birre e molti gin, tra molti amici meravigliosi e molte guerre in cui dimenticare, Capa nel 1938 è in Indocina con Ivens a fotografare la resistenza del popolo cinese contro l'invasione giapponese, poi di nuovo in Spagna, poi in Francia, dove ritrae Léon Blum, poi emigra negli Stati Uniti, dove gli negano il passaporto ma lo mandano a documentare lo sbarco in Normandia.
Altro che Saving Private Ryan. Altro che la celebre battuta di Capa "Se una foto non viene bene, vuol dire che non eri abbastanza vicino". Lui era lì, in mezzo a quel glorioso massacro, e anche se la cronaca ci dice che molte, troppe foto dello sbarco sono andate perdute per uno stupido errore del laboratorio, anche se sono leggermente fuori fuoco (come si intitola anche la sua autobiografia) perché Capa dice di aver avuto paura, quelle che sopravvivono, e in cui la gente ha riconosciuto l'eroismo di quei ragazzi di Omaha Beach, sono dei monumenti al coraggio dei protagonisti e una prova di grande giornalismo.

Prima c'è stato lo sbarco alleato in Sicilia, e quella foto straordinaria del piccolissimo contadino siciliano che indica al gigantesco americano - opportunamente inginocchiato per essere alla sua altezza - la strada che hanno preso i tedeschi in ritirata. Poi le emozionanti immagini della liberazione di Parigi e la durezza della vendetta sulle collaborazioniste. Poi ci sarà il viaggio con Steinbeck in Unione Sovietica, dove ambedue vivono un doloroso ripensamento. Infine l'Indocina, e la mina che lo uccide a quarant'anni. Tutto glorioso, tutto grandioso. Ma il percorso che si snoda da una guerra a una battaglia, da una foto "epocale" all'altra, attraverso le immagini di un fotogiornalismo coraggioso e impegnato, è scandito, nella mostra berlinese, da altre immagini, da altre vite, dalla curiosità per la gente, da un profondo respiro umano.

(18 marzo 2005)
Fabio Pianigiani
Messaggio: #2
Bravo Maurizio ..... mi hai anticipato.

Ho letto questo interessante articolo stamattina in sala d'aspetto, e volevo segnalarlo alla Community.

Dicerie a parte .... falso o vero .... indubbiamente un Reporter, che ha lasciato delle Gran Foto ..... e di conseguenza un suo modo di narrare le sofferenze umane.

P.S.
Grazie dell' MP ....
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #3
biggrin.gif ...comincio con un sorriso perchè non vorrei che ciò che sto per scrivere venisse travisato...
1° Non mi sento assolutamente in grado di giudicare chi sia stato "il più grande fotografo di guerra", anche se ovviamente una ideuccia me la sono fatta, essendo, il reporter di guerra una figura per me mitica e avendo cercato e ricercato tutto quanto potessi su questo aspetto della fotografia.
2° Robert Capa è per me la personificazione del simpatico furfante, nel senso più bonario del termine, la sua vita e il suo modo di operare ne sono testimoni.
3° ha fatto foto che sono passate alla storia.

Mi soffermerei su quest'ultimo punto per aprire una parentesi con qualche mia riflessione sul caso "Capa". Personalissime considerazioni fatte con la più grande simpatia umana e la più grande ammirazione per il personaggio in questione e senza velleità alcuna di "giudizio" (e ci mancherebbe altro) tecnico. Un giudizio etico-storico su due delle sue foto però mi sento di darlo. Proprio perchè se ci sono dei lati poco edificanti in una carriera luminosa è bene dirli e non per questo si inficia il resto.

QUOTE
si sono scatenate le polemiche e le invenzioni calunniose (che fosse una scena ricostruita, una "sceneggiata"): tutte rintuzzate dalla logica della vita e della morte di Robert Capa e dalla argomentazioni chiarissime che mette in campo Richard Whelan nella presentazione del bel libro che lo scorso anno venne editato da Contrasto per l'anniversario della morte del grande fotografo.

Per la precisione il miliziano ha un nome, di chiama Federico Borrell Garcia, il luogo era Cerro Muriano, meno di tredici chilometri a nord di Cordoba, e la sua morte è registrata quel giorno negli archivi del governo spagnolo.


Richard Whelan può mettere in campo tutte le argomentazioni che più gli piacciono ma quelle che vengono definite invenzioni calunniose non sono tali ma realtà concrete. Non basta la logica della vita di Capa per nascondere non dicerie ma prove concrete contro le quali qualsiasi discorso va a farsi benedire. Le prove concrete di cui parlo sono le strisce di vari fotogrammi in cui si riprende la stessa scena. Ora o il Federico Borrell Garcia morto quel giorno e registrato dagli archivi del governo spagnolo aveva (possibile ma improbabile) sette vite come i gatti, e le ha donate tutte a Capa per far sì che lui potesse fotografare più volte la stessa morte o la striscia (attenzione non sequenza) in questione è un falso. Ma quella striscia nessuno l'ha mai mesa in dubbio. Questo è un fatto le altre perdonatemi ma sono chiacchiere.

Altra foto storica del nostro autore: I marines alzano la bandiera dopo la presa di Iwo Jima. Splendida silouhette che vede i nostri eroi proprio nel momento topico della battaglia issare la loro bandiera che garrisce al vento della vittoria.
Bene quella foto non è stata effettuata nè durante nè subito dopo la battaglia....ma giorni dopo, quando tutto era calmo e tranquillo e con i masticagomme messi in posa plastica.

Solo qualche riflessione per verità storica.
Luca Moi
Messaggio: #4
Grazie a Nico per l'ottima segnalazione e a Claudio per le doverose "precisazioni", purtroppo non ho mai letto niente di approfondito di Capa quindi mi limito a ricordare che su questo link della mitica agenzia Magnum è possibile vedere tutte le sue foto e i suoi libri.
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #5
Stuzzicato dall'argomento, sono andato a fare qualche ricerchina su Internet e come sempre i giornalisti difficilmente verificano le loro fonti, spiego il motivo...
riportando alcune fonti che purtroppo, non solo smentiscono la notizia della morte confermata con tanto di nome e cognome. In questa paginascritta purtroppo in spagnolo, è riportato dove Whelan riprende queste affermazioni, dimenticandosi però di citare tutto il resto della polemica.
In breve( e se ho capito bene, non parlo spagnolo, ma alcune cose si capiscono lo stesso), tal Francisco Gomez, propone alcune tesi, sulla base di quanto scritto da un tal Mario Brotons, miliziano della colonna fotografata da Capa,senza cercare altre prove. Dalle parole di questi emerge che il miliziano era il citato Federico Borrell Garcia e che la sua morte è registrata nell'archivio di Salamanca, ma questo è riccamente smentito. Vi quoto la parte d'interesse dell'articolo

QUOTE
Con fecha 16-12-2002 Miguel Ängel Jaramillo Guerreira,
Director del Archivo General de la Guerra Civil Española de Salamanca, me escribió:


<< Le confirmo que en este archivo no aparece fichado el fallecimiento de Federico Borrell
e igualmente mi extrañeza al ver que un dato tan relevante
no se confirme con la copia del documento o con la referencia al mismo en el archivo
en que se ha encontrado. >>


Insomma a quanto detto manca il sostegno della carta, quindi la tesi storica non è una tesi storica, ma al massimo una ipotesi, tanto non basta certo per le perentorie affermazioni della giornalista, che accusa di una sorta di complotto anti-Capa. Le strisciate del miliziano, io le ho viste in alcuni libri, ma potrebbero tranquillamente essere false, quello che invece mi sembra è che la certezza della verità storica a cui ci si richiama, non c'è. E' un idea!
Al tempo stesso si deve ricordare quanto detto da
QUOTE
O'Dowd Gallagher, con diverse interviste pubblicate sul settimanale Sunday Times e nel libro curato da J. Borgè e N. Viasnoff per la France Loisirs nel 1974 L'aristocratie du reportage photographique, ha affermato di aver diviso con Robert Capa la stessa camera d'albergo, all'inizio del conflitto spagnolo. Gallagher ha dichiarato che "...io e Capa ci recammo dalle autorità a lamentare che non riuscivamo ad ottenere quelle foto che i giornali volevano da noi. Allora le autorità organizzarono un finto attacco, e noi ottenemmo le foto che volevamo...".


Giustamente si nota che questa affermazione non ha ancora avuto smentite. Cosa decisamente strana.

e ancora si cita il provino con le prove di diversi miliziani che muoiono tutti nello stesso posto,ma senza il corpo del miliziano morto prima in
QUOTE
Sempre "Fotografare", nel numero di settembre 1994, ha pubblicato un articolo intitolato "Manipolazione fotografica della storia - I trucchi fotostorici" a firma di Antonello Manno[...]Nella didascalia alle foto dei due miliziani si legge che "di miliziani morenti, tutti nello stesso luogo e modo, Capa ne ha fotografati molti, da dietro la sua Leica sul cavalletto". Lo stesso articolo parla di un "foglio di provini a contatto trovato nell'archivio di Capa, dove è palese che fotografo e miliziano attore fecero diverse prove. Il motivo è che, in quegli anni, la pellicola più sensibile era di 21 DIN (100 ASA) e non permetteva tempi rapidi di otturazione

se consideriamo inoltre che questa foto e il racconto imbastito da Capa gli hanno permesso di ottenere il contratto a 23 anni con Life, certo l'idea che abbia sfruttato la situazione qualche idea la fa venire.
Nei registri in cui è verificata la morte del miliziano(perchè che questo miliziano sia morto lì è un fatto che sia lui quello della foto è da vedere), si registra la morte solo di quel miliziano e non come vuole capa anche del secondo miliziano, foto anch'essa deposistata alla magnum, non solo, ma nonostante l'identicità dello sfondo e l'asserzione di Capa di essere due miliziani diversi, il corpo del primo miliziano morto non appare nella foto del secondo. E' falso il racconto, la foto? Boh! Quello che mi sembra autentico per ora è solo la voglia di notorietà di una giornalista poco accorta.
Crisuser posted image
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #6
QUOTE(__Claudio__ @ Mar 18 2005, 05:04 PM)
....
Altra foto storica del nostro autore: I marines alzano la bandiera dopo la presa di Iwo Jima. Splendida silouhette che vede i nostri eroi proprio nel momento topico della battaglia issare la loro bandiera che garrisce al vento della vittoria.
Bene quella foto non è stata effettuata nè durante nè subito dopo la battaglia....ma giorni dopo, quando tutto era calmo e tranquillo e con i masticagomme messi in posa plastica.

Solo qualche riflessione per verità storica.
*


Queste sono cose che lasciano sempre un po' l'amaro in bocca...
Un editor una volta mi disse che "non c'è nulla di male nel 'riscostruire' una situazione che effetivamente non si sta svolgendo in quel momento ma che comunque è accaduta (magari più volte) ed è comunque veritiera. Non è possibile che un fotografo si trovi sempre nel posto giusto nel momento giusto, non si travisa la realtà, la si 'ricrea' per opportunità".
In certi ambiti un tale ragionamento lo si può accettare (anche se io ho disdetto l'abbonamento alla "sua" rivista) ma un fotografo di guerra non "può potersi permettere" certe leggerezze.
Magari Capa era un pioniere (sicuramente un grande) e lavorava in un contesto un po' diverso da quello odierno e quindi certi errori, con il senno di poi, si possono anche accettare.
Ma oggi assolutamente non più.
Ricordo un'evento abbastanza recente (se vi interessa vedo se riesco a recuperarlo) in cui un fotogiornalista è stato licenziato su due piedi perchè una sua immagine era stata un po' elaborata travisando quella che era effettivamente la realtà.
Capa rimane comunque uno dei miei prediletti ... forse anche Marilyn "aveva qualche brufolo" ...

Sapete se questa mostra passerà in Italia ?

Ciao e Grazie della segnalazione wink.gif
Angelo
Luca Moi
Messaggio: #7
QUOTE(Cristiano Orlando @ Mar 18 2005, 06:27 PM)
E' falso il racconto, la foto? Boh! Quello che mi sembra autentico per ora è solo la voglia di notorietà di una giornalista poco accorta.
Cris


Interessante anche questa ricostruzione, Cristiano, stiamo attenti però a non esagerare anche in senso opposto...Irene Bignardi è una giornalista già affermata da tempo, non di certo in cerca di fama con scoop su Robert Capa.
Più che di voglia di notorietà, in questo caso, parlerei magari di scarso spirito critico e di mancata accurata documentazione al riguardo, il che poi per un giornalista è ancora più grave. Probabilmente però si è trattato semplicemente di una scoperta tardiva dell'autore, e presa dall'entusiasmo per la figura e la personalità di Capa si è limitata ad attenersi alla "agiografia" ufficiale.
Tutto sommato lo considererei un peccato veniale, e Capa rimane comunque un grande, fossero anche - come probabilmente sono - alcune delle sue foto più famose costruite ad hoc
_Nico_
Messaggio: #8
Sono molto lieto d'aver segnalato quest'articolo, perché ne sta scaturendo una discussione molto interessante. Ringrazio gli Orlando in toto per gl'interventi utili e preziosi...

Cristiano ha fatto un egregio lavoro di scavo, mostrando proprio quanto desideravo vedere, dopo l'intervento di suo padre, e cioè la «sequenza». Effettivamente le due immagini, scattate dallo stesso punto con minime varianti, dicono inequivocabilmente che ci sia stata una discreta moria da quelle parti. E non si faceva a tempo a levare un cadavere che già moriva un altro miliziano. E la Leica resisteva strenuamente sul cavalletto... rolleyes.gif

Ciò spiegherebbe bene il giudizio di Cartier Bresson, «avventuriero con un'etica». In altre parole si tratta anche di propaganda, ma in fondo a fin di bene. Proprio, come legittimamente ipotizza Cristiano, e anche altrui. Era epoca di propaganda, e non solo nel campo della fotografia. Su tutti i fronti. Il caso di Iwo Jima mi sembra sufficientemente eloquente, per restare su Capa.

Mi sembra eccessiva però la conclusione di Cristiano. Non me la prenderei con la giornalista, che si limita a riportare -e lo dice chiaramente nell'articolo- quanto sostiene l'organizzatore della mostra, Whelan. È vero che non ha fatto ricerche per sottoporre a verifica quanto affermato da Whelan, Cristiano, ma in definitiva non si tratta d'una inchiesta, bensì solo d'una recensione d'una mostra.

A questo punto però, come ha già sottolineato Angelo, si apre la questione -non certo nuova, ma sicuramente ancora attuale- della deontologia professionale, diciamo così. HCB dice, stando all'articolo, che l'avventuriero aveva un'etica. Sarebbe da approfondire. Quali sono i confini dell'etica professionale nel (foto)giornalismo? Forse ha ragione Angelo: forse anche Marilyn aveva qualche brufolo... laugh.gif

Mi stuzzica quanto diceva Claudio in apertura: «una ideuccia me la sono fatta, essendo, il reporter di guerra una figura per me mitica e avendo cercato e ricercato tutto quanto potessi su questo aspetto della fotografia». Claudio, ci potresti raccontare qualcosa?
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #9
QUOTE(Luca Moi @ Mar 18 2005, 06:41 PM)
...Irene Bignardi è una giornalista già affermata da tempo, non di certo in cerca di fama con scoop su Robert Capa.
Più che di voglia di notorietà, in questo caso, parlerei magari di scarso spirito critico e di mancata accurata documentazione al riguardo, il che poi per un giornalista è ancora più grave. Probabilmente però si è trattato semplicemente di una scoperta tardiva dell'autore, e presa dall'entusiasmo per la figura e la personalità di Capa si è limitata ad attenersi alla "agiografia" ufficiale.
Tutto sommato lo considererei un peccato veniale, e Capa rimane comunque un grande, fossero anche - come probabilmente sono - alcune delle sue foto più famose costruite ad hoc
*




Veramente, leggendo il "CdS" non conosco la Bignardi, quello che ne esce però è proprio quello che hai giustamente rilevato tu Luca, con una riflessione che trovo molto sensata.
E' un errore che si fonda sulla "presunzione di ignoranza" tipica di molti giornalisti verso i propri lettori. A questo si aggiunge il gravissimo difetto di non verificare le fonti.
Comunque al di là della Bignardi, che non è certamente il casus belli, viene da pensare su come ci si possa aprire la strada anche a "gomitate" rolleyes.gif nel campo dell'editoria. Chissà quanti altri Capa non conosciamo solo perchè non sono riusciti o non si sono sentiti di fare quel che ha fatto lui.
Comunque oggi ringraziamo tutti quel miliziano, augurandogli di essere..."ancora vivo" laugh.gif
sergiobutta
Messaggio: #10
Bellissimo 3D. Avevo letto, a suo tempo, l'articolo di Fotografare, ma non ricordavo tutte le motivazioni che portavano a pensare ad un falso. Grazie Nico, Claudio, Cristiano, Angelo per le vostre considerazioni.
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #11
QUOTE(_Nico_ @ Mar 18 2005, 06:56 PM)
Claudio, ci potresti raccontare qualcosa?
*



Lo farò molto volentieri Nico...ma domani. Ora se me lo permettete chiudo negozio e...vado a cena! tongue.gif
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #12
Sulla foto del miliziano morto e dei marines trionfanti ricordo d'aver già scritto tempo fa, nella "preistoria" del forum...Per spirito di casta ( wink.gif ) mi sembrano ingenerose le critiche all'autrice del pezzo, che certo per recensire una mostra non poteva recarsi in Spagna, consultare gli archivi, magari accedere ai "preziosi" archivi di Magnum (quante cose potrebbero raccontare!). S'è affidata a documentazione che credeva attendibile, e che del resto molti continuano a ritenere degna di fede, e se errore c'è stato (come credo) questo è stato per così dire "ereditato"...
Ma veniamo alle foto in questione, e al problema che esse pongono. Problema quanto mai attuale, come testimonia il caso citato da Angelo: si trattava per la precisione di un fotografo del Los Angeles Times che, in Iraq, aveva "mixato" due scatti digitali per rendere un'immagine più drammatica: un militare inglese davanti a uno stuolo di civili accucciati, che con la mano impone l'alt a un uomo con un bambino in braccio.
Il caso della foto di Capa è attuale perchè, allora come oggi, il giornalismo di guerra o è "embedded" o non può esistere. Casi recenti dimostrano purtroppo come sia tramontata la breve stagione in cui il giubbetto con la scritta "press" garantiva una sorta d'extraterritorità. Ora quella scritta ha lo stesso significato d'un bersaglio: obiettivo per chi teme la sovraesposizione mediatica d'un evento, preda per chi questa sovraesposizione mediatica la ricerca.
A quei tempi il fotoreporter, come il giornalista di guerra, era "embedded", organicamente inserito in una unità militare che gli garantiva protezione, una limitata mobilità, una altrettanto limitata "collaborazione" (ivi inclusi i falsi attacchi), ma che poteva decidere che cosa e come si poteva raccontare, con le parole o con le immagini. Guardatevi le foto molto belle che, nell'ultimo fascicolo di Hachette dedicato a Rodger, ritraggono lo stesso Rodger e Capa nelle fasi conclusive della II guerra mondiale: viaggiano su jeep militari, indossano una sorta di divisa. Non solo i fotoreporter: Hemingway stesso fu una curiosa figura di inviato-militare- militante, al punto che lui stesso racconta d'aver avuto un ruolo per così dire "di comando" in una fase dello sbarco in Normandia, o, sempre in Francia, nella gestione di azioni congiunte col Maquis.
Questa visione dell'inviato come "aggregato" all'unità militare è antichissima, ultramillenaria: s'è evidenziata a partire dalla Guerra di Secessione negli States, ed è entrata parzialmente in crisi solo in occasione del conflitto del Viet Nam. Parzialmente, dico, perchè gran parte del giornalismo e del fotogiornalismo era ancora "embedded" (vi ricordate una signora negli ultimi tempi assai loquace e accidiosa, che allora viaggiva con elmetto e piglio da Marine?).
C'era, però, chi preferiva agire da cane sciolto, assumendosene i rischi: non era più sotto l'ombrello protettivo dell'esercito, ma poteva viaggiare autonomamente, fotografare la realtà com'era, raccontare anche l'altra metà della storia. Fu uno dei grandi momenti del fotogiornalismo (pagato a caro prezzo), ma in quella occasione i militari si accorsero che una macchina fotografica o una macchina da scrivere "fuori controllo" erano pericolosi almeno quanto un Kalashnikov. L'epilogo della vicenda vietnamita fu anche una sconfitta mediatica, tant'è che alcune di quelle immagini "non embedded" (penso alla bimba che corre ustionata dal napalm, al presunto vietcong giustiziato a freddo con un colpo alla testa, alle drammatiche sequenze di Mi Lai) fanno parte a pieno titolo della storia della fotografia.
Il resto, purtroppo, è attualità quotidiana...
Diego
Luca Moi
Messaggio: #13
Sempre più interessante, questa discussione..
Forse esco un po' fuori tema, ma a proposito di fotografi di guerra ne approfitto per segnalarvi un bellissimo libro di Anthony Loyd, "My war gone by, I miss it so", tradotto in Italia con il titolo "Apocalisse criminale" ed edito dalla Piemme. In questo libro l'autore, allora ventiseienne, racconta la sua esperienza di fotografo freelance nella ex Jugoslavia e in Cecenia, durante le guerre che hanno devastato questi paesi. E' un libro estremamente crudo in quanto racconta la guerra senza giri di parole o abbellimenti, soltanto follia, dolore, disperazione, sangue, paura, polvere, sudore e m...a.
Eroinomane e semialcolizzato, l'autore descrive le sue esperienze in maniera asciutta e con tutte le contraddizioni che si possono vivere in quei momenti, come quando racconta di avere assistito ad una strage di anziani dilaniati da una granata per la strada e di essersi rammaricato perchè la disposizione dei cadaveri sulla neve era poco "fotogenica".
Insomma, un libro da non perdere, tra l'altro osannato dalla critica internazionale, più che altro per non dimenticare che cosa è successo dieci anni fa a pochi chilometri dall'Italia
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #14
[OT]
Ci penso da un po' e le ultime discussioni sul forum mi hanno nuovamente stimolato a farlo. Appena ho un po' di tempo in più voglio aprire un 3D che funga da "catalogo" di libri per tutti noi. Io sono vorace di carta più che di pellicola, lo ammetto, anche se non ne mangio mai quanta vorrei.
Che ne pensate ? Una cosa tipo"cosa c'è sui nostri scaffali" giusto per avere nuovi spunti o suggerimenti per chi si sta avvicinando solo ora alla Fotografia.
Se pensate sia una buona idea cominciate a raccogliere titoli,autori,editori e "vostri commenti" su pubblicazioni interessanti che secondo voi meritano di essere suggerite.
Buona Notte (scusate, sono stanco morto, riesco a scrivere ma non più a leggere e questa discussione è troppo interessante per darle una letta veloce.)
A domani (forse ...) wink.gif
[/OT]
morgan
Messaggio: #15
QUOTE(__Claudio__ @ Mar 18 2005, 07:20 PM)
QUOTE(_Nico_ @ Mar 18 2005, 06:56 PM)
Claudio, ci potresti raccontare qualcosa?
*



Lo farò molto volentieri Nico...ma domani. Ora se me lo permettete chiudo negozio e...vado a cena! tongue.gif
*


Ringrazio Nico per aver dato inizio a questa discussione, e tutti coloro che vi hanno partecipato per gli interessantissimi contributi!! Ho avuto modo di parlare di Capa, tempo fa, proprio con Claudio, in occasione della mostra antologica di Don McCullin, altro fotografo di guerra; resto in attesa delle "rivelazioni" del nostro grande "esperto" guru.gif guru.gif
Saluti

Franco
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #16
QUOTE(_Nico_ @ Mar 18 2005, 06:56 PM)


A questo punto però, come ha già sottolineato Angelo, si apre la questione -non certo nuova, ma sicuramente ancora attuale- della deontologia professionale, diciamo così. HCB dice, stando all'articolo, che l'avventuriero aveva un'etica. Sarebbe da approfondire. Quali sono i confini dell'etica professionale nel (foto)giornalismo? Forse ha ragione Angelo: forse anche Marilyn aveva qualche brufolo...  laugh.gif

*



Ho letto ora e con molta attenzione gli interventi di Luca e di Diego, interventi in cui c'è moltissima verità a parer mio. La realtà viene filtrata dagli occhi di chi la guarda e ognuno, a modo suo, cerca di raccontarla attraverso la sua sensibilità, la sua ideologia e secondo le sue possibilità. Fare nomi di altri reporter di guerra sarebbe lungo e non sposterebbe il problema (perchè il vero problema l'ho quotato dall'intervento di Nico) di una virgola, segnalo solo per dovere di cronaca alcuni nostri fotografi un po' troppo ignorati dal grande pubblico e che invece meriterebbero il massimo di attenzione. Alcuni davvero secondi a nessuno secondo me: Riccardo Venturi, che ha ripreso con una sensibiltà ed un occhio tutto italiano le guerre africane, europee e orientali. Segnalo tra i suoi libri: Guerre Africane, Il dramma dei profughi afgani, Kosovo e Sierra Leone. Non da meno Enrico Bassan e Alessandro Tosatto. E scusate il po' di sciovinismo biggrin.gif

Dopo la parentesi vorrei soffermarmi su quello che è per me il tema centrale della discussione: l'etica professionale del reporter.
Per come la vedo io ci sono due filoni diversi per l'approccio a fatti così importanti. Il primo riguarda "il cosa fotografare" il secondo è "come farlo".
Sul primo quesito per me non ci sono dubbi: tutto. Quando dico tutto intendo proprio tutto. Sia quello che è finalizzato all'eventuale dimostrazione di una propria tesi, sia quello che invece contraddice il nostro preconcetto e mostra il contrario. Esempio esplicativo: un reporter parte per mostrare la pulizia etnica in Kosovo, giunto lì trova le milizie più o meno regolari serbe che stanno effettuando esattamente ciò che egli, con informazioni preventive, aveva saputo. Riprende la realtà che gli si presenta sotto gli occhi. Come spesso capita al reporter, varca le linee e giunto nelle retrovie della parte avversa, trova contatti che lo introducono nella realtà di "quella" etnia. Viene condotto in luoghi ove scopre che anche da parte kosovara in passato si sono fatte nefandezze simili a quelle che fin'ora venivano attribuite solo ai serbi. Scatta e riporta a casa le immagini anche di quest'altra realtà. Ora ( e qui entera in campo l'etica secondo me), il suddetto reporter, mostrerà ciò che ha visto e fissato su pellicola, per tutte le realtà di cui è venuto a conoscenza? O si limiterà a mostrare "solo" quella parte che sarà corpo del servizio che gli era stato commissionato (se inviato) o che è più affine al suo pensiero politico (Se free lance)? Io la mia risposta ce l'ho, ed è un dato di fatto. Ma essendo una considerazione personale, lascio ad ognuno la propria di risposta.

Secondo problema, attinente alla problematica su Capa (ma non solo). Qui si potrebbero raccontare le gesta quasi da folle del citato (da Morgan) Don McCullin, che pur stando al "seguito" delle truppe USA aveva l'abitudine di precederle perchè, diceva, il primo ad arrivare sul luogo doveva essere lui. Come altrimenti avrebbe potuto fotografare l'arrivo delle stesse? blink.gif
E come non citare Nachtwey, il quale in moltissimi casi, al centro delle scene più terribili che macchina fotografica possa inquadrare, molla tutto e si prodiga nell'aiuto personale a chi in quel momento ha "bisogno"? Questa secondo me è etica.

Per finire, e mi scuso per la lunghezza ma è difficile spiegare in breve certi concetti, nessuno nega a Capa la sua grandezza di reporter, io sono un suo grandissimo ammiratore MA: quello che gli chiederei ora sarebbe esattamente questo: PERCHE' NON DIRLO?
Perchè non ammettere apertamente: Queste foto sono state scattate per mostrare "attraverso una ricostruzione il più possibile simile alla realtà" quel che è avvenuto su questi campi di battaglia. Ne avrebbe giovato secondo me, la verità e soprattutto oggi saremmo qui tutti a glorificare la sua onestà intellettuale.
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #17
Questa fotografia fa e farà sempre discutere.

In fondo però è un peccato, perchè rischia di distogliere l'attenzione dall' "altro" Capa, quello che ha portato la sua etica così a fondo da lasciarci la propria vita.
Il lavoro che reporter come lui hanno svolto in quegli anni è stato importantissimo e lodevolissimo..oggi una guerra la vediamo in TV assuefatti e distratti, piena di effetti speciali ed inquadrature spettacolari..in quanti si sono incantati di fronte allo "spettacolo" dei primi missili che partivano dalle portaerei, con tutti quei colori e con quel cielo..in pochi riflettono sul fatto che quando scendono al suolo di nuovo non parte l'applauso, e che UNO solo di essi per ciò che costa sistemerebbe la vita di una persona e dei suoi figli per 100 anni.

La stessa Magnum fu fondata sullo spirito di libertà ed individualità, e questo dura incredibilmente fino ad oggi.

L'aver raccontato la guerra, nel modo che ha scelto lui, pur sapendo che avrebbe potuto scegliere mille altri metodi comodi, mi fa sembrare davvero un inezia questa questione della sequenza, un semplice compromesso di quelli che facciamo tutti ogni giorno. Personalmente, in quella situazione io darei fuori di testa molto prima, altro che sequenze.

Scusate se mi rifiuto di discorrere su questo quesito, è solo un opinione.


Ciao a tutti!
toad
Messaggio: #18
QUOTE
un semplice compromesso di quelli che facciamo tutti ogni giorno. Personalmente, in quella situazione io darei fuori di testa molto prima, altro che sequenze.


Sono totalmente d'accordo. Capa ha dato ben altro alla fotografia. E poi dietro c'è sempre l'uomo.Così come in questo forum.
Avete letto tuuti "Slightly out of focus"?
Io, leggendolo, ho avuto la presunzione di tentar di capire l'uomo Capa. Tra l'altro l'ho letto in un periodo bruttissimo della mia vita.
Mi è stato regalato da amici (quelli "veri") con una dedica: Provaci ancora...
Sto divagando. Magari aprirò un 3D per vedere cosa la fotografia rappresenta per noi. Di alcuni l'ho già capito.
Però ogni tanto si parla anche di fotografia...
Un caro saluto
Toad
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #19
Ritorno sull'argomento per precisare meglio un aspetto del problema (in riferimento alle foto "costruite" da Capa ed altri) che potrebbe far pensare a una sorta di condanna inappellabile, a una valutazione "etica" negativa. Non è così.
Primo problema: il contesto ambientale.
Robert Capa (ed Hemingway, Gerda Taro, tanti altri come loro ma meno noti) operavano nel contesto di una guerra civile e, nel contempo, in quella che è stata la "prova generale" del secondo conflitto mondiale. Difficile pensare che le truppe del generalissimo Franco (in gran parte composte da legionari del "Tercio" e da militari marocchini salpati con lui dalla guarnigione di Sidi Ifni) avrebbero salutato con amichevoli pacche sulla spalla stranieri con macchina fotografica sorpresi a curiosare dalle parti delle loro linee. Più probabilmente, li avrebbero messi al muro. Altrettanto avrebbero fatto con ogni probabilità "regolari" e miliziani di parte repubblicana. Si poneva dunque il problema di una scelta: a chi appoggiarsi, da quale parte della barricata raccontare quanto stava accadendo?
Secondo problema: la scelta di campo.
Capa, e con lui tanti altri, scelse di raccontare la guerra civile spagnola stando dalla parte del governo legittimo repubblicano. Si garantì così la libera circolazione nella parte di territorio da questo controllato, senza pagare un prezzi eccessivo alla censura (lo stesso Hemingway racconta che la gestione della sicurezza era alquanto dilettantesca). Ora, la "missione" di questi personaggi, di grande talento e di grande coraggio (aggiungo, di grande passione civile) era non tanto quella di raccontare al pubblico d'oltreoceano - che queste notizie leggeva su periodici, e quindi non "in tempo reale" - che il miliziano tale era morto il tal giorno nel tal posto colpito dal piombo franchista, ma che in quella lontana fetta d'Europa, dove molti americani s'erano recati volontari (la famosa brigata Lincoln), si combatteva una guerra crudele fra i difensori della legalità repubblicana e la nascente coalizione degli autoritarismi europei. Un messaggio più "universale", simbolico. E in questo contesto, a mio avviso, la "costruzione" di una foto ci sta. Non è falsificazione, ma esemplificazione.
Terzo problema: il limite tecnico.
Capa, a quei tempi, scattava con Contax (e non con Leica, come generalmente si crede). Molti usavano Leica, altri Rolleiflex. Questo vuol dire ottiche "lunghe" al massimo 135 mm. Questo vuol dire "entrare" a tutti gli effetti nel campo di battaglia. Situazione nella quale, ne converrete, è difficile scattare belle foto. Ferme, mitide, perfettamente esposte e a fuoco, scegliere l'inquadratura. Girellare fuori dalla trincea voleva dire cercarsi un colpo di moschetto. Ma le riviste reclamavano, giustamente, foto belle, d'impatto. Queste foto non potevano che essere realizzate nella relativa "tranquillità" garantita dalle pause nei combattimenti. Facciamo un salto nel tempo, sempre parlando di Capa. Ho sotto gli occhi, mentre scrivo, le immagini scattate il 6 giugno 1944 a Omaha Beach. Mosse, sfocate, esposte malamente. Eppure grandissime foto, scattate in mezzo al fuoco, alle urla dei moribondi. Ho cercato di immaginare quella scena. Avete presente le scene iniziali di "Salvate il soldato Ryan"?. Beh, mettete il dvd nel lettore, alzate il volume al massimo, avvicinatevi allo schermo e, con la reflex, cercate di scattare una buona immagine, magari facendo uno sforzo per dimenticarvi di essere nel salotto di casa. Io ci ho provato. Non sono riuscito a scattare.
Diego
toad
Messaggio: #20
No comment. Ci ho provato anch'io col pensiero vedendo il film. Non posso che quotare.

Un saluto

Toad
toad
Messaggio: #21
Ora è completo, scusate.

QUOTE
Beh, mettete il dvd nel lettore, alzate il volume al massimo, avvicinatevi allo schermo e, con la reflex, cercate di scattare una buona immagine, magari facendo uno sforzo per dimenticarvi di essere nel salotto di casa. Io ci ho provato. Non sono riuscito a scattare.


No comment. Ci ho provato anch'io col pensiero vedendo il film. Non posso che quotare.

Un saluto

Toad
Halberman
Messaggio: #22
Ringrazio Nico, che ha promosso questo bellissimo thread, e i tanti altri (soprattutto Claudio, Luca Moi, Cristiano Orlando, Pegaso, Tembokidogo, Gabriele Lopez, TOAD,...) che lo hanno alimentato con interessantissimi e informatissimi approfondimenti.

A me Robert Capa, come fotografo, è sempre piaciuto, soprattutto per la sintesi del messaggio, con cui riesce a comunicare immediate e coinvolgenti sensazioni di empatia con il soggetto umano, spesso sofferente.

Se Capa è stato un grande fotografo, e lo è stato, uno dei più grandi del secolo scorso, è perché è "andato abbastanza vicino" al soggetto, all'uomo che vive quotidianamente. E' andato così "vicino" all'uomo da ritrarlo, con maestria, in momenti decisivi della sua esistenza individuale e sociale: la guerra, il dolore, la speranza, la gioia,...

Che Capa abbia fatto o no una "vera" fotografia al miliziano F. Borell Garcìa colpito a morte, foto che divenne presto un mito della lotta antifascista, o che sia stato un fotografo di parte, oppure che la foto della bandiera americana a Iwo Jima, allora propagandisticamente così utile, sia stata fatta o no al momento dell'evento, sono cose che a me interessano fino ad un certo punto.
Se mai, i dubbi o le certezze (negative o positive, secondo le opinioni) sull' "avventuriero con un'etica" (H.Cartier-Bresson), mi portano a riflettere ancora una volta su quanto un uomo, anche se "con un'etica", riesca ad essere veramente e totalmente coerente, sempre e comunque, nelle infinite situazioni concrete della sua vita, con l' "immagine" etica che si è fatta dell'esistenza e del proprio comportamento.

Da qualunque versante lo si voglia "giudicare", anche Robert Capa era un uomo, oltre che un fotografo, e un uomo non è perfetto, perché soggetto a molte pressioni, impressioni ed emozioni.

Ma, con la sua vita di "avventuriero" fotografo, con quei suoi 70.000 negativi che ha lasciato, con Magnum Photos che insieme ad altri pochi amici ha fondato, occorre riconoscere che pochi fotografi hanno dato, quanto lui, alla fotografia e a tutti gli uomini, ai fini di una coscienza più "etica" del mondo e della sofferenza. Capa si "avvicinava" agli uomini nel senso più profondo e "la sua macchina coglieva l'emozione e la tratteneva" (John Steinbeck).

Questo è, credo, ciò che vuole celebrare la mostra di Berlino. Vorrei anch'io poterci andare, ma il tempo a disposizione è poco (fino al 19 aprile) per gli impegni di lavoro che ho.
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #23
Visto che sono riintervenuto dopo un po' che la discussione era iniziata dovrò quotare quà e là per rispondere secondo le mie idee e il mio modo di vedere quel genere fotografico
QUOTE
Irene Bignardi è una giornalista già affermata da tempo, non di certo in cerca di fama con scoop su Robert Capa.
Più che di voglia di notorietà, in questo caso, parlerei magari di scarso spirito critico e di mancata accurata documentazione al riguardo, il che poi per un giornalista è ancora più grave.

E' vero probabilmente mi sono allargato un po', ma sono un po' stanco dei giornalisti che pubblicano titoloni senza approfondire un minimo o tralasciando per far aumentare la polemica.
QUOTE
È vero che non ha fatto ricerche per sottoporre a verifica quanto affermato da Whelan, Cristiano, ma in definitiva non si tratta d'una inchiesta, bensì solo d'una recensione d'una mostra

Sì è vero, ma trovo giusto accennare al dibattito in corso piuttosto che accennare con mezze frasi tipo
QUOTE
per questo concentrato simbolico di valenze umane e storiche e di grandezza giornalistica, si sono scatenate le polemiche e le invenzioni calunniose (che fosse una scena ricostruita, una "sceneggiata"): tutte rintuzzate dalla logica della vita e della morte di Robert Capa e dalla argomentazioni chiarissime che mette in campo Richard Whelan nella presentazione del bel libro che lo scorso anno venne editato da Contrasto per l'anniversario della morte del grande fotografo.[...]Per la precisione 

no la foto è contestata non per le valenze simboliche, ma per la storia narrata, quantomeno dubitabile e in quanto alle argomentazioni chiarissime, sono così chiarissime? Forse, ma certo che dette così assumono quasi la valenza probatoria che non sembrano avere. Quindi a quale precisione si riferisce esattamente?
QUOTE
Per spirito di casta (  ) mi sembrano ingenerose le critiche all'autrice del pezzo, che certo per recensire una mostra non poteva recarsi in Spagna, consultare gli archivi, magari accedere ai "preziosi" archivi di Magnum (quante cose potrebbero raccontare!). S'è affidata a documentazione che credeva attendibile
E' vero Diego, ma non penserai mica che io mi sono recato in Spagna etc etc o che sia uno studioso di Capa, per un giornalista affidarsi a documentazione attendibile vuol dire parlare almeno di quella contestata marginalmente e dalla piccolissima ricerca effetuata in meno di un ora in rete, mi sembra che la ipotesi è molto discussa, quindi probabilmente sono stato ingeneroso nei confronti dell'autrice, ma magari poteva spendere qualche minuto di più nell'elaborazione dell'articolo di recensione, almeno per calibrare le parole ridimensionandole ad una forma più ipotetica.
QUOTE
le sue esperienze in maniera asciutta e con tutte le contraddizioni che si possono vivere in quei momenti, come quando racconta di avere assistito ad una strage di anziani dilaniati da una granata per la strada e di essersi rammaricato perchè la disposizione dei cadaveri sulla neve era poco "fotogenica

Ecco da questo punto di vista io mi richiamo più alla morale di Mc Cullin (che certo non era un uomo tenero) che a volte tanto era lo strazio della scena doveva mollare la macchina e gli è successo, forse è professionalmente sbagliato, ma un uomo troppo cinico rischia di produrre immagini inutilmente crude.
QUOTE
mi fa sembrare davvero un inezia questa questione della sequenza

e sarebbe certamente una inezia se lui non avesse raccontato una storia intorno che non parlava di "cose così accadono ogni giorno..." ma ha raccontato una storia di persone che correvano giù da una collina e gli hanno sparato addosso e il miliziano vicino li è morto, se lui vuole fare un racconto illustrato, bene, ma non la portasse come testimonianza di un fatto. purtroppo il caso miliziano l'ha creato Capa stesso, quantomeno romanzando un fatto se non inventandoselo di sana pianta. Allora se sei un fotogiornalista devi mostrare un fatto, (come ha fatto in Normandia), se ricostruisco lo sbarco in Normandia per un libro o per fini edificanti... bene, ma non vado a raccontare che era lo sbarco in Normandia e un mio commilitone è morto se no si offende la memoria di quelli che "non applaudono più". Quante persone sono morte su quella collina? perchè Capa non ha detto, questa foto è per tutti quelli che muoiono, ma ha detto "ecco questo è quello che ho visto in un bel giorno di sole mentre correvo scendendo per la collina"? Mi rimane il dubbio che l'abbia raccontato perchè così ha conquistato il contratto con Life a 23 anni. Un "inezia" di fronte alla guerra, uno scempio di fronte alla storia e hai ragazzi che come lui fotografavano su quella collina senza fare la foto d'effetto che lui tramite una abile trucco ha fatto. E se fosse vera la leggenda che le foto dello sbarco sulla Luna sono costruite, come ci rimarreste? Come chiamereste Armstrong, Aldrin e Collins? Pionieri?
Poi come diceva Halberman
QUOTE
anche Robert Capa era un uomo, oltre che un fotografo, e un uomo non è perfetto, perché soggetto a molte pressioni, impressioni ed emozioni.

e sono d'accordo, ma allora mettiamolo in questo ambito riconosciamogli quello che è stato, nulla meno, ma neanche nulla più.
Quando Diego aprla nel punto tre del limite tecnico, posso accettarlo, ma... se tu Diego fossi riuscito a scattare una foto dal film che fosse stata cento, mille volte migliore, di quelle magari tremanti e fuori fuoco di Robert Capa, avresti trovato eticamente giusto che il tuo nome fosse finito al posto di Capa nell'olimpo della fotografia di tutti i tempi? E se ti fossi inventato inoltre una storia che raccontasse che tu c'eri allo sbarco e che quello che hai fotografato era un tuo commilitone, come potrebbe essere il giudizio etico in proposito?
QUOTE
Difficile pensare che le truppe del generalissimo Franco (in gran parte composte da legionari del "Tercio" e da militari marocchini salpati con lui dalla guarnigione di Sidi Ifni) avrebbero salutato con amichevoli pacche sulla spalla stranieri con macchina fotografica sorpresi a curiosare dalle parti delle loro linee. Più probabilmente, li avrebbero messi al muro

Già è difficile pensarlo... eppure un tal Antonio Russo 5 anni fa per documentare quello che non doveva essere visto ha lasciato al sua vita su un campo. Non mi sento in tutta onestà di dire ugualmente bravo a Capa e a Russo, anzi, non mi sento di mettere Capa sopra a Russo, quanti conoscono Capa e quanti conosceranno Antonio Russo (e per lui tanti altri)? Ecco perchè è importante la veridicità storica, perchè sia correttamente raccontata la storia di uomini e ricordato quello che è stato all'umanità che non c'era. La stupida questione non rimane più una "inezia.citando una canzone di de gregori arci nota "è per questo che la storia dà i brividi perchè nessuno la può cambiare"
E' fondamentale per un fotogiornalista non montare i fatti lui è il nostro coraggioso occhio là dove il nsotro occhio per paura non guarda. Per me Capa in quella foto ha sbagliato e quanti inventano una foto, una notizia, un documento che non c'è stato sbagliano, perchè generano, anche in buona fede, un falso nella storia che non si sa mai a cosa potrà portare.
Scusate la lunghezza,ma l'argomento è enorme
cris
Marco Negri
Messaggio: #24
Robert Capa scriveva: “ La guerra è come un’attrice che sta invecchiando: sempre più pericolosa e sempre meno fotogenica”.

Ritenuto uno dei più grandi fotografi di guerra rif: “Picture Post”, insieme a Gerda Taro approdò in conflitti tra cui la guerra civile spagnola.
Il miliziano spagnolo colpito a morte suscitò ai tempi molto scalpore tanto che la critica postò la non veracità dell’ immagine, ma dagli archivi storici risulta ad oggi che il miliziano “ Federico Borrel Garcia” morì proprio in quel giorno del fatidico scatto..
Immagine sinonimo della liberazione è stata per molti un capolavoro senza precedenti.
Altre vicissitudini seguirono i passi di Capa, durante lo sbarco in Normandia “6 giugno 1944” riuscì a ritrarre momenti indelebili al mondo intero, purtroppo durante il trattamento “ non aveva ancora la digitale”….. huh.gif due rullini andarono distrutti irrimediabilmente; E tanti, tanti altri importanti passi di cui, potremmo parlare per ore intere in questa bellissima discussione senza mai trovare la fine, Robert riprese con la Sua Leica solamente momenti di gloria e questi furono immortalati in più di 70.000 scatti, oltre 22 anni di carriera come fotogiornalista, un ventesimo secolo documentato nei particolari, non fotografie ma icone, non solo reportage di guerra ma documentazione della lotta e della dignità umana.
Un Grande….

Grazie Nico per i sempre Tuoi messaggi di cultura a Tutto il Forum.
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #25
Caro Cristiano, è un piacere rileggerti. Perchè non t'accontenti mai dell'ovvio, perchè difendi le tue idee con caparbietà ma ricorrendo ad argomenti e non affidandoti a dogmi o al "sentito dire", perchè da quanto scrivi traspare una passione (fotografica e civile) invidiabile.
Stop: fine della sviolinata, sennò qualcuno potrebbe pensare che sto cercande di lucrare un invito a pranzo a casa Orlando, wink.gif
Venendo al punto:

- Un'ora per un ricerca su Internet (che, con tutto il rispetto per il mezzo che in questo momento sto utilizzando, non è la Bibbia e nel qual puoi trovare tutto e il contrario di tutto) può sembrare poco; in una redazione dove si lavora sul filo del rasoio è tantissimo. Certo, conoscendo un pochino l'argomento (ma per mia fortuna o sfortuna, non so, non faccio il ctitico fotografico, mi occupo di fattacci molto meno interessanti anche se a volte "crudi" quanto le immagini di cui stiamo discutendo) probabilmente mi sarei meno sbilanciato a definire "calunnie" quanto si dice sulla famosissima foto, come invece fa l'autrice assumendo per buono il parere del curatore della mostra.

- Detto questo a parziale discolpa della collega, vorrei ribadirti il mio pensiero in proposito: in quei tempi non esisteva il fotogiornalismo che conosciamo adesso, quello della documentazione immediata e "bruciata" nell'arco di due ore. Il rullino scattato in Spagna veniva affidato a una lunga "catena" che, con ogni tipo di mezzo di trasporto, lo faceva pervenire, di lì a qualche giorno, oltreoceano. Dal momento del fatto alla pubblicazione potevano passare anche due settimane. Ecco allora che la foto assumeva più un valore di documentazione ("in Spagna i combattenti della repubblica muoiono per contrastare la coalizione delle dittature europee che sostiene Franco") piuttosto che della informazione anglosassone delle "5W": "il miliziano tizio è stato colpito a morte al petto, ieri pomeriggio alle 16.45, sul fronte di Vattelapesca, mentre era impegnato in un combattimento contro il tal reparto delle forze franchiste etc. etc. etc.".

- Capa, dunque, voleva far sapere (entrare nella testa e nelle coscienze) che in Spagna allora si moriva per la libertà, non che era morto il tal combattente.

- Ancora oggi, sapessi, quante immagini "di pronto consumo" vengono costruite ad uso e consumo di fotocinereporter: processioni di "volanti" a sirene spiegate, marines che avanzano coprendosi fra le strade di Masul...si potrebbe continuare all'infinito. A volte non c'è alternativa, a volte sì. Hai citato Russo, vorrei citare anche Ciriello, Miran Hrovatin, centinaia di altri, molti italiani...Ma sono tempi diversi, la guerra, già barbara, s'è "arricchita" d'ulteriori connotazioni barbariche, anche se ormai non si guarda più negli occhi chi si sta uccidendo. E forse è anche per questo che è diventata così crudele. Te lo dice uno che ha avuto un carissimo amico (prima guerra del Golfo) rintanato per due settimane negli scantinati dell'Hotel El Rachid a Bagdad, e che a ogni bombardamento s'interrogava - senza aver risposta - su che cosa ne fosse di lui. Uno che ha seguito il sequestro d'una collega che conosce, per un mese, ha gioito quando è stata liberata e ha trattenuto il fiato quando è stata ferita, assieme al povero e grande Nicola Callipari che purtroppo non c'è più. E questo sentendo per telefono i genitori e il fratello, o i colleghi a Roma con uno dei quali aveva condiviso l'amena esperienza di restare otto ore bloccato, con la Jeep distrutta, in mezzo a un campo minato nel Sahara Occidentale...

- Tornando alle immagini, Cristiano: la differenza è questa: le immagini "costruite" di oggi domani non se le ricorderà nessuno, quelle di Capa fanno parlare ancora oggi.
Ciao
Diego
 
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